Le sue condizioni stanno peggiorando, dopo 10 anni in carcere e 100 giorni di sciopero della fame. Il suo medico di fiducia dice che è «in pericolo di vita», mentre giuristi e intellettuali chiedono di sospendergli temporaneamente la misura del carcere duro
Peggiorano ancora le condizioni di Alfredo Cospito, anarchico detenuto da 10 anni nel carcere di Sassari e in sciopero della fame da 100 giorni, per protestare contro il regime del 41bis che gli è stato inflitto. Il suo avvocato ha chiesto di rivedere la misura ma la Cassazione ha fissato l’udienza per il 20 aprile. «In quella data sarà morto», ha detto il suo medico di fiducia che lo ha visitato in carcere, Angelica Milia, dicendo che è già «da un momento all’altro in pericolo di vita».
Nella notte del 26 gennaio Cospito è caduto nella doccia e si è rotto il naso, «è stato curato nella clinica di Otorinolaringoiatria per ridurre la frattura scomposta alla base del naso, ma ha perso molto sangue, è debole, ha difficoltà ad avere una normale termoregolazione corporea». Attualmente indossa quattro o cinque maglie e tre paia di pantaloni, ha sempre freddo e «non ce la fa più ad uscire e camminare nell'ora d'aria, si sente molto debole tanto che sta utilizzando la sedia a rotelle a questo lo avvilisce molto», ha detto il suo difensore, l'avvocato Flavio Rossi Albertini.
Giuristi e intellettuali hanno sottoscritto una petizione per chiedere almeno il temporaneo annullamento della misura del 41 bis, per scongiurare la sua morte in carcere.
Chi è Cospito
L’anarchico Alfredo Cospito, 55 anni, è attualmente detenuto al regime di carcere duro del 41 bis nel carcere di Sassari e in sciopero della fame, la sua compagna Anna Beniamino è invece detenuta a Rebibbia.
Il caso di Cospito è diventato uno dei simboli dell’attuale contestazione anarchica e autonoma, in moltissime città italiane, da Milano a Roma, a Genova e Torino. L’uomo, infatti, è detenuto da 6 anni nel carcere di Sassari in regime di alta sicurezza e dallo scorso aprile per lui è stato disposto il regime di carcere duro del 41 bis.
Il processo
Cospito è in carcere già da 10 anni per il ferimento dell’amministratore delegato di Ansaldo Nucleare, Roberto Adinolfi nel 2012 e ora sta scontando una ulteriore condanna a 20 anni alcuni attentati qualificati come strage e per aver diretto la Fai, Federazione anarchica informale, che i giudici hanno considerato come associazione per delinquere con finalità di terrorismo. La pena, però, non è ancora definitiva perchè la Cassazione ha rinviato alla corte d’appello di Torino per un ricalcolo della pena.
I fatti per cui va ricalcola risalgono al 2006: Cospito e altri anarchici avevano posizionato due ordigni a basso potenziale esplosivo in due cassonetti dell’immondizia davanti all’ingresso della caserma alla scuola allievi carabinieri di Fossano, poi esplosi nella notte senza provocare nè morti nè feriti. Secondo la ricostruzione giudiziaria, il primo ordigno doveva servire ad attirare sul posto le forze dell’ordine, il secondo doveva esplodere subito dopo.
Secondo la corte d’appello, il reato è di strage semplice, la Cassazione invece ha ritenuto che si tratti di strage politica, «allo scopo di attentare alla sicurezza dello stato», che è un delitto di pericolo e non di danno ed è punito con l’ergastolo senza alcuna gradazione di pena e rientra tra i reati ostativi. Vale a dire che, per la sua gravità, non prevede alcun beneficio penitenziario se il detenuto non collabora con la giustizia. Si tratta di uno tra i reati più gravi del codice penale, che non è stato riconosciuto nemmeno nel processo per la strage di Bologna del 1980 che costò la vita a 80 persone all’ex Nar, Gilberto Cavallini.
Ora la corte d'appello ha sollevato questione di costituzionalità davanti alla Consulta, che è chiamata a chiarire se sia possibile applicare l’attenuante della “tenuità del fatto” anche nel caso di strage politica.
Nel frattempo, il 4 maggio 2022, Cospito è stato sottoposto al regime di carcere duro, con esclusione di ogni possibilità di corrispondenza e di detenere libri e scritti ma anche «le foto dei genitori defunti in quanto viene richiesto il riconoscimento formale della loro identità da parte del sindaco del paese d’origine» ha fatto sapere Cospito, diminuzione dell’aria a due ore e riduzione della socialità a una sola ora al giorno in una saletta assieme a tre detenuti.
Il cambio di regime detentivo è stato motivato dagli scambi di lettere con altri anarchici e la pubblicazione di scritti su riviste d’area, che tuttavia Cospito mantiene da 10 anni e prima di maggio non erano mai stati ritenuti pericolosi.
Secondo i magistrati torinesi, questo epistolario farebbe riemergere l’esistenza di una vera e propria organizzazione anarchica e la rinascita della Federazione anarchica informale. Nel corso del processo, Cospito è intervenuto con dichiarazioni spontanee: «Oltre all'ergastolo ostativo, visto che dal carcere continuavo a scrivere e collaborare alla stampa anarchica, si è deciso di tapparmi la bocca per sempre con il 41 bis», ha detto, spiegando che «continuerò il mio sciopero della fame per l'abolizione del 41 bis e dell'ergastolo ostativo fino all'ultimo mio respiro, per far conoscere al mondo questi due abomini repressivi di questo paese».
LE CONSEGUENZE
«La gravità dei fatti commessi non scompare né si attenua ma deve passare in secondo piano» davanti all’urgenza di salvare una vita «e non rendersi corresponsabili, anche con il silenzio, di una morte evitabile», scrivono i sottoscrittori dell’appello, che sottolineano anche «molte anomalie, specifiche e generali: la frequente sproporzione tra i fatti commessi e le pene inflitte; il senso del regime del 41 bis, trasformatosi nei fatti da strumento limitato ed eccezionale in aggravamento generalizzato delle condizioni di detenzione; la legittimità dell’ergastolo ostativo, su cui il dibattito resta aperto».
Il 41 bis, infatti, è un regime detentivo introdotto con una legislazione di emergenza negli anni delle stragi di mafia del 1992 e originariamente aveva carattere temporaneo. Il caso Cospito e il suo sciopero della fame, inoltre, interrogano anche sulla compatibilità con uno stato di diritto e la congruità della pena dell’ergastolo previsto dal reato di strage “politica” - risalente al codice Rocco del 1930 - e che non prevede alcuna gradazione in relazione agli effetti che l’azione ha provocato.
© Riproduzione riservata