Il noto giornalista Massimo Gramellini tiene sul Corriere della sera una rubrica chiamata Il caffè che, spiega l’autore, è «una tazzina di parole ogni giorno», un distillato di arguzia e di buon senso da sorbire a colazione.

Peccato che la scorsa settimana, parlando di Covid, Gramellini abbia scritto moltissime inesattezze. L’articolo, intitolato Dr. No House, attacca così: «Come la mettiamo con il dottor Gerardo Torre, che ha curato tremila malati di Covid a domicilio senza perderne nemmeno uno, ma rischia di essere sospeso dall’Ordine per non avere rispettato il protocollo ufficiale?

Da decenni quest’uomo attraversa la provincia di Salerno con un camper attrezzato ad ambulatorio: i compaesani lo chiamano Doctor No House. Durante la pandemia non si è rassegnato alla “vigile attesa” e ha aggredito la malattia ai primi sintomi, senza aspettare che arrivasse a devastare i polmoni e a intasare gli ospedali».

La cura “miracolosa”

Come li cura i suoi pazienti il dottor Torre? Gramellini non lo scrive. Ma il diretto interessato lo ha raccontato in alcune interviste: «Io ho avuto l’intuizione di stoppare l’infiammazione da Covid con un antinfiammatorio di nuova generazione. Era importante intervenire subito, al primo giorno di sintomi.

Poi un po’ di aspirina dopo pranzo che ha effetto anti aggregante e, in caso di febbre, un antibiotico, lo Zitromax. Se dopo sette giorni persistevano tracheiti o altre infiammazioni prescrivevo il cortisone, ricorrendo anche all’eparina».

In questa terapia non c’è nulla di corretto dal punto di vista medico, a parte l’aspirina. Per comprendere perché, conviene spiegare il meccanismo del Covid.

Il Sars-Cov-2 entra nel nostro organismo per via aerea attraverso il naso e la bocca, arriva nei polmoni e qui penetra dentro le sottili cellule dei nostri alveoli, dove si replica generando nuove copie del virus che danneggiano quelle cellule, ne fuoriescono, andando a invadere le cellule vicine, poi altre ancora, e così via.

La risposta immunitaria

Questa infezione richiama nei polmoni un certo numero di cellule immunitarie denominate cellule dell’infiammazione – granulociti, macrofagi ecc. – che hanno il compito di scatenare appunto una infiammazione circoscritta che attacca e uccide il virus.

Spesso, questa risposta iniziale sconfigge il virus e impedisce il progredire della malattia. Invece, in qualche caso sfortunato, il virus supera la nostra prima linea di difesa e continua a moltiplicarsi, così vengono richiamate altre cellule immunitarie che secernono sostanze chiamate citochine.

Queste attirano ancora altre cellule immunitarie che scatenano una super infiammazione che distrugge tutto – cellule infette e sane – lesionando talvolta in maniera irreparabile i nostri polmoni: la polmonite bilaterale tipica delle forme più gravi di Covid si sviluppa così.

Nel frattempo, passata circa una settimana dall’inizio dell’infezione, nei polmoni incominciano anche ad arrivare cellule immunitarie più specializzate: i linfociti B che producono anticorpi contro il virus, e i linfociti T che uccidono in maniera specifica il virus.

Nella maggior parte dei casi, questa risposta immunitaria specializzata prende il posto dell’infiammazione, che a poco poco declina, i linfociti B e T sconfiggono il virus in maniera definitiva, e noi guariamo.

L’idrossidiclorochina

Il dottor Torre dice che è importante intervenire subito, al primo giorno di malattia, somministrando «un antinfiammatorio di nuova generazione», che probabilmente è l’idrossidiclorochina, un farmaco molto amato da tutti i medici che, come lui, prediligono le la terapia domiciliare del Covid.

Punto primo: somministrare un antinfiammatorio al primo giorno di infezione è sbagliato. Se somministri un antinfiammatorio al primo giorno, blocchi le cellule dell’infiammazione che costituiscono la nostra prima linea di difesa contro il virus, e perciò rischi di favorire l’avanzata della malattia.

La cosa più giusta da fare è la vigile attesa: bisogna aspettare qualche giorno e poi, ma solo se i sintomi peggiorano, bisogna somministrare un antinfiammatorio.

Se poi l’antinfiammatorio del dottor Torre fosse l’idrossidiclorochina sarebbe anche peggio. L’idrossidiclorochina, noto col nome commerciale di Plaquenil, è un farmaco utilizzato principalmente per la cura della malaria; dato che possiede anche un potente effetto antinfiammatorio ma è anche molto tossico, viene talora usato per trattare malattie autoimmuni gravi come il lupus eritematoso sistemico e l’artrite reumatoide.

Lo studio di Raoult

All’inizio della pandemia, quando gli scienziati brancolavano nel buio, Didier Raoult, un virologo francese, aveva suggerito di utilizzare il Plaquenil per curare le polmoniti da Covid, provocate dalla super infiammazione scatenata dal nostro stesso sistema immunitario impazzito.

Lo scienziato, dai lunghi capelli bianchi e con una barba bianca da druido, che conserva nel suo salone un busto di sé stesso e si vanta di avere un Qi superiore a quello di Albert Einstein, aveva condotto su soli 18 pazienti trattati uno studio che, a suo dire, dimostrava che una terapia a base di idrossiclorochina e azitromicina poteva guarire anche le forme più gravi di Covid.

Questo studio si è poi rivelato una totale frode, e il dottor Raoult è stato sospeso dall’ordine dei medici francese.

Studi molto più completi hanno dimostrato invece che «la terapia a base di idrossiclorochina provoca un aumento di mortalità tra i pazienti affetti da Covid, e sicuramente non dà beneficio alcuno». Meglio non usarla.

Lo Zitromax

Punto due: il dottor Torre dice di utilizzare l’azitromicina, cioè lo Zitromax, per curare il Covid, che è una malattia provocata da un virus. Ma lo Zitromax è un antibiotico che uccide i batteri, e a un virus non fa nulla. Quindi, l’antibiotico contro il Covid è inutile, anzi, dato che è tossico, fa pure male.

Punto tre. Il dottor Torre sostiene di avere curato le persone a casa con cortisone ed eparina, ma il cortisone, un antiinfiammatorio potentissimo, e l’eparina, un anticoagulante, vanno somministrate solo ai pazienti con polmoniti gravi e ricoverati in ospedale. Somministrarli a pazienti a casa è pericoloso.

Punto quattro. Dice il dottor Torre: «Il 99 per cento dei pazienti, nonostante avesse pure la polmonite, è guarito in casa. Delle persone che ho preso in cura, non è morto nessuno». 

Probabilmente, il dottor Torre è stato fortunato e ha “curato” solo pazienti che non avevano bisogno di cure. Perché c’è anche chi guarisce da solo. I numeri del Covid sono chiari: su 100 pazienti che vengono infettati dal coronavirus, circa 30 restano asintomatici e 70 sviluppano la malattia; di questi 70 che si ammalano di Covid, 60 sviluppano una malattia che può andare da un raffreddore a una brutta influenza, che passa da sola e si può affrontare a casa; 10 si ammalano gravemente e finiscono in ospedale, e di questi 5 finiscono in terapia intensiva e 2 muoiono. “Curare” chi potrebbe guarire da solo non significa essere eroi, significa essere fortunati, o peggio, furbi.

Punto cinque. Dice il dottor Torre: «Io fin dal primo momento non ho accettato di usare la Tachipirina, che solo ora è saltata nei protocolli dell’Aifa e dell’Istituto superiore di sanità». 

La Tachipirina, ovverosia il paracetamolo, è un farmaco antipiretico con blande proprietà antiinfiammatorie che viene consigliato in tutto il mondo assieme ai Fans per trattare la febbre e i dolori articolari nelle forme lievi di Covid.  E non è affatto “saltata” dai protocolli.

Caro Gramellini, scrivere che c’è chi ha trovato la terapia contro il Covid potrebbe illudere qualcuno e spingerlo a non vaccinarsi: invece, la cura non c’è, e il vaccino è la nostra unica salvezza.

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