La mobilitazione contro la separazione delle carriere compatta le toghe e riempie le urne per l’elezione del nuovo comitato direttivo centrale dell’Associazione nazionale magistrati, che diventerà interlocutore del governo per i prossimi quattro anni.

L’esito è atteso dal punto di vista della lista vincitrice: quella dei conservatori di Magistratura indipendente, che già aveva ottenuto la maggioranza relativa al Csm e ha totalizzato 2085 voti e 11 eletti, aumentando rispetto ai 1648 voti del 2020 ma senza riuscire a capitalizzare del tutto la scomparsa della corrente “scissionista” di Piercamillo Davigo Autonomia & Indipendenza (che nel 2020 aveva ottenuto 749 voti e 4 seggi).

Sorprendente, invece, il risultato ottenuto dalle due liste progressiste di Area e Magistratura democratica. Rispettivamente hanno ottenuto 1803 voti con 9 eletti e 1081 voti con 6 eletti che – se sommati – li porterebbero ad avere la maggioranza. Per capire la rilevanza del dato: nel 2020 il “cartello” progressista correva unito e aveva portato a casa 1785 voti. Dopo la scelta di Md di presentarsi autonomamente, tuttavia, la possibilità di una unità strutturale è ipotesi azzardata.

I risultati, tuttavia, raccontano soprattutto di una magistratura che ha partecipato massicciamente alla chiamata elettorale con l’81,5 per cento dei votanti (contro il 64 per cento del 2020) e che, almeno a livello di orientamento complessivo, guarda in maggioranza ai gruppi progressisti.

«Quel che più entusiasma è la grande affluenza alle urne che dimostra la forza e la credibilità della Anm, nonostante gli attacchi subiti in questi giorni», è stato il commento del segretario di Area, Giovanni Zaccaro.

«Ne nasce un’Anm equilibrata e variegata», ha detto il segretario di Md, Stefano Musolino, sottolineando «l'entusiasmo che è venuto dai magistrati più giovani». Tra gli eletti di Md figura anche Marco Patarnello, il sostituto pg di Cassazione finito al centro delle polemiche per una sua mail critica verso il governo.

Ottimo risultato è stato ottenuto anche dai moderati di Unità per la Costituzione, che hanno ottenuto il terzo risultato e otto eletti, con 1580 voti e un seggio in più rispetto al 2020. «La crescita dei consensi del gruppo (di quasi 350 voti) dimostra che la magistratura italiana rifiuta la polarizzazione tra destra e sinistra e rivendica l’importanza di riconoscersi nel modello di magistrato disegnato dalla Costituzione», si legge nella nota di Unicost.

A non potersi dire soddisfatti, invece, sono gli “anticorrentisti” di Articolo 101 che raccimolano 304 voti e con due eletti dimezzano i seggi rispetto alla tornata precedente.

Il prossimo presidente

L’esito elettorale apre dunque molte incognite in vista della prima assemblea fissata l’8 febbraio. Difficile fare pronostici sul nome del nuovo presidente: da tutti i gruppi viene fatto circolare l’auspicio di costituire una giunta unitaria, anche in vista delle numerose sfide dei prossimi anni: il clima con il governo è di fortissima tensione e l’inchiesta appena aperta a carico della premier Giorgia Meloni e del ministro della Giustizia Carlo Nordio non aiuta a stemperarla.

Inoltre c’è uno sciopero già indetto per il 27 febbraio contro la riforma della separazione delle carriere e le toghe già si stanno preparando alla mobilitazione per il referendum.

Prassi degli ultimi anni vorrebbe che il presidente sia espressione della corrente più votata, quindi di Mi, ma il risultato molto positivo dei due gruppi progressisti potrebbe metterla in discussione. Certamente Mi dovrebbe scegliere il nome di un moderato del gruppo, capace di tenere insieme in modo concertativo tutte le voci del comitato direttivo centrale. Il più votato è il giudice del lavoro di Palermo, Giuseppe Tango (688 preferenze), il secondo invece l’ex membro del Csm oggi procuratore capo a Messina, Antonio D’Amato. C’è chi fa già notare, però, che sarebbe bene che il presidente avesse gli uffici a Roma per tenere le fila di una stagione così complicata. Terza tra gli eletti, dunque, ci sarebbe la giudice del tribunale della Capitale, Chiara Salvatori (569).

Tra i progressisti, tuttavia, c’è chi frena e suggerisce che, prima di fare ipotesi, sia necessario confrontarsi in assemblea l’8 febbraio.

Certo è che, se pure il gruppo di Mi si è distinto sempre per una linea più dialogante nei confronti del governo (il sottosegretario ed ex magistrato Alfredo Mantovano era iscritto al gruppo), ha tuttavia dimostrato di essere compattamente contrario alla riforma costituzionale della separazione delle carriere e ha partecipato alla mobilitazione dell’Associazione contro il governo nel giorno dell’inaugurazione dell’anno giudiziario.

La prima questione che si porrà alla prossima giunta riguarda lo sciopero: il plenum uscente ha fissato la data per il 27 febbraio ma è molto ravvicinata rispetto alla costituzione della nuova giunta esecutiva centrale e lo sforzo di organizzare una mobilitazione su scala nazionale che ha l’imperativo di essere ampia e partecipata è improbo. Per questo le toghe più moderate già stanno ragionando di rinviarlo: il colpo da sparare è uno e deve centrare il bersaglio e non è lontano dalla memoria lo sciopero del maggio 2022 contro la riforma Cartabia, che contò meno del 50 per cento delle adesioni.

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