In Europa si sprecano quasi 59 tonnellate di cibo all’anno: 131 kg per ogni abitante. Una cifra enorme che interroga il settore dell’ospitalità. Diversi chef hanno accolto questa sfida, dalla cucina circolare di Leemann a quella no-waste di Massaia. Per una sostenibilità anche economica
Questo articolo è tratto dal nostro mensile Cibo, disponibile sulla app di Domani e in edicola
Ogni anno, circa un terzo del cibo prodotto viene gettato via, una cifra sconvolgente che ha un impatto devastante sia sull’economia che sull’ambiente. In Europa, il fenomeno raggiunge quasi 59 milioni di tonnellate di cibo sprecato ogni anno, pari a circa 131 kg per persona. Altrettanto preoccupante è la situazione nel nostro paese: ogni cittadino spreca circa 150 chili di cibo all’anno. Se questa quantità fosse paragonata alla produzione di pasta, si tratterebbe di ben 500 piatti di pasta per ogni abitante. Questi dati, forniti dal Centro studi Divulga, ci forniscono un’idea tangibile dell’entità dello spreco che avviene nelle nostre case, ma anche nei settori della produzione, trasformazione e distribuzione.
Sebbene la maggior parte dello spreco alimentare, circa il 73 per cento, avvenga a livello domestico, anche il settore della ristorazione gioca un ruolo significativo, con circa il 9 per cento del totale. Ciò diventa ancora più allarmante se consideriamo che, mentre miliardi di tonnellate di cibo finiscono nella spazzatura, oltre 800 milioni di persone nel mondo soffrono la fame. La contraddizione tra l’abbondanza e la scarsità alimentare è uno degli aspetti più drammatici della crisi globale.
Le strategie
Secondo Riccardo Fagione, esperto di filiera agricola e sostenibilità e membro del comitato scientifico di Divulga, «non è tanto la mancanza di cibo a rappresentare il problema, quanto piuttosto la distribuzione iniqua e il cattivo utilizzo delle risorse alimentari disponibili». Fagione sottolinea infatti che, in Italia, lo spreco alimentare ha un costo economico notevole. Ogni cittadino perde circa 380 euro all’anno a causa di questo fenomeno. Se il cibo sprecato fosse distribuito in modo più equo, si potrebbero sfamare 1,26 miliardi di persone, molte di più delle attuali 864 milioni che soffrono di grave insicurezza alimentare, come riportato dalle stime della Fao.
«Per affrontare questa crisi, è necessario adottare strategie concrete e mirate», commenta Fagione. Una delle soluzioni più immediate è promuovere un consumo più consapevole, riducendo gli acquisti superflui. L’acquisto diretto dai produttori, ad esempio attraverso mercati locali o la vendita diretta da parte dei contadini, può contribuire a ridurre gli sprechi causati dalla sovrapproduzione e dall’imperfetta gestione delle eccedenze nei supermercati. Un altro punto cruciale è sensibilizzare i consumatori riguardo al valore del cibo di qualità, anche quando non appare esteticamente perfetto. «Molto cibo viene scartato per motivi puramente estetici», ricorda Fagione, «quando in realtà sarebbe ancora perfettamente commestibile». Educare le persone a valutare il cibo in base alla sua qualità nutrizionale, piuttosto che al suo aspetto esteriore, è quindi fondamentale.
Le politiche europee contro lo spreco alimentare stanno iniziando a dare segnali positivi, ma non sono sufficienti. Il vero cambiamento deve partire dalla società, con l’insegnamento, nelle scuole e nelle famiglie, dell’importanza del cibo come bene collettivo, e non come mera merce da consumare. In particolare, è fondamentale sensibilizzare i giovani, affinché comprendano che ridurre lo spreco non solo è possibile, ma è anche una necessità per garantire un futuro sostenibile.
Protagonisti
In questa transizione verso un sistema alimentare più sostenibile la ristorazione ha un ruolo chiave. Alcuni ristoranti italiani hanno già intrapreso la strada della sostenibilità, adottando pratiche per ridurre gli sprechi alimentari. Queste realtà locali non solo contribuiscono alla salvaguardia dell’ambiente, ma ottimizzano anche i costi e migliorano la qualità dell’offerta, dimostrando che ridurre lo spreco può essere vantaggioso anche dal punto di vista economico. L’obiettivo è quindi integrare l’eccellenza culinaria nostrana con la sostenibilità, utilizzando prodotti freschi e locali e gestendo accuratamente le porzioni.
Uno degli esempi virtuosi di questa nuova visione arriva da Joia, ristorante di Milano guidato dagli chef Sauro Ricci e Raffaele Minghini. Qui, la cucina non è solo un atto di preparazione del cibo, ma un vero e proprio atto di consapevolezza. Dopo anni di collaborazione con Pietro Leemann, che nel 2021 ha ottenuto per Joia la Stella Verde Michelin, Ricci e Minghini portano avanti una filosofia di cucina che va oltre il semplice nutrimento: il cibo diventa un simbolo di rispetto per la natura e per tutti gli esseri viventi.
Il concetto che guida la cucina di Joia è quello della «cucina circolare», dove ogni parte dell’ingrediente viene utilizzata, e gli scarti sono valorizzati. «Un piatto deve emozionare e nutrire», afferma Ricci, «ma deve anche rispettare i valori etici che ci guidano ogni giorno». La stagionalità è uno degli aspetti centrali della cucina del ristorante, che utilizza ingredienti freschi e locali per ridurre l’impatto ambientale. Ogni piatto a Joia è un intreccio tra tradizione culinaria, cultura e stagione, creando un’esperienza gastronomica che trasmette un messaggio che collega la terra, le stagioni e chi lo consuma.
Un altro esempio interessante arriva dal ristorante Radici di Costigliole d’Asti, in Piemonte, dove lo chef Marco Massaia ha creato un vero e proprio modello di cucina “no-waste”. Fin dall’inizio della sua attività, Radici ha posto la sostenibilità al centro della sua proposta gastronomica. Gli ingredienti avanzati vengono trasformati in nuove preparazioni, e le eccedenze vengono destinate a collaborazioni con produttori locali o a donazioni. Massaia afferma con determinazione: «Per noi lo spreco non è un’opzione, ma una sfida quotidiana che ci spinge a reinventare la tradizione».
Il legame con il territorio è quindi un elemento fondamentale della filosofia del ristorante: Massaia collabora strettamente con agricoltori locali, utilizzando solo ingredienti freschi e di alta qualità. In uno dei piatti più rappresentativi del ristorante, a base di cavolfiore, non solo viene utilizzata la parte pregiata dell’ingrediente, ma anche le bucce e i ritagli vengono trasformati in un fondo vegetale ricco e saporito. Questo piatto rappresenta un simbolo del rispetto per la materia prima e del processo che permea tutta la cucina di Radici, dove nulla viene sprecato.
Inoltre, la filosofia di Radici si inserisce in un contesto più ampio di rispetto per la terra e per il lavoro degli agricoltori locali. «Collaboriamo strettamente con i nostri fornitori», afferma Massaia, sottolineando come la pianificazione delle semine per il prossimo anno sia una pratica condivisa con gli agricoltori piemontesi. Questo legame con il territorio garantisce ingredienti freschi e di alta qualità, ai quali si aggiunge l’impegno verso pratiche agricole sostenibili. «È come se applicassimo il principio dell’orto di casa, ma affidato ai nostri agricoltori esterni», commenta tra il serio e il faceto, evidenziando l’importanza di un approccio integrato e di lungo termine.
A Firenze, poi, c’è un ristorante che non si limita a servire piatti deliziosi, ma porta in tavola un’intera filosofia: Fiore, il primo locale della città a dichiararsi ufficialmente “zero sprechi”. Ma il vero punto di forza del ristorante è il menù, progettato con un obiettivo ambizioso: non sprecare nulla. Ogni ingrediente trova una nuova vita in preparazioni creative, trasformando quello che altrove sarebbe scarto in una nuova esperienza di gusto. Questo approccio non solo riduce al minimo l’impatto ambientale, ma spinge i clienti a riflettere sulle proprie scelte alimentari e sull’importanza di un consumo più consapevole.
I benefici
Per i ristoranti italiani ridurre gli sprechi alimentari non è solo una scelta etica, ma comporta anche significativi vantaggi economici e ambientali. Secondo un report dell’Unione europea, ogni anno lo spreco alimentare nell’Ue genera perdite per 149 miliardi di euro. Per la ristorazione, l’adozione di pratiche sostenibili, come quelle implementate da Joia, Radici e Fiore, non solo può diventare un vantaggio competitivo, ma offre anche un’opportunità educativa per sensibilizzare i clienti. Eppure, è fondamentale ricordare che il dibattito non si ferma alla sola ristorazione. Come sottolinea Massaia, «la sostenibilità è una scelta che tutti possiamo fare, dal cuoco al cliente che porta a casa gli avanzi».
Se infatti i ristoratori giocano un ruolo chiave nella lotta contro lo spreco, è anche vero che i consumatori devono essere educati a una gestione più responsabile delle risorse alimentari. Poiché oltre il 50 per cento degli sprechi totali avviene nelle mura domestiche, è essenziale che anche i consumatori siano consapevoli del loro impatto e imparino a ridurre gli sprechi nelle loro case, contribuendo così a costruire una società più giusta e sostenibile.
Il cambiamento inizia con scelte individuali, ma può essere rafforzato dalla comunità e dalle politiche pubbliche. La sfida è grande, ma con un impegno condiviso possiamo ridurre gli sprechi alimentari, migliorare la sostenibilità del nostro sistema alimentare e, soprattutto, contribuire a garantire che tutti abbiano accesso al cibo di cui hanno bisogno.
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