Dopo aver appiccato l’incendio, è iniziato il tentativo di buttare acqua sul fuoco. L’incontro ufficiale del vicepresidente del Csm, Fabio Pinelli con la premier Giorgia Meloni proprio nei giorni di aspro scontro tra governo e magistratura e senza aver concordato con il Colle il contenuto del confronto ha infatti prodotto una serie di effetti.

Il più rilevante, secondo fonti quirinalizie, è la sorpresa e l’irritazione di Sergio Mattarella per una iniziativa quantomeno sgrammaticata, visto che il Csm è organo collegiale e il vertice è il Quirinale, con cui ogni passo deve essere concordato.

Meloni non poteva che aver messo in conto tale reazione, ma fonti di FdI confermano come sia stato considerato preminente mandare un messaggio alle toghe «non di sinistra», per mostrare che l’attacco non è all’intera categoria.

Tentando di ridimensionare lo scontro, il ministro della Giustizia Carlo Nordio ha detto di aver incontrato anche lui Pinelli, «credo sia perfettamente normale che vi sia questa interlocuzione che non vulnera nessuna prassi o legge dello Stato». Vero fino a un certo punto, visto che per prassi il vicepresidente viene delegato o dal plenum o dal Quirinale, quando ha incontri ufficiali con altri poteri e proprio il comunicato di Chigi ha dato a quello con Meloni il crisma della formalità. Il tentativo di normalizzazione, infatti, convince in pochi al Csm.

Senza contare che Nordio ha rincarato la dose contro le toghe, chiedendo loro dal salone della Giustizia di «fare un passo indietro» rispetto alle continue «critiche» ai provvedimenti del governo attraverso le sentenze. Lapidaria l’Anm: «Non si può arretrare nell'esercizio della professione. I provvedimenti possono essere impugnati».

Il no di Pinelli

Pinelli, che probabilmente non aveva previsto le conseguenze della sua iniziativa, ora è barricato dietro le sue posizioni e ha scelto di non rispondere in plenum – registrato e trasmesso su radio radicale – alla richiesta ufficiale presentata da 14 consiglieri di riferire in plenum sui contenuti del dialogo.

«La mia presenza in sede è costante e le mie porte sono aperte, sono quindi ben lieto di poter interloquire con chi manifestasse ancora interesse per l’incontro istituzionale da me avuto», ma «voglio sin d’ora rassicurare che si è ovviamente trattato di un incontro programmato nell’ambito di una corretta e istituzionale relazione tra organi dello Stato».

Anche su questo, però, i dubbi sono molti: come se non bastasse la reazione registrata dal Colle, fonti sia laiche che togate raccontano di come Pinelli, nel corso degli ultimi mesi, si starebbe muovendo per accreditarsi presso palazzo Chigi. E Meloni, incontrandolo proprio nell’acme dello scontro con i magistrati, avrebbe fatto leva proprio su questo.

Nel tentativo di smorzare anche i retroscena sui contenuti della conversazione con la premier, fonti del Csm vicine alla presidenza hanno anche chiarito che nell’incontro «è stata ribadita la loro fiducia nella magistratura, nonché il disinteresse della premier per qualunque polemica con le toghe».

Il primo passaggio risponde a quanto immaginato: l’incontro serviva a Meloni a dire che, nonostante gli attacchi personali a singoli magistrati «comunisti» (come li ha definiti Matteo Salvini), ha fiducia nella magistratura intesa come quella parte non politicizzata. L’ultima frase, invece, è una excusatio non petita che rischia di alimentare dubbi più che di fugarne. Infatti anche Il presidente dell’Anm, Giuseppe Santalucia ha detto che è «opportuno conoscere i contenuti dell’incontro».

Tra le ricostruzioni, del resto, ne circola una che parla di una premier interessata a capire gli equilibri interni al consiglio e in particolare che peso abbiano le toghe progressiste. Tuttavia, i consiglieri firmatari hanno deciso di non esacerbare ulteriormente lo scontro a tutela del consiglio, accettando di trasformare le comunicazioni al plenum in un incontro privato con Pinelli ma aperto a tutti i membri del Csm.

La tensione tra toghe e governo, dunque, se possibile è aumentata ancora e si è spostata anche al Csm.

Da una parte sono arroccati i laici di centrodestra che sostengono il diritto di Pinelli (pur non avendo con lui un rapporto strettissimo) di incontrare Meloni e rifiutano quella che una fonte definisce «il monopolio delle toghe di sinistra della narrazione pubblica».

Dall’altra, invece, tutti i togati tranne Magistratura indipendente si oppongono a quella che rischia di essere una strumentalizzazione politica dell’organo di governo autonomo delle toghe. Sopra a tutti il Quirinale, che nei mesi ha tentato di arginare lo scontro tra poteri ma che ora si è visto addirittura scavalcato.

Proprio qui si impernia la questione più delicata: il pasticcio è nato da un comunicato di palazzo Chigi, che ha scientemente acceso un faro sull’incontro tra Meloni e Pinelli. Inusuale, visto che se ne ricordano solo due in passato, tra un premier e un vicepresidente: uno nel 2006 e uno negli anni Ottanta. Dunque il vero scontro supera piazza Indipendenza e viaggia sulla linea tra palazzo Chigi e il Quirinale, le cui continue puntualizzazioni su temi delicati hanno creato più di un fastidio al governo.

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