Secondo fonti del Quirinale la firma sul cosiddetto ddl Nordio, che contiene l’abrogazione del reato d’abuso d’ufficio, è ormai questione di ore. Arriverà allo scadere (il 9 agosto) del mese di tempo a disposizione degli uffici del Colle per valutare eventuali manifeste criticità rispetto al dettato costituzionale.

Un via libera senza rilievi e il ddl potrà essere pubblicato in Gazzetta ufficiale. L’effetto sarà duplice: da un lato verranno archiviati tutti i procedimenti penali in corso per questa ipotesi di reato, dall’altra verranno revocate circa 3.600 condanne – secondo i dati ministeriali – già passate in giudicato dal 1997 al 2022, a meno che non sia configurabile un altro reato.

Non solo, non saranno più punibili almeno tre condotte particolarmente odiose: l’abuso di vantaggio, che prevede la strumentalizzazione del potere da parte del pubblico ufficiale per fini personali; l’abuso di danno, nel caso in cui l’abuso serva a provocare un danno ingiusto a un cittadino e l’omessa astensione in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto, che è una forma di tutela rispetto al conflitto di interessi.

Grazie alla conversione in legge del decreto Carceri, invece, è stato introdotto il reato di peculato per distrazione (il pubblico ufficiale che destini denaro o altri beni a un uso diverso rispetto a quello a cui sono destinati), che prima rientrava nell’abuso d’ufficio.

Proprio questa corsa ai ripari del governo in un decreto legge che, almeno nominalmente, doveva occuparsi dell’emergenza carceraria e non certo dell’introduzione di nuovi reati, è servita a mettere una toppa al problema di incostituzionalità più evidente del ddl Nordio.

L’Italia, infatti, è formalmente obbligata da una direttiva del 2017 a prevedere il reato di appropriazione e distrazione di denaro e altri beni a danno degli interessi finanziari dell’Ue, così è stato necessario “resuscitare” un reato ad hoc.

I rischi

Tuttavia i rischi di incostituzionalità e di apertura di una procedura di infrazione europea non sono scongiurati. L’ipotesi di una questione di legittimità costituzionale davanti alla Consulta è possibile per violazione di una convenzione internazionale. La convenzione di Merida in materia di corruzione fissa un impegno di incriminazione per le condotte che erano previste dall’abuso d’ufficio.

La tesi del ministro della Giustizia, Carlo Nordio, è che l’impegno non si traduca in un obbligo, tuttavia autorevoli giuristi hanno obiettato che in ogni caso anche l’impegno viene disatteso. Inoltre, incombe ora sull’Italia anche una proposta di direttiva europea affinché l’abuso d’ufficio venga punito dagli stati europei.

Il rischio più impellente, invece, è quello di una procedura di infrazione europea, i cui step sono prima una lettera di messa in mora allo stato per permettergli di correggere, poi una citazione in giudizio davanti alla Corte di Giustizia dell’Unione europea e poi una eventuale condanna con sanzione pecuniaria.

L’introduzione del peculato per distrazione non incontra tutti i requisiti previsti dalla direttiva Ue: prevede la responsabilità solo delle persone fisiche e anche la pena è troppo bassa. La direttiva, invece, prevede che la responsabilità esista anche per le persone giuridiche (quindi le società) e che il massimo edittale debba essere almeno quattro anni reclusione, nel caso di danno agli interessi finanziari della Ue oltre i 100mila euro.

Il nuovo reato prevede la pena massima di tre anni. Errori che – dopo la propaganda politica – rischiano di obbligare la maggioranza a rimettere mano ai reati contro la pubblica amministrazione, come del resto ha fatto presente la leghista Giulia Bongiorno.

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