Il presidente Santalucia aveva chiesto un intervento del consiglio. Tra i togati c’è chi lo avrebbe gradito, per altri sarebbe stato poco corretto che il vicepresidente parlasse
Davanti a una stagione complicata come quella presente, la politica giudiziaria non va mai in vacanza, anche se in superficie non appare. Per questo, l’appello del presidente dell’Anm Giuseppe Santalucia al Consiglio superiore della magistratura per «tutelare l’autonomia e l’indipendenza e quindi anche l’immagine della magistratura» in seguito agli attacchi sulla presunta (e ad oggi inesistente) indagine a carico di Arianna Meloni, non è caduto nel vuoto a palazzo Bachelet. Benché il consiglio sia formalmente in vacanza, nelle chat e a livello di interazioni informali c’è stato ampio dibattito sull’opportunità di un intervento del vicepresidente, Fabio Pinelli e su Repubblica, ieri, è intervenuto a titolo personale il laico eletto in quota Italia Viva Ernesto Carbone.
A margine, va ricordato che il consiglio sta vivendo una fase delicata, con una frattura sempre più netta tra laici e togati e la complicata vicenda che riguarda la consigliera in quota Fratelli d’Italia, Rosanna Natoli, autosospesa dalla sezione disciplinare e sotto indagine presso la procura di Roma dopo essere stata registrata mentre violava il segreto della camera di consiglio con una magistrata sotto procedimento.
Anche alla luce dei complessi rapporti tra membri del consiglio, dunque, in questo momento l’interlocuzione interna è particolarmente tesa. Inoltre, davanti agli attacchi alla categoria arrivati dal centrodestra dopo il retroscena de Il Giornale, soprattutto i togati si sono sentiti chiamati in causa.
Le tesi dei togati
Sentiti da Domani, una parte dei consiglieri - soprattutto di area progressista - avrebbe «gradito» una presa di posizione del vicepresidente, pur nella consapevolezza che sarebbe servita una interlocuzione che non ha potuto compiutamente svolgersi. Esiste poi anche una corrente di pensiero più moderata secondo cui la vicenda, per la sua estrema delicatezza visto che la presidente del Consiglio chiama in causa l’intera categoria della magistratura, meriti non la risposta personale del vicepresidente Pinelli, ma un atto di natura collegiale e che dunque investa l’intero consiglio.
Per questo, una delle ipotesi al vaglio è quella di lavorare su una delibera del plenum, per esempio con una pratica a tutela. In questo modo, ad attacco diretto all’intera categoria, potrebbe arrivare una risposta corale. Tuttavia, ad oggi l’attenzione è tutta a capire se la vicenda si smorzerà nei prossimi giorni e quindi se possa dirsi conclusa per quando il consiglio riprenderà i lavori.
A domanda, su questo ha risposto il consigliere togato indipendente Andrea Mirenda, secondo cui «il Csm deve comportarsi in modo strettamente istituzionale: suo dovere è tutelare l’indipendenza del singolo magistrato quando attaccato da altri poteri, politici o economici che essi siano, in termini che esulano dal diritto di critica risolvendosi in sottile minaccia», è il ragionamento. Nel caso specifico, invece, «manca la premessa: non si sa di cosa stia parlando la Presidente del Consiglio e il suo intervento, certo scomposto, non addita alcun magistrato ma si risolve in un accusa grossolana a tutta la magistratura. Accusa che, per i suoi contorni inconsistenti e generici, ha già ricevuto adeguata risposta dall’Anm, per bocca del suo presidente».
La prudenza del vicepresidente di area centrodestra Pinelli – che il 25 settembre interverrà al meeting di Rimini -, appare aver interpretato il sentire di buona parte dei suoi consiglieri in questa fase, anche nell’ottica di non cadere in un dibattito pubblico che da una fonte togata è stato definito «isterico» intorno ai temi della giustizia.
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