Mattarella ha firmato il decreto Carceri, che contiene una norma-toppa come ci chiede l’Ue. Governo scomposto nell’attesa, l’autoinvito del Guardasigilli al Quirinale slitta a settembre
Arriverà domani (9 agosto) la firma del Quirinale sulle norme che prevedono l’abolizione dell’abuso di ufficio, e i gesti scomposti arrivati dalla maggioranza mercoledì, in attesa di questa firma, raccontano il nervosismo della destra. Unita a una tale diffidenza verso il Colle da lasciarsi andare a pressioni istituzionalmente sgrammaticate.
Per promulgare la contestata legge, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella si è preso tutto il tempo che gli spetta: i trenta giorni dal sì della Camera, arrivato lo scorso 10 luglio, scadono appunto domani.
Il testo è stato avversato dalle opposizioni, dai magistrati e dal Consiglio europeo. E certamente durante questo intero mese, parte del quale il presidente peraltro non era a palazzo, è stato impiegato dagli uffici per un’approfondita valutazione.
Ma soprattutto il rallentamento, almeno rispetto ad altre firme più tempestive, che ha messo in agitazione il governo, era indispensabile per aspettare il sì delle camere al decreto Carceri. Dove in corso d’opera, e del tutto fuori tema, è stato introdotto il reato di peculato per distrazione.
Una toppa, in sostanza, una mediazione compatibile con le direttive europee per riempire il “buco” che altrimenti sarebbe rimasto nell’ordinamento. Senza il nuovo reato, non è dato sapere se la promulgazione sarebbe arrivata.
E infatti oggi pomeriggio il presidente della Repubblica, dopo aver reso pubblico un messaggio di commemorazione della strage di Marcinelle – la miniera belga dove l’8 agosto del 1956 persero la vita 265 lavoratori di cui 136 immigrati italiani, e dopo aver ricordato che l’obiettivo della sicurezza e della dignità dei lavoratori «non è stato ancora pienamente raggiunto» – ha promulgato il decreto Carceri. Platealmente prima dell’altro.
Paura di una nota
Nell’attesa, la maggioranza ha dato segni di imperizia, e soprattutto di impazienza. Mercoledì sera dal ministero della Giustizia sono filtrate voci di una lettera di accompagnamento alla firma, o di una nota. Tutto poi smentito da fonti del Quirinale. Ma lo stile Mattarella, volto a garantire al paese un ordinamento senza buchi, soprattutto verso l’Europa, ancora una volta aveva innervosito il governo.
Dopo mesi di distanze, dopo le opposte posizioni sulla libertà dell’informazione e, da ultimo, le opposte letture delle stragi di matrice neofascista della stazione di Bologna e del treno Italicus. Il presidente, come sempre, non dà spazio a interpretazioni ostili verso la maggioranza e l’esecutivo. Ma si può affermare anche il contrario? È sempre più difficile.
Che le pressioni della maggioranza siano state intempestive – bastava tenere a mente le procedure e a freno il resto – lo racconta la rumorosa retromarcia del ministro della Difesa Guido Crosetto.
Mercoledì aveva messo un “like” a un post su X di Enrico Costa, deputato di Azione – dato ormai in rientro in Forza Italia – che segnalava il ritardo della firma quirinalizia alla vigilia dello scadere dei termini. Quel “like”, ovviamente, era un avallo all’osservazione. E non poteva non essere notato dai cronisti. Poi, dopo le smentite del Colle, Crosetto se l’è presa, come al solito, con la stampa, a cui ancora una volta dà le pagelle. «Ad agosto spesso il vero giornalismo va in vacanza», ha scritto di nuovo su X: «Non attaccherei mai Mattarella, che considero un pilastro della nostra nazione, non solo per il ruolo istituzionale che riveste in questi anni ma per la sua storia e per l’amicizia che mi lega a lui».
Quel “mi piace”, scrive, era un plauso alle consuete «riflessioni garantiste» di Costa. Ma nel tweet in questione c’era una polemica, non una riflessione garantista.
Nordio si autoinvita al Colle
Alla stessa voce va rubricato anche il gesto fuor d’opera, sempre all’indirizzo del Colle, del ministro della Giustizia Carlo Nordio: un improvviso annuncio di un incontro al Quirinale sul tema delle carceri. Peraltro arrivato mercoledì sera, dopo l’approvazione del decreto Carceri alla Camera fra le contestazioni perché la legge non affronta né risolve nessuna delle emergenze drammatiche di questi mesi, in qualche caso anzi le peggiora: 65 suicidi di detenuti dall’inizio dell’anno, a cui vanno aggiunti 7 di guardie carcerarie e altri 97 decessi per cosiddette cause naturali.
Al termine di un vertice a palazzo Chigi, presente la premier Giorgia Meloni, il ministro ha informato di aver «prospettato soluzioni a breve e medio termine per il sovraffollamento carcerario», sulle quali ha chiesto un incontro a Mattarella. Un’ammissione dell’inutilità del decreto appena licenziato. Ma anche un autoinvito al Colle del tutto estemporaneo. Peraltro, niente più che un annuncio: a oggi non ci sono appuntamenti fissati. E alla vigilia di Ferragosto, gli uffici sono chiusi. L’incontro è rinviato alla ripresa. Anche perché al momento nella cartella di Nordio non c’è niente di concreto.
Insomma è la coda di paglia a produrre mosse scomposte, nell’attesa di portare a casa il “bottino” dell’abolizione dell’abuso di ufficio. Persino Francesco Petrelli, presidente dell’Unione camere penali e fan della legge, ha rassicurato la maggioranza.
«Come ogni legge controversa», ha detto, «è ovvio che sia stata sottoposta a un vaglio severo da parte del presidente della Repubblica. Ma un eventuale rinvio al parlamento dovrebbe essere motivato con particolare forza argomentativa e fondato su ragioni tecnico-giuridiche che attualmente non ci sembra siano ravvisabili». Vedremo, ma in effetti non sarebbero state “ravvisate”. Il che non toglie che potrebbero essere “ravvisate” dalla Consulta, o di nuovo da un organismo europeo.
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