Dopo appena qualche giorno dalla sua – parzialissima – introduzione, il processo penale telematico è già andato in tilt.

Di rinvio in rinvio, il processo penale telematico previsto dalla riforma Cartabia nel 2022 doveva entrare definitivamente in vigore dal 1° gennaio 2025. La struttura digitale e l’applicativo APP 2.0 approntato dal ministero e già oggetto di molte critiche sul funzionamento da parte dei magistrati, però, hanno dimostrato di non essere ancora pronta nemmeno per gestire parzialmente il flusso di lavoro.

Un decreto legge, infatti, aveva previsto di far slittare a fine 2025 l’esclusività del deposito digitale per gli atti della procura e del gip del primo grado e gli atti nei procedimenti cautelari e del giudizio del tribunale del riesame possano avvenire anche con modalità non telematiche. Una proroga col doppio binario fino al 1° aprile 2025 è stata prevista per l’iscrizione delle notizie di reato e degli atti del rito per direttissima.

Di conseguenza, al 1 gennaio avrebbe dovuto essere gestito in modalità esclusivamente telematica solo il deposito «degli atti del processo nelle fasi dell’udienza preliminare, dei riti speciali (giudizio immediato, abbreviato, patteggiamento e decreto penale di condanna) e del dibattimento». Non poco - visto che gli atti riguardano i procedimenti della procura della Repubblica presso il tribunale ordinario, della procura europea e del tribunale ordinario – ma nemmeno l’intero flusso di lavoro nel settore penale.

Eppure, anche questo è stato impossibile.

I problemi

Il problema è stato il crash di APP – acronimo che sta per applicativo per il processo penale – che è l’applicativo del ministero per la gestione del processo. Negli mesi del 2024 che servivano per il rodaggio, APP ha avuto parecchi casi di malfunzionamento tanto che a marzo dodici procure hanno chiesto di sospenderne l’utilizzo. Troppi i disguidi tecnici, causati da una progettazione iniziale del software che è stata definita non adeguata alla reale organizzazione degli uffici. Il Csm, a cui le procure si sono rivolte, ha parlato di «vizi progettuali da recuperare con urgenza».

Il risultato è stato il rilascio, il 18 ottobre scorso, di APP 2.0 che ora è in uso sia nelle procure sia nei tribunali e che avrebbe dovuto colmare le lacune segnalate dagli uffici giudiziari con l’aggiunta – secondo il ministero – di sistemi di ricerca dei fascicoli, la possibilità di lavorare in bozze e la visualizzazione del calendario udienze.

In realtà, i primi giorni hanno già segnato lo stop cautelativo del tutto e il ritorno al deposito cartaceo degli atti.

Sin dai primi giorni dell’anno, infatti, sono state moltissime le segnalazioni di errori di sistema e il tracollo è arrivato il 7 gennaio, quando sono riprese le udienze dopo la fine delle vacanze invernali.

Il 7 gennaio, infatti, il tribunale di Milano ha disposto la «sospensione» del sistema APP per evitare casi di «malfunzionamento dei sistemi informatici», come si legge nella circolare firmata dal presidente del tribunale, Fabio Roia, con cui è stata prorogata almeno fino al 31 marzo 2025 la possibilità di «redigere e depositare, anche con modalità analogiche» gli atti, documenti, richieste. L'APP ministeriale, infatti, «non è compatibile» a causa della «mancanza» e «inidoneità» della struttura: criticità che rischiano di «incidere in maniera significativa» sui processi e «generare problematiche di natura informatica in grado di ripercuotersi sull'attività processuale e sul lavoro dei magistrati e del personale» con un «rallentamento delle risposte giudiziarie contrario anche al principio di celere definizione del procedimento penale».

Decisioni in linea con quella di Milano sono state assunte anche negli altri due grandi tribunali italiani di Roma e Napoli, dove si sono verificati gli stessi problemi. L’8 gennaio anche i tribunali di Palermo, Bari e Torino hanno preso la stessa decisione e così hanno fatto anche tribunali medi e piccoli come Pescara, Genova, Bolzano, Trento, Catanzaro e Aosta.

Anche la procura di Roma, la più grande d’Italia, ha gettato la spugna, con il procuratore capo Francesco Lo Voi che in una circolare ha stabilito che i pubblici ministeri per i prossimi 23 giorni dovranno redigere e depositare gli atti «in forma di documenti analogici» invitando a trasmettere «con modalità non telematiche documenti, richieste e memorie» perché «in molti casi non risultano presenti in App i relativi modelli» di atti.

L’iniziativa è stata presa dai dirigenti degli uffici grazie a una norma che permette la valutazione dei casi di malfunzionamento dei sistemi informatici anche in assenza di una verifica da parte del Direzione generale del ministero della Giustizia, con eventuale sospensione.

Le reazioni

«Si pretende di mandare in esercizio i moduli più complessi ed estesi di un applicativo informatico (APP) senza che lo stesso sia stato efficacemente testato presso gli uffici, e tanto pur sinora essendosi registrati di continuo numerosissimi malfunzionamenti», è stato il duro comunicato dell’Associazione nazionale magistrati del 4 gennaio, parlando di «fallimento annunciato».

In effetti, le criticità erano state rilevate e segnalate dagli uffici che avevano effettuato la sperimentazione del sistema ma «si è altresì proceduto non prendendo in adeguata considerazione la scarsità di risorse e di infrastrutture tecnologiche che consentano ai Tribunali di celebrare efficacemente i processi per il tramite delle tecnologie digitali. Si agisce come se gli uffici fossero stati, tutti e da tempo, dotati di postazioni pc con accesso ad app, nelle aule d'udienza e nelle camere di consiglio. Si opera come se il personale amministrativo e giudiziario fosse stato dotato di una idonea struttura di assistenza per la immediata gestione delle criticità».

Tali critiche erano già state mosse anche dal Csm e dai gruppi associativi della magistratura, che avevano segnalato la carenza di risorse e formazione degli operatori per permettere la transizione digitale.

Nel parere del Consiglio, infatti, che si esprimeva favorevolmente alle proroghe, si leggeva la preoccupazione per la carenza di sperimentazione negli uffici e le mancanze tecnologiche.

Subito dopo il blocco dell’operatività di APP in molti tribunali, anche i penalisti dell’Unione camere penali sono intervenuti, chiedendo che il legislatore intervenga in via legislativa dopo le circolari dei tribunali per «porre argine all'effetto domino dalle conseguenze imprevedibili, ma certamente contrarie alla volontà delle norme, che tali provvedimenti genereranno, mettendo a rischio la legalità processuale, rimodulando i tempi di attuazione del processo penale telematico, secondo scadenze che tengano conto dell'effettivo avanzamento dei sistemi telematici e della preparazione professionale impartita al personale di cancelleria, preservando l'efficienza degli uffici giudiziari e soprattutto garantendo il concreto ed effettivo esercizio del diritto di difesa».

La paura dei penalisti è la stessa dei magistrati: «Creare le condizioni oggettivamente non gestibili per il quotidiano esercizio delle funzioni giudiziarie, che hanno indotto vari capi degli uffici a fare ricorso a strumenti certamente inadeguati per scongiurare una paralisi, o peggio, il governo del caos nel sistema penale». 

Le spiegazioni di Nordio

Dal canto suo, il ministro della Giustizia Carlo Nordio è dovuto correre ai ripari e l’8 gennaio ha avuto un incontro a palazzo Chigi proprio per discutere i problemi legati all’applicativo del processo penale telematico. 

Il guardasigilli ha detto in una intervista alla Stampa che «senza le adeguate risorse finanziarie e umane, era inevitabile qualche difficoltà. Ci stiamo lavorando» e che rimane fermo il termine per il completo passaggio al digitale, previsto per il 31 dicembre 2025.

© Riproduzione riservata