Il colosso cinese aveva ingaggiato la società di Verdini jr per fare attività di lobbying in Italia. Così ha incontrato ministri, sottosegretari e manager. Le preoccupazioni dell’intelligence Usa
Un affare di sicurezza nazionale, che preoccupa e non poco l’intelligence americana e italiana. Non è, dunque, solo una storia di lobby e affari quella degli incontri tra Huawei e rappresentanti di governo, istituzioni e grandi aziende procacciati dai Verdini, che con la loro società di consulenza (ora sotto inchiesta della procura di Roma) avevano ottenuto l’incarico dal colosso cinese delle telecomunicazioni.
Questa è anche una vicenda che fa riaffiorare i sospetti che negli ultimi anni hanno avvolto Huawei per via dei suoi legami con il governo della Repubblica popolare. Domani ha raccontato degli incontri che – prima e dopo le elezioni del 2022 – Huawei ha ottenuto o cercato di ottenere con diversi esponenti del nuovo esecutivo. Nella lista ci sono gli incontri con il ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini e con un altro leghista, il sottosegretario all’Economia Federico Freni. Ci sono anche due pezzi da novanta di Fratelli d’Italia: il presidente del Senato Ignazio La Russa, che ha incontrato Tommaso Verdini prima dell’elezione a seconda carica dello Stato; e hanno tentato anche con il ministro della Difesa Guido Crosetto, che a questo giornale ha detto di non averli «mai visti».
Le riunioni servivano a Huawei per conoscere gli esponenti del nuovo esecutivo, date le posizioni fortemente filo statunitensi dei partiti della maggioranza. Ad aver declinato bruscamente sono stati il ministro degli Esteri Antonio Tajani e il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Alessio Butti. Alle nostre domande, Huawei ha deciso di non rispondere. La questione però supera i confini della politica, e interessa, appunto, la sicurezza del paese.
Sapere è potere
I legami tra Huawei e il governo cinese hanno riempito pagine e pagine di rapporti delle intelligence occidentali. Del resto il nostro paese non è nuovo a eventi che hanno attirato l’attenzione degli 007 alleati: Domani aveva raccontato della diplomazia parallela condotta da Salvini sulla guerra in Ucraina che incontrò in segreto l’ambasciatore russo a Roma. All’epoca la Lega faceva parte del governo Draghi, che però non era stato avvertito. Un episodio che fece scattare il livello di allerta nei servizi segreti. Peraltro il protagonista, cioè Salvini, è a capo di un partito filorusso e coinvolti nella trattativa del Metropol, ossia il tentativo di ottenere un finanziamento russo per le elezioni europee del 2019.
L’intelligence americana e italiana sa bene che negli anni della creazione delle infrastrutture per la rete 5G Huawei ha cercato di inserirsi cercando sponde e appoggi. Più recentemente, ha invece cercato di affievolire il ricorso al golden power. Non solo: per quanto a conoscenza di Domani, le attività di lobbying e di ricerca informazioni condotte erano in particolar modo rivolte a conoscere i nomi delle persone all’interno degli apparati dello Stato coinvolte nella stesura delle prescrizioni sui progetti delle reti 5G presentate dagli operatori delle telecomunicazioni stranieri. Il motivo? «Sapere è potere», si limita a dire una fonte autorevole e qualificata a conoscenza della vicenda. Quanto emerso fino a ora potrebbe essere solo l’inizio di una storia molto più complessa, che potrebbe creare qualche grana all’azienda e ai dirigenti coinvolti.
Il rapporto Verdini-Huawei nasce nel 2019. L’interfaccia con i lobbisti indagati era Eduardo Perone, ex direttore acquisti di Tim, entrato in azienda nel 2018 come vicepresidente. Domani ha chiesto un commento a Huawei e a Perone, che non hanno voluto rispondere. Proprio nel 2019, il Dipartimento per le informazioni per la sicurezza aveva lanciato un allarme nella sua relazione al parlamento sulle «aggressive strategie di penetrazione del mercato perseguite da player stranieri pure attraverso [...] attività di lobbying/networking». Non si fa il nome del colosso cinese, ma quello era l’anno della firma del Memorandum sulla Via della Seta del governo Cinque stelle-Lega con la Cina.
Sempre nel 2019 la Cia aveva accusato Huawei di ricevere finanziamenti dal governo, dall’esercito e dai servizi di intelligence cinesi. L’anno precedente, dati questi sospetti, gli Stati Uniti avevano estromesso Huawei dalla realizzazione della rete 5G. Da allora aumentano gli alert, che coinvolgono anche il nostro Copasir, il comitato parlamentare sulla sicurezza della Repubblica, che più volte si è occupato di Huawei esprimendo preoccupazioni. Proprio per diradarle la società cinese si sarebbe rivolta alle società di Verdini.
A quei tempi i soci della Inver erano Tommaso e Francesca Verdini, compagna del vice premier Matteo Salvini, che ha venduto le quote nell’estate del 2021 poco prima dell’inizio dell’inchiesta della finanza. Prima che Francesca Verdini lasciasse la società, la Inver ha realizzato l’incontro – raccontato da Domani – con l’allora ad di Tim Luigi Gubitosi. Successivo è l’incontro con l’ex direttore della Agenzia per la cybersicurezza Roberto Baldoni: con lui si è parlato di un’iniziativa di sensibilizzazione che Huawei avrebbe voluto realizzare nelle scuole con il patrocinio di Acn. Molto infastidito dalla richiesta, Baldoni avrebbe nettamente rifiutato.
Tutto ciò che riguarda i rapporti dello Stato con l’azienda è questione classificata per motivi di sicurezza. Emergono invece dalle carte dell’inchiesta della procura di Roma le relazioni tra i suoi dirigenti e i Verdini. Relazioni che continuano anche dopo le perquisizioni dell’estate 2022, con un uomo di Huawei che avrebbe fatto sapere ai Verdini che la società aveva aperto una «compliance interna, operando una valutazione del contratto in essere con Inver». Per aggirare l’ostacolo, quindi, gli propone di passare il contratto da 10mila euro al mese, più bonus, a un’altra società indicata dai Verdini. E così è stato. Così i Verdini hanno continuato ad arricchirsi assicurando a Huawei incontri con i vertici dello Stato. Incontri che hanno creato una certa preoccupazione nell’intelligence italiana e americana. Per la facilità con cui in Italia si può incrociare un ministro. Soprattutto se è cliente di un brand familiare chiamato Verdini.
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