- Il comitato di Bioetica ha stabilito all’unanimità non è possibile «adottare misure coercitive contro la volontà attuale della persona».
- Secondo la maggioranza, i medici non possano «contemplare passivamente la morte del detenuto che digiuna». Per la minoranza è inviolabile il diritto a non subire trattamenti sanitari contro la propria volontà.
- Intanto, il legale di Cospito ha depositato al tribunale di sorveglianza di Milano una richiesta di differimento pena per motivi di salute, chiedendo i domiciliari a casa di una delle sorelle dell'anarchico.
Dopo un mese di lavoro, il Comitato nazionale di bioetica ha consegnato al ministero della Giustizia le risposte ai quesiti che gli erano stati posti.
In teoria, quesiti astratti sulla gestione di un paziente sotto custodia dello Stato che rifiuti le terapie medica. In concreto, domande che evidentemente riguardano il caso di Alfredo Cospito, l’anarchico da oltre 135 giorni in sciopero della fame contro il regime di carcere duro a cui è sottoposto.
Il risultato è stato un lungo parere con dieci punti approvati all’unanimità dai 33 membri, in cui si conferma l’essenziale: che non è possibile «adottare misure coercitive contro la volontà attuale della persona» e che anche nei confronti dei detenuti vada applicata la legge 219, che permette di «rifiutare i trattamenti sanitari anche mediante le disposizioni anticipate di trattamento». Quindi per Cospito non sarà possibile nessuna alimentazione forzata né trattamenti sanitari obbligatori.
Il tema nevralgico però riguarda la possibilità o meno per i medici di intervenire comunque in salvataggio del detenuto che pure ha firmato una dat in cui rinuncia a qualsiasi tipo di trattamento medico che preveda l’alimentazione forzata. Su questo il comitato si è diviso e ha scelto la strada più coerente per un organo solo consultivo: ha consegnato tre diversi pareri al ministero, uno di maggioranza e due di minoranza. Spetterà ora a via Arenula decidere se e quale adottare, considerato che si tratta comunque di pareri non vincolanti.
La spaccatura tra maggioranza e minoranza ha prodotto l’effetto di svincolarsi dalla pressione posta dal ministero sul comitato, con la scelta di depositare entrambe le soluzioni. Una parte dei suoi componenti, infatti, ha vissuto con apprensione e anche con fastidio la scelta del ministero della Giustizia di interessare un organo consultivo della presidenza del Consiglio di una questione così delicata, anche politicamente.
Per di più adottando l’escamotage di porre dei quesiti generici nella formulazione, ma evidentemente riferibili al caso Cospito. Alla fine, tuttavia, ha prevalso la linea di accettare di rispondere ai quesiti, considerandoli per questo validi, anche alla luce della considerazione che, come sottolinea il comitato, ogni valutazione espressa ha carattere «generale».
Del resto, il governo rischia di trovarsi presto a dover gestire le estreme conseguenze dello sciopero della fame dell’anarchico. Politicamente l’esecutivo ha scelto la linea dura dell’intransigenza e anche i magistrati, da ultima la Cassazione con la sentenza di rigetto del ricorso per la modifica del 41 bis, non hanno aperto a spazi giuridici di ripensamento. Con il risultato che, presto o tardi, Cospito morirà o perderà conoscenza e lo Stato dovrà decidere come comportarsi.
Il parere di maggioranza
Il parere che ha ricevuto 19 voti è quello più orientato in favore della scelta pro-vita. Fermo restando che non sia possibile utilizzare alcuna «coercizione» nei confronti del paziente detenuto, si sottolinea che «nel caso di imminente pericolo di vita, quando non si è in grado di accertare la volontà attuale del detenuto, il medico non è esonerato dal porre in essere tutti quegli interventi atti a salvargli la vita». Il parere, prettamente giuridico, si fonda su una recente pronuncia della Corte europea dei diritti umani, in cui si legge che «né le autorità penitenziarie, né i medici potranno limitarsi a contemplare passivamente la morte del detenuto che digiuna».
Questa posizione nasce da un ragionamento che considera lo sciopero della fame non un tentativo di suicidio, ma come forma non violenta di libera manifestazione del pensiero. Dunque, con una procedura rispettosa e proporzionale alla volontà del paziente, l’intervento delle autorità carcerarie è lecito, perché proteggerne la vita è un modo per salvaguardare la sua libertà di pensiero. In carcere, infatti, le autorità hanno il dovere di prevenire la morte di chi è sotto la custodia dello Stato. In altre parole, il medico è legittimato a intervenire in scienza e coscienza con tutti gli interventi per salvargli la vita, nel caso in cui il detenuto sia in imminente pericolo di vita e non sia in grado di accertarne la volontà attuale.
I pareri di minoranza
Altri 9 componenti del Cnb, invece, hanno ritenuto che «non vi siano motivi giuridicamente e bioeticamente fondati che consentano la non applicazione della L.219/2017 nei confronti della persona detenuta in sciopero della fame, anche in pericolo di vita». In questo parere, si considera inviolabile il diritto a non subire trattamenti sanitari contro la propria volontà, garantendo «l’intangibilità della sfera corporea di ogni essere umano» a prescindere dal fatto che sia detenuto.
Un terzo parere, sottoscritto da altri due membri, aggiunge a questa seconda interpretazione dell’ordinamento la valutazione che «un intervento del legislatore sia la via obbligata, comunque stretta per vincoli e giurisprudenza costituzionali», così da offrire un chiaro riferimento normativo, soprattutto ai medici che si troveranno concretamente a dover assumere queste decisioni.
Nessuno dei pareri, tuttavia, contempla l’ipotesi di trattamenti sanitari obbligatori, quindi con valutazioni psichiatriche del detenuto nè alcuna possibile coercizione contro la volontà del detenuto. Tutti, partono dal presupposto che la dichiarazione anticipata di trattamento sia valida.
Le novità su Cospito
Quello finale è un risultato a metà per il ministero della Giustizia, che ha comunque la responsabilità della salute di Cospito. Il detenuto è ospedalizzato e, quando il suo organismo cederà, saranno i medici del San Paolo a dover valutare come e se intervenire in un dilemma per il quale nemmeno il comitato di Bioetica ha dato soluzione univoca.
Intanto, proprio nel giorno successivo al parere, cambia anche la linea della difesa di Cospito. Il suo legale, infatti, ha depositato al tribunale di sorveglianza di Milano una richiesta di differimento pena per motivi di salute, chiedendo i domiciliari a casa di una delle sorelle.
Nelle scorse settimane, l’anarchico aveva escluso questa strada. Un differimento della pena, infatti, significa solo rimandarla a quando e se tornerà in salute ma non modifica il 41 bis contro cui Cospito sta scioperando. Non è chiaro se, anche in caso di domiciliari, lo sciopero della fame continuerà, il suo avvocato però ha detto che ora Cospito «teme la flebo» in carcere, ma rimane «lucido».
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