Bontate Francesco Paolo, inteso “don Paolino Bontà”, è notoriamente indicato da tempo non solo come un mafioso ma come uno dei maggiori capi mafia di Palermo, di quelli cioè noti con l’epiteto di “pezzo di novanta”. La qualità di mafioso, nel caso di “Paolino Bontà” è ampiamente dimostrata
Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Potete seguirlo a questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Da oggi – per circa un mese – pubblichiamo sul Blog mafie l’ordinanza di rinvio a giudizio “Torretta+120”, che ricostruisce dinamiche e omicidi della mafia di Palermo
Bontate Francesco Paolo, inteso “don Paolino Bontà”, é notoriamente indicato da tempo non solo come un mafioso ma come uno dei maggiori capi mafia di Palermo, di quelli cioè noti con l’epiteto di “pezzo di novanta”.
La qualità di mafioso, nel caso di “Paolino Bontà” è ampiamente dimostrata, oltre che dalla notorietà della sua malfamata reputazione e dalla denunzia della Polizia, da precise risultanze istruttorie.
Afferma Serafina Battaglia, la quale in un violento confronto contestò le sue accuse all’imputato, che Francesco Paolo Bontate è legato ai mafiosi Salvatore Pinello, Greco Salvatore “Ciaschiteddu”, Giunta Salvatore, con i quali partecipò ad una tipica riunione mafiosa in contr. Traversa di Baucina, in epoca posteriore all’omicidio di Stefano Leale, alla quale intervennero pure Rocco Semilia e Matteo Corrado, implicati in altro procedimento penale, per associazione per delinquere, in cui si parlò, tra l’altro, del giovane Salvatore Lupo Leale.
A costui alludendo Francesco Paolo Bontate ebbe a dire con espressione volgare e crudele “u picciuteddu è curnuteddu e l’hannu ad ammazzari”
Francesco Paolo Bontate viene visto da Gino Semilia, che lo riferisce alla Battaglia, a bordo della automobile di Pietro Torretta, in compagnia di certo “Pinuzzu” De Gregorio, tal Messina e un mafioso noto col nomignolo “u masculiddu”, nella borgata Belmonte Chiavelli.
La smentita del De Gregorio, il quale ammette solo di conoscere Bontate Francesco Paolo e i fratelli Messina, ha un valore molto relativo se si pensa che il De Gregorio (condannato molti anni addietro per omicidio) non é certo il tipo disposto a fare delle ammissioni compromettenti, né a violare la legge dell’omertà.
Verso il 1956/1957 ad iniziativa di un gruppo industriale genovese sorse a Villagrazia uno stabilimento industriale denominato EL.SI (Elettronica Sicula), poi trasformatosi in Raytheon-EL.SI in seguito all’acquisto della maggioranza del pacchetto azionario da parte di un gruppo finanziario americano.
La fase iniziale degli impianti e dell’organizzazione fu curata dall’avvocato Calogero Caronna, al quale nel 1957 successe l’ing.Aldo Profumo attuale amministratore delegato della “Raytheon-EL.SI”.
Sin dai primi colloqui col Caronna l’ing. Profumo si sentì dire che “data la situazione locale” sarebbe stata inevitabile la mediazione di Bontate Francesco Paolo, “persona autorevole della zona”, nell’acquisto del terreno su cui doveva sorgere lo stabilimento.
E così Aldo Profumo, appena arrivato da Genova, ha il suo primo contatto con la mafia, personificata da “Don Paolino” che si intromette in tutti gli acquisti di terreni stipulati dall’EL SI.
In occasione di una cerimonia inaugurale, verso i primi del 1957, alla quale intervennero circa trenta esponenti dell’amministrazione regionale e comunale, che, purtroppo, non é stato possibile identificare, mentre l’ing. Profumo teneva la sua prolusione, si presentò, non invitato, “Paolino Bontà” verso il quale tutti accorsero, deferenti ed ossequienti, lasciando solo l’oratore. Subito dopo l’ospite d’onore, il capo mafia della zona, venne presentato al Profumo.
Un episodio simile non richiede eccessivi commenti; denota a sufficienza quanto siano inquinati certi settori della locale pubblica amministrazione.
È veramente degradante lo spettacolo di un folto gruppo di rappresentativi funzionari della Regione e del Comune, che, durante una cerimonia, si precipita compatto a rendere omaggio al mafioso.
Da quell’epoca l’ingerenza del Bontate nella attività dello stabilimento fu continua a si estrinsecò nella raccomandazione per l’assunzione di operai e nella fornitura di derrate alimentari alla mensa aziendale, ingerenza tollerata dalla direzione per comprensibile ragioni prudenziali oltre che per lo spirito di collaborazione apparentemente mostrato dal Bontate.
È significativo quanto riferisce Aldo Profumo sul compiacimento esternatogli dal Bontate alla
fine di certi lavori di trivellazione per la ricerca dell’acqua, eseguiti in un clima di ostilità, compiacimento col quale il Bontate intendeva dire che era merito suo se non si erano verificate le “noie” minacciate.
I testi Antonio Chelini ed Enrico Milani, dirigenti dell’EL.SI, hanno confermato la deposizione di Aldo Profumo in merito alla ingerenza del Bontate. Costui, per la sua attività di mediatore nello
acquisto dei terreni, percepì dall’EL.SI la somma di oltre £.2.000.000, regolarmente annotata a nel libro “Registro compensi a terzi” senza tener conto delle percentuali sicuramente pretese e ricevute dai venditori delle aree, nonostante costoro lo abbiano negato.
Di tali venditori uno, Guajana Domenico, si è profuso in attestazioni di amicizia e stima verso “don Paolino Bontà”, mentre al contrario un altro, Gambino Ignazio, ha dichiarato di non sapersi spiegare la partecipazione del Bontate alle trattative, facendo così una cauta e indiretta ammissione dell’imposizione subìta.
Ben diverso il comportamento processuale dello avv. Calogero Caronna, il quale ha tacciato di falso l’ing, Profumo ed ha cercato di presentare sotto un aspetto del tutto lecito l’attività del Bontate. Senonché l’epiteto di falso spetta proprio al Caronna che ha mentito senza ritegno in omaggio ad uno spirito di omertà, inconcepibile in una persona della sua condizione sociale lontana ormai, perché residente a Roma, da certe malsane influenze.
Caronna arriva a negare che Bontate abbia ricevuto dei compensi dall’EL.SI quando ciò è documentalmente dimostrato. Nega pure di conoscere la reputazione di mafioso del Bontate, nonostante il particolare della richiesta dei guardiani fatta al Bontate, dimostri come egli fosse bene a conoscenza della posizione dell’imputato nella borgata di Villagrazia.
Risulta dalle deposizioni di Faitella Renato, Caronna Carlo e Bombonati Isidoro che il Bontate soleva occuparsi dell’assunzione di operai presso la impresa Vaselli e di pratiche di suoi protetti presso la Federazione Provinciale Coltivatori Diretti.
A Bontate Francesco Paolo si rivolgono Marcianò Francesco Paolo, Benedetto, Stefano a Giuseppe per chiederne la mediazione nella divisione di un fondo da loro acquistato in territorio di Castelvetrano, dove il Bontate si reca proprio alla fine di giugno 1963.
Attraverso tali risultanze la figura di “Don Paolino Bontà” si profila nella massima chiarezza come quella del capo-mafia tradizionale, che interviene direttamente o no, in tutte le faccende interessanti la sua zona, fa da arbitro nelle controversie private, assume il ruolo di grande protettore dei suoi concittadini, si insinua nei pubblici uffici e nelle aziende private, esercitando la propria influenza mediante sistemi intimidatori sempre subdoli e mascherati sotto apparente contegno corretto e riguardoso.
Bisogna aggiungere che l’imputato ha svolto in passato una intensa attività politica partecipando a riunioni e convegni del suo partito e stringendo o cercando di stringere amichevoli rapporti con parlamentari e personalità politiche, qualcuno dei quali, come l’on. Ernesto Pivetti, componente tra il 1950 ed il 1955 della Commissione Provinciale per il confino di Polizia, non esita e definire il Bontate come un “innocuo bonaccione”.
Quanto ai testi indicati a discolpa, é il caso di soffermarsi sulle deposizioni di Vitale Gaetano e di La Monaca Arturo.
Vitale Gaetano, agricoltore, proprietario di un agrumeto a Falsomiele, limitrofo a quello del Bontate, si limita a dichiarare di conoscere superficialmente l’imputato e di non aver avuto con lui particolari rapporti di amicizia o di affari.
Dopo due giorni lo stesso Vitale si presenta spontaneamente per fare l’elogio di Bontate “persona corretta e onesta...”, “...benemerito della società...”. L’atteggiamento del teste si spiega quale conseguenza non di un semplice ripensamento bensì del deciso intervento di qualche amico “sentito” del Bontate, il quale, non soddisfatto della prima deposizione, ha “persuaso” il Vitale a presentarsi per magnificare le virtù di “don Paolino”. Ciò dimostra come ancora oggi il comportamento dei testi venga spesso controllato e influenzato dai mafiosi, secondo una loro tattica fondamentale.
Quanto ad Arturo La Monaca, già comandante della Stazione Carabinieri di Villagrazia per otto anni, il suo favorevole apprezzamento sul Bontate è frutto, quanto meno, di una deplorevole superficialità e di una assoluta mancanza di spirito di osservazione.
Non occorrono i chiarimenti del La Monaca per sapere che Bontate Francesco Paolo non girava armato per commettere rapine e omicidi, Bontate Francesco Paolo non è un comune delinquente, ma é indubbiamente un mafioso quindi un delinquente ancora più pericoloso degli altri, per la sua maschera di rispettabilità, con la quale, a quanto sembra, é riuscito a trarre in inganno persino un maresciallo dei Carabinieri.
E a questo proposito si deve sottolineare che la pericolosità del mafioso del tipo del Bontate, mimetizzato da bonario agricoltore, da disinteressato paciere, da generoso benefattore, da “uomo d’ordine”, è di gran lunga superiore a quella del mafioso in lotta aperta con la società, per la maggiore difficoltà di individuarne le subdole attività delittuose, e di spezzare la sua rete di amicizie, protezioni e connivenze.
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