Adottato il testo base di un pdl che sarebbe stato ispirato dal solito Francesco Saverio Marini. L’obiettivo è rendere le toghe contabili una struttura consultiva, riducendone i poteri di indagine
Il governo Meloni ha individuato un nuovo organo di rilevanza costituzionale da ridimensionare e questa volta tocca alla Corte dei Conti. Il disegno è parallelo a quello dell’abrogazione del reato di abuso d’ufficio: per scongiurare la cosiddetta «paura della firma» e fare salvi gli amministratori, prima si è inciso sul penale e ora l’obiettivo è ridurre anche la portata dei controlli contabili.
L’iniziativa è seria, nasce da lontano e porta una firma pesante come quella del capogruppo alla Camera di Fratelli d’Italia, Tommaso Foti: il deposito è del dicembre 2023 e il testo base è appena stato adottato in commissione Affari costituzionali alla Camera. Il pdl prevede modifiche al codice della giustizia contabile, modifiche alle disposizioni in materia di funzioni di controllo e consultive della corte e alla responsabilità per danno erariale.
Il placet è arrivato dall’alto ed è stato espresso in chiaro dalla viva voce del potente sottosegretario Alfredo Mantovano, il quale nelle scorse settimane ha affermato durante un convegno al Senato dal titolo “Una Corte dei conti sempre più utile al paese” che «il governo segue i lavori con attenzione» e che «forse è il caso di cogliere l'occasione di questa riforma per immaginare un razionale accorpamento delle sezioni territoriali, sulla base della loro produttività».
E non si trattava di un convegno a caso ma quello che è stato interpretato dalla magistratura contabile quasi come un’imboscata. Con il pretesto di celebrare la Corte, sarebbe stato organizzato invece quello che è stato definito da fonti interne come un «tentativo di de profundis» delle funzioni giurisdizionali della Corte. Il disegno è chiaro e, secondo fonti togate, l’autore (o quantomeno l’ispiratore) del testo sarebbe l’onnipresente Francesco Saverio Marini, per ora mancato giudice costituzionale e tutt’ora consigliere giuridico di Giorgia Meloni.
L’obiettivo di fondo della riforma è quello di ridurre i poteri di controllo della Corte, per renderla un organo di ausilio agli amministratori locali da consultare all’occorrenza. Tradotto: la Corte dei conti non deve più essere un controllore, ma assistere gli amministratori pubblici e, in seguito al suo intervento, sospendere poi nuovi giudizi di responsabilità erariale.
Così il controllo preventivo diventerebbe una sorta di “scriminante omnibus” per gli amministratori, che farebbe salvi non solo gli atti vistati, ma anche quelli ad essi connessi. La proposta, infatti, prevede che «qualora l'atto abbia superato il controllo preventivo di legittimità e quindi sia stato vistato e registrato, non sarà più possibile sottoporre a giudizio per responsabilità erariale gli amministratori che lo abbiano adottato».
Oggi, invece, la Corte dei conti può sottoporre a giudizio gli amministratori, anche se hanno adottato atti vistati dalla stessa Corte. La sintesi è quella di «attribuire alla Corte dei Conti un nuovo ruolo di supporto agli amministratori» in modo che «non debbano più incorrere in processi per danno erariale che troppo spesso, almeno nel 60 per cento dei casi, si risolvono con assoluzioni determinate dalla infondatezza delle accuse».
Anche in questo caso, il ragionamento è speculare a quello fatto nel caso dell’abrogazione dell’abuso d’ufficio: «Le condanne per abuso d'ufficio in quanto tale sono davvero molto poche», è stato il ragionamento del ministro della Giustizia, Carlo Nordio, secondo cui «il danno che questo reato ha fatto è quello dell'iscrizione nel registro degli indagati e della diffusione che viene data della notizia attraverso la stampa. Il che ha delegittimato pubblici amministratori e compromesso carriere politiche facendo dell'indagato un'anatra zoppa».
I rischi
Il pdl Foti è stato come una bomba lanciata dentro la Corte dei Conti. La magistratura contabile è in stato di agitazione: con un comunicato dai toni molto duri e dopo una riunione straordinaria, il Consiglio direttivo dell’Associazione Magistrati della Corte dei conti guidato da Paola Briguori ha espresso «netta contrarietà a ipotesi di riforma volte ad incidere pesantemente sui complessivi equilibri delle funzioni istituzionali della Corte dei conti come delineati dalla Costituzione», perché «La Corte non è freno, ma continua ad essere baricentro di legalità e garanzia per il Paese e per i cittadini che confidano nel corretto impiego delle risorse finanziarie pubbliche e, quindi, dei loro soldi».
La critica, infatti, è che gli amministratori – a differenza dei privati cittadini - vengano sostanzialmente graziati sia a livello di sanzioni che di controlli. Nel comunicato, attentamente studiato, si auspica ancora un confronto con la maggioranza «leale e costruttivo», ma la strada appare stretta. «L'Associazione è rimasta aperta al dialogo con le istituzioni, ma quello che mi preoccupa è capire se poi al dialogo segue l'ascolto», ha spiegato Briguori durante un convegno.
Una speranza di modifica esiste ancora: il dialogo con la maggioranza, infatti, almeno formalmente c’è stato e dovrebbe esserci ancora spazio per emendamenti al testo. Tuttavia la tensione a viale Mazzini è massima: un’assemblea straordinaria delle toghe contabili sarà calendarizzata entro fine mese per valutare le prossime mosse. Il sospetto che si sta facendo sempre più certezza, però, è che l’intenzione sia quella di trasformare la Corte in uno scudo per ridurre la responsabilità degli amministratori, con il rischio però che sulla magistratura contabile ricadano eventuali carenze di vigilanza sugli atti connessi al Pnrr.
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