Se i giudici si ostinano a verificare la conformità delle norme rispetto al diritto dell’Unione europea, ciò non significa che abbiano preso di mira le politiche del governo Meloni in tema di immigrazione. Basti pensare alla questione pregiudiziale circa il reato di favoreggiamento dell’immigrazione irregolare, sollevata dal tribunale di Bologna dinanzi alla Corte di Giustizia dell’Ue. I dubbi del tribunale riguardano in primis la normativa europea, e solo di conseguenza anche la legge nazionale che la attua.

I fatti

Nel 2019, una donna di origine congolese, al varco di frontiera dell’aeroporto di Bologna aveva esibito documenti falsi per sé e due minori, la figlia e la nipote, ed era stata arrestata con l’accusa di favoreggiamento dell’immigrazione irregolare, aggravato dall’utilizzo di un servizio di trasporto internazionale (l’aereo) e di documenti contraffatti.

Il tribunale di Bologna aveva sollevato la questione di legittimità costituzionale relativamente alle aggravanti del reato, per contrasto con i principi di uguaglianza, ragionevolezza e di proporzionalità della pena. Nel marzo 2022, la Corte Costituzionale aveva dichiarato l’illegittimità della norma sulle aggravanti.

Nel luglio 2023, il tribunale ha rimesso il caso alla Corte di giustizia Ue per valutare se l’impianto normativo europeo in tema di favoreggiamento dell’immigrazione irregolare, conosciuto come “Pacchetto facilitatori”, e la legge italiana che lo attua siano compatibili con la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

La disciplina Ue e nazionale

Il “pacchetto facilitatori”, composto da una direttiva Ue (2002/90) e da una decisione quadro del Consiglio europeo del 2002, impone agli Stati Ue di sanzionare «chiunque intenzionalmente aiuti una persona non cittadina (…) a entrare o transitare nel territorio di uno Stato membro in violazione delle leggi di detto Stato».

Tuttavia, «ciascuno Stato membro può decidere di non adottare sanzioni» per chi agevoli l’entrata dello straniero al solo fine di «prestare assistenza umanitaria alla persona interessata», quindi senza alcun guadagno finanziario. In sintesi, gli Stati Ue hanno l’obbligo di introdurre il reato di favoreggiamento dell’immigrazione irregolare, ma solo la facoltà di prevedere una scriminante “umanitaria”.

In Italia la normativa Ue è stata attuata dall’articolo 12 del Testo Unico sull’Immigrazione, che punisce il reato (reclusione da due a sei anni e multa di 15.000 euro) senza alcuna eccezione umanitaria. L’articolo prevedeva inoltre aggravanti, che – come detto – sono state abolite con la sentenza della Consulta.

Il contrasto con la Carta dei diritti fondamentali Ue

Il tribunale di Bologna ha chiesto alla Corte di giustizia di valutare se la normativa europea, prevedendo la criminalizzazione del favoreggiamento dell’immigrazione irregolare senza alcuna esimente per chi agisca a scopi umanitari o per obblighi familiari, violi la Carta dei diritti fondamentali dell’Ue: in particolare, il principio di proporzionalità (art. 52, paragrafo 1), letto congiuntamente a diritti sanciti dalla Carta stessa, come quello alla libertà personale (art. 6), alla proprietà (art. 17), alla vita (art. 2), all’integrità fisica (art. 3), all’asilo (art. 18), alla vita familiare (articolo 7). Il tribunale ha altresì chiesto alla Corte di valutare se pure l’art. 12 della legge italiana, non escludendo la responsabilità di chi agisca senza scopo di lucro, violi tali disposizioni.

L’avvocato generale della Corte di Giustizia Ue, nelle conclusioni del 7 novembre scorso, ha affermato – tra l’altro – che spetta agli Stati membri adottare una legislazione proporzionata, cioè che consenta al giudice di «differenziare l’incriminazione di una persona che ha agito per scopi umanitari» da quella di chi sia mosso esclusivamente dallo «scopo di lucro».

Gli esiti

La decisione della Corte, attesa tra la fine del 2024 e l’inizio del 2025, potrebbe confermare la validità del “pacchetto facilitatori” oppure ritenere incompatibili con la Carta dei diritti fondamentali Ue alcune disposizioni, specificamente quella che prevede la mera facoltà, e non l’obbligo, per gli Stati membri, di esonerare da responsabilità chi abbia agito per motivi umanitari.

In questo secondo caso, la Commissione Ue dovrebbe intervenire sulla normativa europea. Ma anche l’esecutivo italiano dovrebbe riformulare la disciplina sul reato di favoreggiamento dell’immigrazione irregolare. Ne resterebbe travolto anche il “reato universale”, sancito dal decreto Cutro, con cui Meloni ha preteso di perseguire il favoreggiamento stesso su “tutto il globo terracqueo”. Le inevitabili lamentele sulla congiura dei giudici sarebbero ancor più che in altri casi prive di qualunque fondamento.

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