L’unico punto su cui maggioranza e opposizione concordano è che il decreto Carceri ha effettivamente il requisito di necessità e urgenza. Si sta avvicinando agosto, il mese più difficile per le condizioni di detenzione, e le carceri italiane scoppiano con 61.480 detenuti per una capienza standard di circa 48mila, un sovraffollamento medio del 120 per cento che tocca picchi del 200 per cento in alcune strutture e il numero record di 56 suicidi dall’inizio dell’anno, 6 anche di agenti della penitenziaria.

Eppure, denunciano le opposizioni, il decreto legge voluto dal ministro della Giustizia Carlo Nordio è «un guscio vuoto», ha detto Alfredo Bazoli del Pd. Il testo ora in conversione al Senato, infatti, non offre strumenti pratici per ridurre la pressione del sovraffollamento e alleviare una situazione emergenziale e totalmente fuori controllo.

Anzi, paradossalmente l’unico elemento concreto è quello che meno c’entra, ed è l’introduzione di un nuovo reato: il peculato per distrazione, inserito in fretta e furia nel dl per tentare di scongiurare la procedura di infrazione europea dopo l’abrogazione dell’abuso d’ufficio approvata la settimana scorsa e ora sulla scrivania del Quirinale per la promulgazione.

Un guscio vuoto

L’unica misura che dovrebbe avere una finalità deflattiva, infatti, prevede la semplificazione delle procedure per concedere la libertà anticipata ai detenuti che ne hanno diritto, ma solo nel caso in cui abbiano partecipato ad attività di rieducazione. Oltre a questo, il testo prevede l’assunzione di 1.000 agenti di polizia penitenziaria nei prossimi due anni, l’aumento del numero di telefonate per i detenuti e l’istituzione di un albo di comunità che potranno accogliere detenuti con residuo di pena basso e i tossicodipendenti, dove potranno scontare il fine pena.

Proprio questo ultimo passaggio, in effetti, mette a fuoco uno degli aspetti più problematici: secondo i dati ministeriali del 2023, i detenuti per reati connessi agli stupefacenti sono oltre 20mila, circa il 35 per cento del totale, una parte dei quali è anche utilizzatore e dunque un detenuto non adatto al contesto carcerario perché avrebbe bisogno di trattamenti di disintossicazione.

Eppure – senza entrare nel merito di una riforma della legislazione penale in materia di droga – l’istituzione di un albo delle comunità è una soluzione molto vaga, anche perché in Italia esistono un migliaio di strutture di cui meno di 800 anche residenziali e comunque non organizzate per la gestione di un alto numero di detenuti.

«Non si capisce cosa intenda il ministro: quanti posti potrebbero esserci, quali strutture sarebbero e con quali modalità accoglierebbero un soggetto comunque detenuto», commenta la responsabile Giustizia del Pd, Debora Serracchiani. Con un ulteriore problema: «Questo comporterebbe spostare su strutture sanitarie la gestione della detenzione? Ricordo che la sanità è di competenza regionale e stabilire una cosa del genere senza interpellare le Regioni poterebbe allo stesso caos provocato con il ddl sulle liste d’attesa».

Cosa farà FI?

Per questo il Pd ha presentato un pacchetto di un’ottantina di emendamenti che dovrebbe «colmare» i vuoti, ha spiegato la senatrice Anna Rossomando. Tra cui l’aumento dei giorni di liberazione anticipata (come già previsto da un ddl a firma di Roberto Giachetti, che porterebbe i giorni da 45 a 60 ogni semestre); uno sconto automatico di pena di un giorno ogni 10, se la pena viene espiata in condizioni degradanti; il ripristino delle misure introdotte con il Covid e che «hanno dato buona prova di sé ma sono state comunque sospese», come i domiciliari nei casi di una pena residua inferiore ai 18 mesi.

Un emendamento in particolare, però, potrebbe mandare in tilt la maggioranza. Il Pd, infatti, propone di portare a 4 anni il limite di pena per ottenere gli arresti domiciliari (oggi il limite è 6 mesi) e un emendamento molto simile è stato presentato anche da Forza Italia, a prima firma del capogruppo in commissione Pierantonio Zanettin. Un altro emendamento di FI prevede di incidere sulla pena residua, prevedendo che basterà aver scontato un terzo della pena (non più la metà) oppure la metà per i reati più gravi (e non più i due terzi) per accedere alle misure alternative a discrezione del giudice di sorveglianza. FI ha anche aperto alla proposta Giachetti di portare a 60 i giorni di liberazione anticipata, che appunto potrebbe confluire nel dl Carcere. «Noi diamo parere positivo a questi emendamenti», ha detto Bazoli, lanciando però una sfida: «Vediamo se avranno il coraggio di votarli insieme alle opposizioni».

Se dunque gli azzurri sembrano essersi accorti che il dl Carceri non contiene davvero misure pratiche per un decongestionamento delle strutture detentive e hanno provato a intervenire, ora dovranno convincere gli alleati di Lega e Fratelli d’Italia a dire sì.

Intanto, il ministro Nordio prosegue per la sua strada di interventi «a medio e lungo termine»: durante il question time alla Camera ha parlato dell’introduzione di un «commissario straordinario» per l’edilizia penitenziaria, per aumentare i posti detentivi e realizzare nuovi istituti in caserme dismesse. Nonostante ne parli da tempo, infatti, questo proposito è rimasto tale e ha trovato un inizio di realizzazione solo a Grosseto. «Certifica il fallimento di chi fino ad ora non ha fatto nulla», è stato il commento di Serracchiani. Poi il ministro ha teorizzato che il sovraffollamento si ridurrà anche grazie all’intervento del governo per restringere l’utilizzo delle misure cautelari in carcere, che oggi «riguardano circa il 30 per cento dei detenuti».

Nel frattempo, però, il tempo stringe: il decreto Carceri sarà l’ultimo possibile per intervenire su una situazione già allo stremo da mesi: «Le elezioni le abbiamo alle spalle e su un tema sensibile come questo c'è l'occasione per dare risposte, non esaustive ma incisive», è stato l’appello di Walter Verini del Pd. Visti i tempi di conversione del decreto, proprio questo passaggio al Senato sarà infatti l’unica occasione concreta per apportare modifiche.

Mentre in parlamento si discute, nelle carceri ogni giorno è un’emergenza. Nel penitenziario di Cagliari «oggi il termometro segnava 43 gradi e i detenuti erano stipati in celle da sei metri quadrati per due, quattro per cella», è la denuncia della garante per i detenuti sarda, Irene Testa. Una delle tante ancora senza risposta.

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