Il segretario dell’Anf Giampaolo di Marco sulla separazione delle carriere: «Non si riforma la Carta per un caffè tra pm e giudici». Sull’avvocatura: «Categoria dimenticata»
«Nel sistema giustizia, il principio dell’efficienza di cui oggi si parla molto rischia di cancellare quello della necessità: ma la vita di un cittadino e le esigenze per cui entra in un tribunale non si esprimono con un bilancio in cui il segno più è sinonimo di successo», è la sintesi di Giampaolo di Marco, segretario generale dell’Associazione nazionale forense che è appena uscita dal congresso di Parma, con al centro i temi della sostenibilità della professione e della giustizia nel tempo dell’intelligenza artificiale.
Eppure, siamo in una fase di riforme in materia di giustizia, inaugurate con il governo Draghi e che ora il governo Meloni sta mettendo a terra.
L’interrogativo, però, è in quale direzione stanno portando la giustizia. Sul lato civile, queste riforme hanno quasi definitivamente allontanato i cittadini e gli avvocati dai tribunali giustificandolo con la digitalizzazione, con un progressivo allentamento del processo come sistema dentro il quale creare spazi di conciliazione e di giustizia concreta. Su quello penale, mi limito a dire che anche la magistratura sta lanciando un grido d’aiuto: la digitalizzazione del processo penale è disastrosamente inefficiente. La verità è che, negli ultimi quindici anni, la giustizia è stata solo un volantino elettorale da spendere al bisogno.
Sul fronte penale, l’ultima riforma Nordio ha abolito l’abuso d’ufficio. Era davvero un reato inutile?
La scelta è stata giustificata con il basso numero di condanne e con la cosiddetta paura della firma. A me hanno però insegnato che non è il numero di condanne o assoluzioni a giustificare l’esistenza di un reato, ma l’esigenza sociale di punire una condotta che viene considerata antisociale. Negli ultimi anni, mi sembra che le modifiche del codice penale siano avvenute a causa di allarmi mediatici – e la paura della firma rientra tra questi – più che da considerazioni giuridiche.
Nordio si è presentato come giurista garantista e dunque vicino alle istanze dell’avvocatura. A due anni di legislatura, è stato così?
Mi sembra che la sensibilità che ci si aspettava da un uomo di diritto sia stata spenta dalla politicità della funzione. Probabilmente, quando si arriva in determinati posti, si fatica a conservare la purezza del metodo e i buoni propositi. Molti temi sono svaniti nel nulla, dalla geografia giudiziaria alle questioni legate all’ordinamento, mentre c’è stata una rincorsa mediatica su altri temi, soprattutto in materia penale.
La separazione delle carriere è da sempre battaglia dei penalisti e ora è oggetto di riforma costituzionale. Anche questa è una mossa mediatica?
La sintetizzo così: non si cambia la Costituzione per un caffe. Ho sentito ripetere che la separazione delle carriere è un problema di relazioni ma, se la ragione scatenante è che non si vuole che il giudice prenda il caffè con il pm, mi sembra una riforma insensata. Se invece si vuole ripensare la funzione del pm, allora una riforma è necessaria ma si deve fare in modo diverso rispetto a quella oggi in discussione. L’interrogativo è: cosa vogliamo fare? Ad oggi non ho trovato una risposta nel merito.
Di avvocatura e diritti, in ogni caso, si parla poco. Perché?
Nordio ripete spesso che l’avvocatura è una gamba della giurisdizione, ma la verità è che l’avvocatura è dimenticata. Il sistema oggi è traballante anche per questo: la magistratura è considerata la gamba forte e temuta, l’avvocatura invece è molto debole. Ma ascoltare di più l’avvocatura vuol dire ascoltare di più i cittadini, perché i loro drammi arrivano nei nostri studi e siamo la cartina al tornasole di molti fenomeni sociali che poi diventano emergenze. Eppure nelle commissioni ministeriali la magistratura è ben rappresentata, l’avvocatura nemmeno si siede.
La sua è una professione in crisi?
É una professione in evoluzione e che deve reinventarsi, perché la società sta cambiando. Le faccio un esempio: la transizione ecologica è una prateria che gli avvocati hanno davanti, ma per essere percorsa serve una alta professionalità e anche l’intelligenza digitale è uno strumento inarrestabile, ma che va regolamentato. Smettiamo di dire che gli avvocati sono solo soggetti della giurisdizione, noi dobbiamo essere professionisti della tutela dei diritti ovunque: certo nell’aula di tribunale, ma esiste anche un mondo di diritti al di fuori e noi dobbiamo accompagnare il cittadino verso la soluzione del suo problema, anche senza passare necessariamente da una sentenza. Anche da questo passerà, in futuro, l’efficienza del sistema giustizia.
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