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Lo scontro era sul calendario dei lavori che il vicepresidente voleva imporre. Sotto accusa è finita la sua unilateralità nella gestione, sgradita soprattutto ai laici.
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La mediazione raggiunta è stata il frutto di un lavorio costante dei pontieri, rappresentati soprattutto dalla componente togata del consiglio.
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Il problema vero che preoccupa sulla lunga distanza sarebbe però quello delle modalità di confronto della vicepresidenza con il resto del consiglio.
La tensione ha dovuto salire nuovamente, al Consiglio superiore della magistratura, prima che si arrivasse a una mediazione condivisa. A fine giornata l’aria è rimasta pesante, ma la volontà prevalente tra i consiglieri era quella di archiviare giornate difficili e voltare pagina.
Al plenum di ieri, infatti, il Csm è arrivato dopo giorni di incontri, telefonate e riunioni, tutte con un unico oggetto: capire come uscire dal vicolo cieco di uno scontro frontale tra consiglio e vicepresidenza, che avrebbe solo nuociuto alla credibilità dell’organo.
L’oggetto del contendere era formalmente l’organizzazione del calendario del consiglio. In realtà, a scatenare l’irritazione quasi unanime – sia pur con diversi gradi di intensità – di laici e togati sarebbe stata la gestione unilaterale del vicepresidente leghista, Fabio Pinelli, sommata al suo eccessivo protagonismo.
Il risultato del plenum è stato quello di una ricucitura, con votazione all’unanimità di un emendamento al calendario che era stato predisposto dal comitato di presidenza. Per arrivarci, però, è servito il rinvio della seduta di due ore a causa della mancanza del numero legale e la minaccia concreta di far saltare il plenum.
La mediazione
La mediazione raggiunta è stata il frutto di un lavorio costante dei pontieri, rappresentati soprattutto dalla componente togata del consiglio. L’oggetto del contendere era l’organizzazione della quarta settimana di ogni mese, la cosiddetta “settimana bianca” in cui si sospendevano del tutto i lavori. Il vicepresidente voleva invece prevedere sempre una seduta di plenum nell’ottica di smaltire arretrato e alzare – almeno a livello di percentuale – la produttività dell’organo, mentre i consiglieri chiedevano di lavorare sì, ma concentrandosi sul lavoro in commissione e sulla stesura delle delibere, così da poter smaltire il vero arretrato pesante, ovvero quello concettualmente più delicato, delle commissioni più in sofferenza. «Per valutare l’efficienza del Csm non bisogna guardare il numero delle riunioni ma quello delle delibere», è il ragionamento di una fonte interna al Consiglio.
Per superare l’impasse, sul tavolo c’erano due proposte: quella presentata dai consiglieri laici in quota Fratelli d’Italia, che prevedeva commissioni solo il lunedì e il martedì della quarta settimana e poi quella di mediazione, nata dalla riflessione dei togati, che invece prevedeva un plenum solo «eventuale» e commissioni dal lunedì al mercoledì.
Nonostante vari tentativi di trovare un punto di caduta comune, la vicepresidenza non si sarebbe inizialmente orientata per venire incontro alla richiesta del plenum. «Ma con le questioni di principio si iniziano le guerre», è stato il ragionamento diffuso tra i consiglieri, e così quasi è stato. Forte della lettera di apprezzamento del presidente della Repubblica Sergio Mattarella per l’incremento della produttività del Csm, Pinelli avrebbe preferito proseguire sulla strada delle riunioni serrate e senza soluzione di continuità, che alcune fonti critiche hanno definito di «aziendalismo senza attenzione per la collegialità».
Questo iniziale muro contro muro ha prodotto uno slittamento della seduta del plenum di ieri di due ore, per mancanza del numero legale. A ritirarsi sull’Aventino, infatti, erano stati cinque consiglieri laici di centrodestra e in particolare il gruppo dei quattro di Fratelli d’Italia.
Secondo fonti interne al Consiglio, a far infine cedere Pinelli sarebbe stato il lavoro di mediazione degli altri due membri del comitato di presidenza, i consiglieri di diritto entrambi vicini al gruppo di Unicost Luigi Salvato, procuratore generale di Cassazione, e Margherita Cassano, prima presidente della Cassazione. Dopo le due ore di rinvio, l’esito è stato quello di un voto all’unanimità della proposta di calendario con recepimento degli emendamenti che hanno previsto l’eventualità del plenum del mercoledì della quarta settimana, sostiuito dal lavoro delle commissioni più in sofferenza e la sezione disciplinare.
Il problema sottostante
La soluzione di merito ha lasciato soddisfatto buona parte del consiglio, tuttavia – sottolineano più fonti – «il vero punto non era quello» e nessuno voleva andare allo scontro «su un mercoledì in più o in meno». In altre parole, nessuno al Csm voleva scatenare uno scontro del genere su un giorno in più o in meno di lavoro in plenaria. La consapevolezza diffusa era che l’organizzazione prevista da Pinelli fosse più di facciata che effettivamente produttiva di risultati concreti e la metafora più usata è stata quella di un giudice che fa udienza tutti i giorni ma poi non ha tempo di scrivere le sentenze.
Il problema vero che preoccupa sulla lunga distanza sarebbe però quello delle modalità di confronto della vicepresidenza con il resto del consiglio. Se su una questione tutto sommato secondaria come quella del calendario si è arrivati al muro contro muro e sono volate parole pesantissime, l’interrogativo è cosa succederà su questioni di portata ben maggiori che presto arriveranno davanti al Csm.
Il livello ulteriore dello scontro, infatti, ha visto la contrapposizione tra i consiglieri laici d’area centrodestra e in particolare tra Pinelli e gli eletti di Fratelli d’Italia. Loro, infatti, hanno innescato il braccio di ferro con il primo emendamento per eliminare il plenum della quarta settimana e poi fatto mancare il numero legale nella prima seduta convocata. Secondo una fonte interna, ci sarebbero stati anche contatti con la presidenza del Consiglio per chiederne il freno. Contatti andati però a vuoto, lasciando così Pinelli a vedersela con i consiglieri.
L’intera questione avrebbe infastidito anche il Quirinale, che ha seguito da lontano ma con attezione la vicenda. Il presidente Sergio Mattarella, infatti, è anche presidente del Csm e aveva affidato a Pinelli il compito di restituire credibilità all’organo, lodandone proprio le capacità gestionali.
Alla fine, la parola fine sulla battaglia del calendario è stata scritta soprattutto grazie ai consiglieri togati, che avrebbero capito quanto uno scontro tutto interno e basato su contrasti che nulla hanno a che fare con gli obiettivi costituzionali dell’organo avrebbe nuociuto al consiglio. La vicepresidenza, che ha infine dovuto capitolare (anche se nei fatti la quarta settimana sarà lavorativa come lui chiedeva, ma nelle commissioni), ne esce certamente ridimensionata. Tuttavia nell’interesse del Csm sono state scongiurate almeno per ora ipotesi peggiori.
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