L’inchiesta del nucleo di polizia economico finanziaria della guardia di finanza coordinata dalla procura di Venezia sul sindaco Luigi Brugnaro e il suo assessore Renato Boraso è incentrata su due filoni. Il primo con indagati il primo cittadino, il suo capo di gabinetto, nonché direttore generale del comune, Morris Ceron, e il vicecapo di gabinetto Derek Donadini. Il secondo coinvolge altre 18 persone, tutte oggetto di misure cautelari. Tra queste figura l’assessore alla Mobilità, Renato Boraso, che da martedì si trova in carcere e dice di essere pronto a dimettersi.

Come risulta dalle carte dell’inchiesta, a Boraso contestano «corruzione», «concussione per induzione», «creazione ad hoc di falsa documentazione contabile», «autoriciclaggio». Scrivono i giudici che Boraso «sfruttando il proprio ruolo di pubblico amministratore ha sistematicamente mercificato la propria pubblica funziona svendendola agli interessi privati di cui di volta in volta si è dimostrato portatore, al fine di tornaconto personale».

Una condotta durata «ininterrottamente negli ultimi 4 anni e caratterizzata da sistematicità… nonché da assoluta indifferenza rispetto a eventuali controlli». Condotte «indicative di una pericolosità sociale eccezionalmente elevata e di un intenso pericolo di reiterazione, dimostrato dalla capacità di condizionamento dei pubblici poteri, essendo stato in grado il Boraso di creare un vero e proprio sistema criminoso in grado di controllare l’assegnazione dei lavori attraverso illecite pressioni sugli uffici pubblici comunali di volta in volta coinvolti, molto spesso ridotti al servizio del privato, che di volta in volta ha ricompensato lautamente l’assessore in parte fornendogli denaro, sotto forma di pagamento di false fatture, a volte per l’ottenimento di un singolo favore o per ricompensare un favore già ricevuto, a volte per ottenere un asservimento totale e permanente della funzione rappresentata dal pubblico amministratore».

Lavori inesistenti

Funzionari pubblici e non solo. Boraso a una sua collaboratrice di fiducia, «detta quali sarebbero i lavori da indicare a giustificazione della fattura da emettere (manutenzione verde)». «Lavori inesistenti», scrivono i giudici, e «poiché la segretaria obietta, Boraso la zittisce dicendole: «Scrivi quello che ti dico, non stare a perdere tempo».

Boraso, come ha spiegato il procuratore Bruno Cherchi, avrebbe emesso «fatture per operazioni inesistenti, coperte in linea di massima con attività di consulenza». Dalle carte emerge che «in più occasioni… emetteva fatture per operazioni oggettivamente inesistenti per gli anni 2017, 2018, 2019, 2020, 2021, 2022 e 2023 per l’importo complessivo di 488.540,00 euro».

Uno dei primi reati per cui si indaga nei confronti di Boraso è la corruzione per la cessione di palazzo Papadopoli: «Perché Boraso in qualità all’epoca di assessore al Patrimonio del Comune di Venezia» avrebbe svenduto il palazzo «facendolo scendere dalla stima iniziale di 14.000.000 al prezzo vantaggioso (per il privato acquirente Ching Chiat Kwong) di 10.729.606, 42 e riceveva (…) la somma di euro 73.200». Somma che viene corrisposta da Claudio Vanin «su indicazione del Lotti e del Pasqualetto – collaboratori di Ching, nda – attraverso il pagamento di due fatture emesse dalla Stella Consulting Srls del Boraso per una consulenza in realtà mai conferita né seguita».

Sarà proprio Vanin, imprenditore trevigiano, che con un esposto farà partire le indagini.

Brugnaro

Ma Boraso oltre a questo, si legge nell’ordinanza, «promuoveva la sponsorizzazione della società di basket Reyer (di proprietà del sindaco Brugnaro) da parte del Comelato (consigliere delegato di una società, ora indagato, ndr) attraverso la dazione di 10.000 euro al presidente di questa, al fine di far acquisire al Comelato meriti presso l'amministrazione comunale da far valere nella fase di valutazione dell’offerta».

Il nome del sindaco emerge anche in un’altra vicenda descritta nelle carte dei magistrati. E cioè in riferimento alla società della moglie. Boraso, infatti, «promuoveva rapporti commerciali tra Comelato e la società di intermediazione immobiliare Anamù di proprietà di Stefania Moretti, compagna del sindaco Brugnaro, offrendo a questa il mandato per la vendita di circa dieci appartamenti di Comelato». L’obiettivo? Convincere Moretti a «farsi promotrice con il sindaco e con il suo entourage comunale per sensibilizzare l'ufficio edilizia del comune di Venezia ad esitare favorevolmente e celermente la pratica edilizia in oggetto».

Non è dato sapere, al momento, se Brugnaro fosse al corrente dei soldi dati alla squadra di basket e del tentativo di moral suasion attraverso la compagna.

Di certo c’è un’intercettazione in cui però emerge la consapevolezza del sindaco sui metodi usati dal suo assessore alla Mobilità. Si tratta di una «conversazione di fondamentale importanza poiché il sindaco fa presente al Boraso che gli è stato riferito che lui (Boraso) chiede soldi alle persone». Brugnaro però lo lascerà al suo posto. Nonostante gli avesse detto: «Se io ti dico di stare attento ti devi controllare…». Alla risposta di Boraso, «cambio anche il telefono», Brugnaro replicava duro: «Ma non è il telefono, ti hanno messo gli occhi addosso, sta attento a ste robe!».

© Riproduzione riservata