Le sezioni unite della Cassazione hanno deciso che «La “chiamata del presente” o “saluto romano” è un rituale evocativo della gestualità propria del disciolto partito fascista, integra il delitto previsto dall'articolo 5 delle Scelba, ove, avuto riguardo a tutte le circostanze del caso, sia idonea a integrare il concreto pericolo di riorganizzazione del disciolto partito fascista»
Per il saluto romano va contestata la legge Scelba per apologia al fascismo. Così hanno deciso le Sezioni unite della Cassazione, che hanno disposto un processo di appello bis per otto militanti di estrema destra che avevano compiuto il saluto nel corso di una commemorazione a Milano nel 2016.
«La “chiamata del presente” o “saluto romano” è un rituale evocativo della gestualità propria del disciolto partito fascista, integra il delitto previsto dall'articolo 5 delle Scelba, ove, avuto riguardo a tutte le circostanze del caso, sia idonea a integrare il concreto pericolo di riorganizzazione del disciolto partito fascista», è stata la valutazione dei giudici della Suprema corte.
Inoltre «a determinate condizioni può configurarsi anche la violazione della legge Mancino» che vieta manifestazioni esteriori proprie o usuali di organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi che hanno tra i propri scopi l'incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi, «i due delitti possono concorrere sia materialmente che formalmente in presenza dei presupposti di legge».
A chiedere l'intervento delle sezioni unite erano stati i supremi giudici della prima sezione penale con l'obiettivo di sciogliere il dubbio e mettere il punto su una questione su cui finora si sono susseguiti diversi orientamenti.
La decisione, quindi, chiarisce che – perchè si configuri il reato – il saluto romano deve essere accompagnato da circostanze che dimostrino come, in concreto, ci sia un pericolo di riorganizzazione del partito fascista. Una interpretazione quindi caso per caso e gli indagati potranno sostenere che il saluto sia stato fatto con finalità commemorativa.
Il caso da cui nasce tutto
Le sezioni unite, di conseguenza a questa decisione, hanno quindi annullato la condanna in appello di 8 persone, che avevano fatto il saluto romano durante un corteo di estrema destra a Milano per commemorare l’assassinio di Sergio Ramelli.
Gli imputati, infatti, erano stati condannati in appello dopo essere stati assolti in primo grado, ma con riferimento alla legge Mancino, che punisce le ideologie discriminatorie.
Con la decisione, la Cassazione ha annullato la condanna e rinviato ad altra sezione di corte d’appello di rivalutare la questione, riqualificando il reato sulla base della legge Scelba e in particolare all’articolo 5.
L’articolo prevede che "Chiunque, partecipando a pubbliche riunioni, compie manifestazioni usuali del disciolto partito fascista ovvero di organizzazioni naziste è punito con la pena della reclusione sino a tre anni e con la multa da duecentomila a cinquecentomila lire. Il giudice, nel pronunciare la condanna, può disporre la privazione dei diritti previsti nell'articolo 28, comma secondo, numeri 1 e 2, del codice penale per un periodo di cinque anni".
La distinzione
«Le sezioni unite della Cassazione dichiarano che il saluto romano è punibile dalla legge Scelba solo quando per le circostanze concrete della sua esplicazione e manifestazione ci sia reale e concreto pericolo di ricostituzione del partito fascista. Cosa che ovviamente non è nella cerimonia commemorativa del presente», è la tesi del difensore di due imputati, Domenico Di Tullio. Secondo l’avvocato, «La decisione della Cassazione sancisce che il saluto romano non è reato a meno che ci sia il pericolo concreto di ricostituzione del partito fascista così come previsto dall'articolo 5 della legge Scelba oppure ci siano programmi concreti e attuali di discriminazione razziale o violenza razziale così come previsto dalla legge Mancino». Dunque «Toccherà alla magistratura dimostrare in concreto» in quale caso ci si trovi.
Il rappresentante della procura generale della Cassazione, Pietro Gaeta, che aveva chiesto di confermare la sentenza della Corte d'Appello di Milano, ha detto che «Acca Larentia con 5 mila persone è una cosa diversa di quattro nostalgici che si vedono davanti ad una lapide di un cimitero di provincia ed uno di loro alza il braccio. Bisogna distinguere la finalità commemorativa con il potenziale pericolo per l'ordine pubblico. La nostra democrazia giudiziaria è forte e sa distinguere. E' ovvio che il saluto fascista sia una offesa alla sensibilità individuale ma diventa reato quando realizza un pericolo concreto per l'ordine pubblico. Non possiamo avere sentenze a macchia di leopardo in cui lo stesso gruppo viene assolto da un tribunale e condannato da un altro».
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