«Abbiamo sempre mantenuto il nostro impegno in Afghanistan anche in zone dove si avvertiva la presenza talebana, i nostri progetti vanno avanti. Ma la situazione delle donne ci allarma: non sappiamo fino a dove il nuovo governo porterà la Sharia, quali saranno le nuove restrizioni», racconta Chiara Cardoletti, rappresentante per l’Italia dell’Unhcr, l’Agenzia Onu per i rifugiati
«L’Unhcr rimane e continua ad operare in Afghanistan fino a quando ce lo permetteranno e le condizioni di sicurezza saranno adeguate. In questo momento abbiamo accesso a tutto il territorio afghano, con l’eccezione di qualche distretto che in questo momento è in stato di conflitto armato. In ogni caso, i nostri staff, donne e uomini, stanno continuando a lavorare».
A parlare della situazione afghana è Chiara Cardoletti, rappresentante per l’Italia dell’Unhcr, l’Agenzia Onu per i rifugiati. Per anni ha lavorato in Afghanistan, conosce la difficoltà del lavoro sul campo in quel paese: difficoltà che si sono acuite dopo che gli Stati Uniti hanno lasciato il paese, e l’apertura del conflitto che ha riportato i Talebani al potere.
Com’è la situazione umanitaria al momento?
Sta continuando a deteriorarsi, stiamo cercando di capire in che modo continuare ad aiutare gli oltre 550mila sfollati che in questo momento vivono nel paese e che continuano ad aumentare.
Quali priorità si è data Unhcr dall’inizio dell’emergenza?
Prima ancora di parlare di corridoi umanitari, vogliamo rimanere a lavorare in Afghanistan per poter lavorare e almeno stabilizzare la situazione degli afghani che sono stati costretti a fuggire dalle loro case: questa è la priorità. Quindi per noi è importante continuare il dialogo con i Talebani e con tutti coloro che ci permetteranno di continuare a fare il nostro lavoro, aiutare le persone, così che possano rimanere nel luogo dove hanno sempre vissuto, e che non si vedano costretti a dover lasciare il paese in cerca di aiuto.
Negli ultimi anni avete lavorato in alcuni distretti ad alta presenza di Talebani: come si sono posti nei vostri confronti?
Abbiamo sempre mantenuto il nostro impegno in Afghanistan anche in zone dove si avvertiva la presenza talebana, capivano che stavamo aiutando, dando assistenza umanitaria, per favorire l’integrazione degli afghani all’interno del loro paese.
Qual è la maggiore preoccupazione ora che hanno preso il potere?
Fino a poco tempo fa, abbiamo avuto un programma di protezione delle donne a rischio. Per anni abbiamo avuto una serie di safe houses in tutto il paese, abbiamo creato un network di donne afghane, perché potessero confrontarsi e appoggiarsi l’una all’altra, abbiamo creato un fondo per supportare queste attività. Ora questi progetti sono un po’ più sensibili e complicate da svolgere, ma già prima della loro avanzata avevano subito un rallentamento.
Sono le donne quindi a correre i rischi maggiori oggi.
Sì, le donne afghane, e anche per coloro che oggi sono lì a lavorare per noi. Ma soprattutto le donne che hanno un ruolo nella vita politica del paese, le donne che vogliono continuare a studiare, le donne che vogliono continuare a lavorare: oggi sono quelle più a rischio.
Si tornerà alla Sharia, la legge islamica.
Anche se ancora non è chiaro fino a dove i Talebani si spingeranno con le nuove restrizioni. Abbiamo visto nella regione di Herat, come i Talebani abbiano chiesto a tutti, donne e uomini, di ritornare a scuola, di ricominciare le attività quotidiane. Vedendo quello che sta succedendo lì, abbiamo un minimo di speranza. Ma potrebbe anche essere solo una strategia di comunicazione.
Date supporto anche ai paesi confinanti, come Pakistan e Iran, che ogni anno accolgono centinaia di rifugiati afghani. Com’è la situazione lì?
Da qualche mese, e ancor di più nelle ultime settimane, abbiamo assistito a un aumento marginale delle persone che si muovono verso Iran e Pakistan. Da 40 anni ormai questi due paesi si sono presi la responsabilità di accogliere milioni di afghani, e continueranno a farlo. L’Iran ha manifestato la sua disponibilità all’accoglienza, anche se è probabile che ora li ospiterà in campi vicino alla frontiera.
Noi abbiamo chiesto a loro, ma anche agli altri paesi di confine, ma non solo, di accogliere gli afghani nei loro territori, di dargli la protezione internazionale, e soprattutto di non rimpatriare le persone a cui lo status di rifugiato è stato negato. È importante che anche i paesi confinanti, che hanno un maggior onere, ricevano supporto per continuare ad accogliere.
Ci saranno anche ponti aerei nelle prossime settimane per permettere, a chi vuole, di lasciare il paese?
Per ora, come abbiamo visto, i ponti aerei sono solo per le persone che hanno lavorato con le forze multinazionali. Questa sembra essere la priorità al momento. Ma i corridoi umanitari sono un grande gesto di solidarietà, ma non possono risolvere il problema di un afflusso di persone nei paesi limitrofi, o nei paesi terzi. Non sono meccanismi che possono far fronte a grandi esodi di popolazione.
Il popolo afghano negli ultimi quaranta anni ha vissuto sofferenze inimmaginabili. Solo nel 2021 circa 550mila persone sono state costrette ad abbandonare le proprie case. Sono donne e bambini a pagare il prezzo più alto. Unhcr ed Emergency sono ancora in Afghanistan per aiutarli. Ognuno può dare il proprio contributo con una donazione, bastano pochi click.
Per donare a Unhcr: dona.unhcr.it/campagna/afghanistan
Per donare a Emergency: sostieni.emergency.it/dona-ora
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