Nel corso della prima indagine per la strage di Via Fatebenefratelli, il giudice Lombardi fu informato dall'allora direttore del Sid che il sedicente anarchico è stato fonte del Sifar dal novembre 1954 al marzo 1960, con il nome di copertura di "Negro", ma in realtà, Bertoli era stato poi "riassunto" dal Servizio nel 1966...
Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Potete seguirlo a questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Dal 29 luglio è iniziata la prima serie dedicata alla sentenza della corte d’assise di Bologna che ha condannato all’ergastolo Paolo Bellini per la strage di Bologna e ha squarciato il velo su alcuni mandanti
Individuato quindi l’obiettivo in Rumor, che secondo quanto dichiarato da Digilio, "era odiato nell’ambiente di destra perché aveva ostacolato i progetti di mutamento istituzionale in Italia e si era mostrato ostile alla destra, occorreva trovare l’esecutore, e nonostante la rinuncia di Vinciguerra, Maggi "avrebbe continuato a occuparsi del progetto" utilizzando Gianfranco Bertoli "che era una persona disposta a tutto. Se si fosse riusciti a reclutare Bertoli vi sarebbe stata per l’azione una copertura anarchica dinanzi all’opinione pubblica che avrebbe funzionato come aveva funzionato in passato e cioè per Piazza Fontana.
Bertoli, inoltre, era persona "disposta a tutto", come affermano gli ordinovisti, probabilmente ricattabile in quanto dedito all’alcool "e al limite della sopravvivenza e senza scrupoli. A differenza di Vinciguerra, probabilmente senza neppure troppi ideali. Per Maggi e Soffiati è l’uomo ideale per portare a termine la strage. A tal fine, Bertoli viene prelevato nella zona di Mestre e portato a Verona, in Via Stella, presso l’abitazione di Soffiati, dove alla presenza di questi, di Neami e dello stesso Digilio, viene indottrinato sul da farsi. Maggi, responsabile della cellula, limitava le sue visite, e a gestire il futuro stragista era Neami.
Dalla testimonianza di Digilio emerge un quadro decisamente inquietante, con Bertoali, perso in farneticazioni "diceva che comunque fosse andata egli sarebbe diventato un grand’uomo", e gli uomini di Ordine Nuovo che istruiscono l’uomo che lancerà la bomba. In particolare, "Neami gli stava spiegando, con una specie di vero e proprio lavaggio del cervello, cosa avrebbe dovuto dire alla Polizia in caso di arresto e gli faceva ripetere le risposte che avrebbe dovuto dare e cioè che era un anarchico individualista e che si era procurato da solo, in Israele, la bomba per l’attentato.
L’episodio dell’indottrinamento di Bertoli in Via Stella poi collocato temporalmente da Digilio a circa due mesi prima il giorno della strage, periodo nel quale di Bertoli non è possibile rintracciare una dimora nota. Il teste, tuttavia, ritiene che così come sia stato spiegato a Bertoli cosa dovesse rispondere e cosa dovesse sostenere frase per frase, gli sia stato anche indicato cosa sostenere in merito ai suoi spostamenti in quel periodo.
Martino Siciliano conferma nel merito quanto riferito da Digilio, affermando che Bertoli, lungi dall’essere l’anarchico che si voleva e vuole tuttora far passare, conosceva non solo elementi di destra legati anche alla piccola malavita dell’entroterra mestrino [ ... ], ma conosceva molto bene anche il dr. Maggi e Paolo Molin ed era rimasto in contatto con il dr. Maggi anche durante la sua permanenza in Israele.
Siciliano afferma poi di aver avuto conferma da Zorzi che la strage del 17 maggio era inquadrata nella loro strategia, e analoghe conferme sono state fomite da Vinciguerra, proprio per il fatto di essere stato il primo destinatario della proposta di eliminare l’on. Rumor. La figura e il ruolo di Gianfranco Berteli vanno inseriti, tuttavia, in un ben più complesso e pregnante circuito, i cui referenti sono elementi degli apparati di sicurezza statunitensi, italiani e israeliani. Il R.O.S. dei Carabinieri, a completamento degli accertamenti svolti per conto del G.l. ha evidenziato la consistenza e la natura della rete cui fanno riferimento Carlo Digilio e Soffiati, in collegamento con elementi di una struttura CIA/NATO di cui si darà conto più avanti.
Ciò che disarma, tuttavia, è che l’intero gruppo dagli strateghi, ai mandanti agli esecutori è praticamente in contatto con apparati di sicurezza dei paesi Nato. Non solo, infatti, Digilio e Soffiati sono agenti, l’uno infonnativo e l’altro operativo, della rete Cia/Nato con base a Verona, ma lo stesso Berteli, prima di lanciare la bomba è stato per lunghi anni informatore dei nostri servizi segreti.
L’agente Gianfranco Bertoli.
Nel corso della prima indagine per la strage di Via Fatebenefratelli, il giudice Lombardi fu informato dall’allora direttore del Sid che il sedicente anarchico è stato fonte del Sifar dal novembre 1954 al marzo 1960, con il nome di copertura di "Negro", ma in realtà, Bertoli era stato poi "riassunto" dal Servizio nel 1966. Fino a che periodo l’autore della strage sia stato in contatto con apparati dello Stato, il giudice non ha potuto scoprire, stante che il Centro controspionaggio di Padova (referente di Bertoli) riferiva di aver bruciato tutta la documentazione antecedente il 10 gennaio 1976, sì da eliminare ogni possibile traccia del rapporto tra il Centro stesso e Bertoli. Certo è, tuttavia, che già nei primìssimi giorni dopo la strage i nostri Servizi erano a conoscenza dell’identità tra Gianfranco Bertoli e la fonte "Negro", identità mai rivelata al giudice competente, e che il rapporto tra Bertoli e il Sid era ancora in corso nel 1971.
Proprio nel 1971 Bertoli si trasferisce in un kibbutz israeliano e lì, con ogni probabilità, stabilisce contatti con il locale Servizio, tanto che il giorno stesso della strage il nostro Servizio si premura di prendere contatti con Pomologo israeliano, al fine di acquisire notizie sull’attentatore. E’ il generale Maletti a disporre la missione del Capocentro di Verona in Israele, e dopo quattro giorni, la risposta che il Capocentro riporta sembra inequivocabile: non riferire all’autorità giudiziaria quanto conosciuto su Berteoli. TI colonnello Viezzer trasfonderà poi questa premura in un appunto allegato al fascicolo di Berteoli, nel quale si legge"[ ... ] prega di non dare al1’ Autorità Giudiziaria, se non importante e indispensabile, le notizie sul Bertoli".
E’ evidente, dunque, che Bertoli non è solo un informatore dei nostri servizi di sicurezza, ma è moltov probabilmente anche un agente (informatore o operativo, non è dato conoscere) del Servizio segreto israeliano.
Un cenno a parte merita il rapporto con Gladio, nella cui rete Bertoli è stato quasi certamente reclutato, pur se inserito tra i "negativi". Benché la VII divisione del Sismi e i responsabili di Gladio abbiano a lungo sostenuto trattarsi di una semplice omonimia, gli accertamenti esperiti hanno consentito di smentire questa ipotesi, confermando la presenza di Bertoli tra coloro che furono inseriti, pur se con esito negativo, nella struttura di Gladio. Giova peraltro ricordare che molti dei c.d. "negativi 11 risultano, in realtà aver preso parte alle esercitazioni militari della struttura, cosa che autorizza a ritenere che la distinzione tra "positivi" e "negativi" non fosse poi così categorica.
L’esiguità del numero ufficiale dei gladiatori effettivi solo 622 in oltre quarant’anni di attività - induce a ritenere, infine, che molti dei nomi dei gladiatori siano ancora coperti da segreto. Con la duplice copertura dei Servizi italiani e israeliani, e probabilmente "avvertita" la Gladio, Bertoli viene reclutato da Maggi e Soffiati per compiere la strage del 17 maggio 1973. E mentre le intelligence seguono i movimenti del primo, situazione e cioè che il gruppo stava preparando attraverso Bertoli un attentato contro l’on. Rumor. A differenza di altre situazioni precedenti, come ad esempio l’attentato all’Ufficio istruzione di Milano, questa volta Carret mostrò di non essere stato ancora informato da nessuno di quanto stava accadendo.
A seguito del mio racconto e della spiegazione che gli feci in merito a quale tipo di persona fosse il Bertoli, il capitano Carret si mostrò preoccupatissimo e disse che era un’azione che poteva finire male e che c’era a quel punto il rischio che anch’io, che ero suo ottimo informatore ne fossi travolto. Aggiunse infatti che nel caso fosse stata effettivamente colpita una così alta personalità dello Stato, le indagini sarebbero sta e molto approfondite con il rischio, tramite Bertoli, di mettere allo scoperto l’intera struttura e di venire a sapere tutto quello che era avvenuto anche in passato compresi gli attentati e il progetto di golpe degli anni 1969/1970. La preoccupazione del capitano Carret, referente Cia/Nato di Digilio è dunque quella che, colpito il Ministro dell’interno, lo Stato non possa più continuare a nascondere la realtà, coprendo i responsabili degli attentati e del tentativo di golpe del 1969/1970.
La realtà, come è ampiamente dimostrato, doveva dar ragione per converso al capitano Carret: non essendo rimasto coinvolto Rumor, pur in presenza di quattro morti e decine di feriti, gli apparati dello Stato nulla fecero per coadiuvare la magistratura che indagava, ed anzi come abbiamo visto hanno nascosto per decenni i legami di Bertoli con i Servizi. Cinque anni dopo, tuttavia, giungerà indiretta la smentita alle tesi del capitano Carret, quando l’on. Moro verrà trovato cadavere dopo 55 giorni di prigionia e ventidue anni di indagini non hanno ancora sgombrato del tutto il campo da dubbi e sospetti.
In ogni caso, appare evidente che gli uomini della rete Cia/Nato di stanza in Italia sono preventivamente messi al corrente da Digilio di quanto il gruppo di Ordine Nuovo sta preparando, ma l’unico rischio che sembrano avvertire è che, a causa della importanza dell’obiettivo designato, possano svilupparsi indagini capaci di giungere alle responsabilità più alte. Nessuna intenzione, da parte del colonnello Carret e dei suoi referenti, di riferire alle competenti autorità~ siano esse l’ A.O. o i Servizi di sicurezza di quanto appreso, forse con la certezza che flattività di un gruppo abbondantemente infiltrato come quello ordinovista del Veneto, non poteva sfuggire alla conoscenza degli apparati dello Stato.
Molti, se non tutti, erano quindi al corrente di quanto avveniva a casa di Soffiati: l’indottrinamento di Bertoli al fine di eseguire l’attentato davanti alla Questura di Milano, vittima predestinata il Ministro dell’interno Rumor. Sapevano i Servizi italiani, quelli israeliani e quelli statunitensi, ma nessuno fece nulla per impedire la morte di quattro persone innocenti e il ferimento di oltre quaranta. Prevalse, come sempre ha prevalso nei cinquant’anni oggetto di questa relazione, la supposta "ragion di Stato".
Così come Andreotti si assunse la responsabilità, solo 5 anni dopo i fatti, di svelare che Giannettini era agente del Sid coinvolto nella strage di Piazza Fontana, il Sid non rivelò al giudice istruttore che Berteli era stato - e forse era ancora un loro informatore. Coprire sempre e comunque anche i più efferati delitti - e nulla vi è di più efferato di una strage compiuta tra la anonima folla è stato per anni l’imperativo categorico non solo dei responsabili dei nostri Servizi, ma purtroppo anche di buona parte della classe politica al potere allora.
Che in quasi tutte queste vicende siano interessati, quantomeno come "spettatori", agenti e/o strutture facenti capo alla Nato non deve quindi stupire, se si considerano i presupposti della strategia della tensione. Per frenare il progressivo aumento di consenso della sinistra nel Paese era necessario far ricadere sulla stessa responsabilità che originavano altrove, fatti ed episodi artificiosamente costruiti proprio da quegli apparati che avrebbero dovuto vigilare sulla sicurezza del Paese, ma che, in ultima istanza, rispondevano solo e unicamente ai principi dell’oltranzismo atlantico" (pagg. 220-228).
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