Nel conflitto tra istituzioni in corso in questo momento tra governo e magistratura, si aggiungono anche le toghe contabili. L’associazione magistrati della Corte dei conti, infatti, ha annunciato lo stato di agitazione contro la riforma dell’organo di rilevanza costituzionale depositata in parlamento.

Si tratta della cosiddetta legge Foti, dal nome del capogruppo alla Camera di Fratelli d’Italia ma attenzionata dalla presidenza del Consiglio e in particolare dal sottosegretario Alfredo Mantovano. Una riforma che ha come obiettivo di fondo ridurre i poteri di controllo della Corte, per renderla un organo di ausilio agli amministratori locali da consultare all’occorrenza. Tradotto: la Corte dei conti non deve più essere un controllore, ma assistere gli amministratori pubblici e, in seguito al suo intervento, sospendere poi nuovi giudizi di responsabilità erariale. A far traboccare il vaso sono stati gli emendamenti presentati al disegno di legge che, secondo la magistratura contabile, riscrivono i poteri attribuiti dalla Costituzione alla corte.

«Alcuni degli emendamenti al progetto di legge Foti paventano una sostanziale cancellazione della Corte dei Conti come prevista dalla Costituzione - si legge in una nota della giunta esecutiva dell'associazione -. Si sta cercando di paralizzare una magistratura che è da oltre un secolo al servizio dei cittadini e lavora nell'esclusivo interesse del Paese» perchè si cancella «definitivamente ogni possibilità di incidere sulla corretta gestione delle risorse pubbliche».

Le critiche riguardano gli emendamenti che «sopprimono le procure territoriali, centralizzano l'esercizio dell'azione erariale, sterilizzano il regime della prescrizione, gettano le basi per una separazione delle carriere, introducono discutibili test psicoattitudinali, riorganizzano le sezioni regionali e quelle centrali mediante accorpamenti che snaturano il disegno costituzionale e privano i territori di fondamentali presidi di legalità, in un momento in cui si va verso un rafforzamento dell'autonomia delle regioni».

Di qui l’immediato stato di agitazione dichiarato e i toni allarmati: così si svuota la Corte delle sue funzioni e questo «significa tradire il patto sociale e creare massima impunità a chi agisce con disonestà e nell'esclusivo interesse personale», conclude la nota della Giunta esecutiva dell'associazione.

Il no alla nomina

E la legge Foti non è l’unica mossa del governo nei confronti della Corte dei conti. Come anticipato da Domani, palazzo Chigi punta a nominare magistrato contabile di nomina governativa il capo di gabinetto del ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida, Raffaele Borriello. Pur se il tecnico, esperto nel settore dell’agroalimentare, non ha alcuna formazione giuridica o economica come chiederebbero i requisiti.

Ieri la commissione del Consiglio di presidenza della giustizia contabile, che deve dare parere obbligatorio anche se non vincolante sulle proposte di nomina dell’esecutivo, ha espresso il suo no. Il plenum del Consiglio, dopo la discussione, ha deciso però per il rinvio in commissione all’unanimità per approfondire le valutazioni.

«Il curriculum è ineccepibile», si legge nel verbale di motivazione della commissione, «ma è laureato in scienze agrarie con indirizzo economico. Nella vigenza della legge 231 viene fatto riferimento esplicito alla laurea con indirizzo economico finanziario o giuridico amministrativo. Il parere della Commissione è, pertanto, sfavorevole».

In plenum, però, alcuni consiglieri hanno ritenuto troppo stringata la motivazione, altri hanno espresso dubbi sul coordinamento tra norme. I due esponenti laici indicati dal centrodestra Vito Mormando e Carmela Margherita Rodà hanno ritenuto che il parere dovesse essere positivo e Mormando ha chiesto un approfondimento, «valorizzando l’esperienza professionale rispetto al requisito formale». Sulla stessa linea è anche il togato Tommaso Miele.

Il parere negativo dunque ora tornerà in commissione e poi di nuovo al plenum dell’organo di governo autonomo della magistratura contabile. Il no, qualora arrivasse, imporrà al governo decidere il da farsi: se proseguire andando alla rottura oppure rivalutare l’opportunità della nomina.

Nella storia della Corte, si ricorda un solo precedente di consigliere di nomina governativa con una laurea non giuridica: Paolo Peluffo nel 2006, laureato in filosofia alla Normale di Pisa (cui poi ha fatto seguire nel 2022 anche la laurea in giurisprudenza), ex portavoce del presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, che però dalla sua aveva anche un passato da dirigente generale nei ruoli del ministero del Tesoro e del Bilancio e dunque come alto funzionario dello stato.

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