Il numero uno del Mef è chiamato a scontentare il suo partito e Meloni. Il leader leghista sogna il rilancio, ma la finanziaria è il convitato di pietra
Più sacrifici per tutti, è diventato all’improvviso lo slogan del governo, coniato – in maniera involontaria – da Giancarlo Giorgetti, che da ministro dell’Economia è certamente titolato a spiegare come sarà la prossima manovra. Di più: sarebbe chiamato a farlo.
Così le successive precisazioni hanno preso la forma di una toppa piazzata per evitare l’esplosione di preoccupazione rispetto alle banche, che sembrano il primo bersaglio del governo.
Ma non solo. I sacrifici possono riguardare un po’ tutti, creando un effetto a cascata e facendo aumentare i timori di varie categorie sociali.
Giorgetti doveva dire qualcosa, insomma. Il Documento programmatico di bilancio dovrà essere preparato entro una decina di giorni, la scadenza (salvo slittamenti) è prevista per il 15 ottobre, mentre cinque giorni dopo dovrebbe vedere la luce la prima bozza della legge di Bilancio. Tempistiche su cui comunque montano dubbi. Ma la fase del traccheggio, del dico e non dico, è destinata a finire.
Nella manovra occorre inserire gli articoli, i numeri e quindi le coperture delle misure, non può essere sufficiente la propaganda né si può fare ancora ricorso alla vaghezza, pietra miliare del Piano strutturale di bilancio (Psb).
Road map manovra
La prossima settimana non è decisiva, ma sarà comunque una traccia per capire la rotta. In parlamento è atteso proprio Giorgetti: martedì (alle ore 18) sarà a Montecitorio in audizione per raccontare il contenuto del Psb davanti alle commissioni Bilancio e Finanze riunite di Camera e Senato.
Al ministro dell’Economia, pungolato dalle domande dei parlamentari, toccherà raccontare lo stato dell’arte, anticipando qualcosa sulla manovra. Il giorno prima saranno auditi gli organismi indipendenti, dalla Corte dei conti al Cnel. Si preparano i cahiers de doléances.
Già nei giorni scorsi, l’Ufficio parlamentare di bilancio ha messo in guardia: «Lo scenario macroeconomico del 2024 è ricompreso in un intervallo accettabile relativamente alle principali variabili economiche, sebbene in diversi casi le previsioni si collochino sull’estremo superiore delle stime del panel Upb». Come a dire che prevale una visione ottimistica.
L’orizzonte della finanziaria si sta schiarendo dalle nebbie della propaganda: le tasse in più ci saranno. Quella dell’ex vicesegretario della Lega «non è stata una frase dal sen fuggita», spiegano fonti di governo a Domani, ma «un monito» agli alleati. Per la serie: nessuna illusione. Anche se subito c’è stato l’intervento a mezzo stampa del centrodestra.
«L’Italia è il paese in Europa con la maggiore tassazione su imprese e famiglie, aumentare le tasse sarebbe la strada per portarci verso un Paese sempre più soffocato da burocrazia e balzelli, dobbiamo fare esattamente il contrario», si è affannato a ribadire il portavoce di Forza Italia, Raffaele Nevi, interprete della linea del segretario azzurro, Antonio Tajani.
Peraltro, i dati ufficiali mostrano le prime crepe nello storytelling governativo. «Nel secondo trimestre 2024 la pressione fiscale è salita al 41,3 per cento, in aumento di 0,7 punti percentuali rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente», ha incalzato l’eurodeputato del Movimento 5 stelle, Pasquale Tridico, citando i dati Istat diffusi nella giornata di ieri.
Certo, Giorgetti ha prontamente minimizzato la dichiarazione sui «sacrifici per tutti» con lo scopo di evitare ulteriori attriti con Palazzo Chigi, a cui è sembrato rivivere i tempi degli slogan «anche i ricchi piangano» proposto da Rifondazione comunista.
Solo che quello era fatto dai “rossi”. Del resto c’è un dato di realtà: dopo tanta maretta Giorgetti è chiamato a rompere gli indugi, superando la solita riluttanza di chi sembra che sia a via XX Settembre controvoglia.
L’Unione europea ha sempre chiesto un passo avanti al ministro dell’Economia, immaginando che – al netto delle bizze propagandistiche – potesse essere la parte responsabile di un governo noto per le derive sovraniste.
Ci si attende un approccio perciò da reale custode dei conti, ruolo che sembra essersi cucito addosso, in nome di un ruolo imprescindibile. Anche al costo di sfidare Meloni riportandola sul pianeta terra.
Guastafeste a Pontida
Le parole di Giorgetti hanno sortito un effetto collaterale tutt’altro che secondario: hanno rovinato la festa di Matteo Salvini, che a Pontida, oggi e domani, sognava il grande rilancio. Stava già preparando i lustrini per un fine settimana da mattatore, capace di mettere all’angolo per qualche giorno Meloni.
E soprattutto provare a superare le critiche per il caos trasporti che lo ha costretto sulla difensiva. Il leader della Lega ha pianificato l’evento declinato in chiave ultraidentitaria all’urlo di «sicurezza ai confini». Un cedimento a destra per un partito sempre più lepenizzato e orbanizzato con lo scopo di coprire lo spazio a destra, sottraendolo a Fratelli d’Italia, mentre è pronta a essere sventolata la bandiera dell’autonomia per rinsaldare il legame con la base del primo leghismo, quello affezionato alle parole d’ordine di Umberto Bossi.
Ma il ministro dell’Economia, ancora una volta, ha scompaginato i piani facendo da guastafeste.
Per forza di cose Salvini dovrà parlare di temi reali, che vanno oltre il territorio della propaganda anti immigrati, tutta tesa alla svolta securitaria e all’attacco ai diritti civili, a cominciare dalla concessione della cittadinanza.
Insomma, la manovra economica non può restare fuori dal pratone di Pontida, i padani vogliono davvero sapere se toccano «sacrifici per tutti». Anche perché a loro è stata promessa la cancellazione della legge Fornero sulle pensioni.
Così, per l’ennesima volta, il segretario della Lega deve fare i conti con l’ingombrante presenza di Giorgetti, con cui la diversità di vedute è ormai consolidata, nonostante le smentite di rito. Per una convivenza sempre più forzata e difficile.
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