Uno dei ministeri chiave di questo esecutivo è quello della Giustizia. Non a caso al vertice è stata scelta la costituzionalista e fedelissima del Quirinale Marta Cartabia, una tecnica illustre chiamata a raffreddare il fronte tra i più divisivi tra le forze di maggioranza. Al suo fianco, il gioco a incastri che è stato la nomina dei sottosegretari ha collocato due personalità inedite e contrapposte.

I Cinque stelle, per i quali il dicastero di via Arenula è da sempre luogo di battaglie di bandiera, hanno mantenuto il posto ma in sostituzione di Vittorio Ferraresi è arrivata Anna Macina. L’avvicendamento non è stato indolore e ha provocato più di qualche arrabbiatura dentro i Cinque stelle e sarebbe stato giustificato soprattutto dalla necessità di individuare figure femminili. Tuttavia non sposta gli equilibri correntizi: sia Ferraresi che Macina, infatti, sono considerati vicini alla linea istituzionale dell’ex capo politico, Luigi Di Maio.

Se però Ferraresi operava con un ministro che era anche suo collega di partito come Alfonso Bonafede, Macina avrà un compito ben più gravoso: mantenere quanto più possibile il punto sulla riforma Bonafede dello stop alla prescrizione, che la ministra Cartabia ha già annunciato di voler modificare all’interno del disegno di legge sul processo penale.

Chi è Macina

Quarantacinquenne avvocata di Brindisi ma nata a Bari e tra le animatrici della prima ora dei Cinque stelle pugliesi, Macina è capogruppo del Movimento nella commissione Affari costituzionali. Ha fama con l’ormai ex opposizione di essere una tra le grilline più dialoganti, anche se non si è mai occupata direttamente di giustizia. Capace di riconoscere i meccanismi politici, era stata tra i “pontieri” che, nelle settimane di agonia del governo Conte bis, non avevano chiuso del tutto le porte a Italia viva per un nuovo accordo di governo.

In materia di prescrizione Macina ha sempre tenuto ferma la posizione intransigente del Movimento, ma nel farlo ha usato argomentazioni sufficientemente smussate da richiamare la mediazione raggiunta con il Pd: «Il problema non è la prescrizione, sono i tempi della giustizia – ha scritto recentemente su Facebook – All'interno delle commissioni la riforma del processo penale è già arrivata da tempo. La prescrizione non può essere la cura del male, se il male sono i tempi della giustizia, lavoriamo su questo».

Chi è Sisto

A prendere il posto del dem Andrea Giorgis, invece, è il deputato e responsabile nazionale per la giustizia di Forza Italia Francesco Paolo Sisto. Anche lui avvocato e anche lui barese proprio come Macina, il suo nome è però legato in modo strettissimo alle iniziative del centrodestra in materia di giustizia.

Berlusconiano di stretta osservanza e in parlamento da tre legislature, è anche uno dei legali di punta del partito insieme a Niccolò Ghedini: è tutt’oggi il difensore di Silvio Berlusconi nel filone barese del processo escort, lo è stato di Denis Verdini nel processo sull’inchiesta P3 e anche di Raffaele Fitto, con cui condivide le radici pugliesi.

Nell’ultimo anno è stato tra gli avversari più decisi della linea politica di Bonafede, contestando all’orgine la riforma dello stop alla prescrizione che «serve semplicemente a trasformare l’Italia in un Paese anticostituzionale» e ancora «così si trasforma l’Italia in un Paese dal diritto penale della intimidazione e della paura».

Proprio lui, a nome di Forza Italia, aveva depositato l’emendamento al Milleproroghe che doveva sospendere l’efficacia della riforma Bonafede ed è stato anche restio a ritirarlo.

Il ritiro, infatti, è avvenuto solo dopo una prima interlocuzione con Cartabia, che ha assicurato con un ordine del giorno del governo la volontà di mettere mano alla prescrizione ma di volerlo fare con un disegno di riforma organico del penale. Salvo, tuttavia, astenersi invece che votare contro sull’emendamento di Fratelli d’Italia per lo stop della legge Bonafede discusso la settimana scorsa.

Il lodo Cartabia

A rimanere apparentemente fuori dai giochi, invece, è il Partito democratico, che ha perso il suo sottosegretario alla Giustizia, nonostante il lavoro di Giorgis sia stato apprezzato anche nella sua capacità di mediazione.

A penalizzarlo, oltre ai numeri ridotti di caselle da riempire, anche la necessità dei dem di pareggiare le quote di genere. Nessun disinteressamento rispetto alla pratica giustizia, quindi, ma semplicemente un sacrificio necessario nella complessa dinamica ripartitoria tra le correnti interne.

Tuttavia, il ragionamento nel Pd è che una ministra come Cartabia, tecnica ma di alto profilo, è di per sè una garanzia di equilibrio del sistema. Altro discorso, invece, sarebbe stato necessario se a via Arenula fosse finito un politico.

A convincere i democratici sono stati i primi passi della ministra, molto concreta ma anche dialogante, tutta orientata a raffreddare il clima pur prendendo in mano dossier complicati come la prescrizione.

Il termine per farlo ora è fissato: entro il 29 marzo dovranno essere depositati gli emendamenti al disegno di legge penale e in quella sede si conoscerà la sorte della norma Bonafede.

Si valuterà se conservare il lodo Conte bis già depositato (che differenzia le posizioni di assolti e condannati in primo grado) e che aveva ottenuto il via libera anche di Bonafede, oppure modificarlo in modo più significativo.

Ora che la maggioranza è cambiata e il fronte garantista si è allargato, infatti, i dem per bocca di Walter Verini hanno rimesso sul tavolo l’ipotesi della «prescrizione processuale» al posto dello stop tout court dopo il primo grado, che consiste nella fissazione di «un limite massimo di durata per ciascuna fase del processo, oltre il quale non si può andare». Toccherà a Cartabia trovare il punto di caduta.

 

© Riproduzione riservata