Una riforma dall’effetto «dirompente», frutto di scelte «arbitrarie» e «non riconducibile a un legittimo esercizio della discrezionalità». Una riforma che interviene «in modo pesante sul sistema dei reati contro la pubblica amministrazione» ed elimina «importanti presidi penali a tutela del buon andamento e dell’imparzialità».

Sono le parole dei giudici del tribunale di Firenze che, accogliendo l’istanza del penalista Manlio Morcella sull’abrogazione dell’abuso d’ufficio, come anticipato da Domani, hanno sollevato questione di legittimità costituzionale davanti alla Consulta. Sarà dunque la Corte a doversi pronunciare: l’abolizione del reato dei cosiddetti colletti bianchi, così come voluto dal ministro della Giustizia Carlo Nordio, è conforme alla Costituzione? La decisione è prevista non prima della primavera del 2025. E avrà al centro uno dei punti più cari al governo. Nell’ordinanza con cui ritengono l’istanza sulla questione in esame «rilevante» e «non manifestamente infondata», i giudici non solo mettono in evidenza eventuali profili di irragionevolezza della riforma ma evidenziano le “responsabilità politiche” di chi l’ha voluta.

«La norma (sul reato di abuso di ufficio, ndc) evitava il dilagare di condotte dolosamente arbitrarie», si legge nell’ordinanza del tribunale, «e lasciava ai cittadini uno strumento attraverso cui ricorrere alla magistratura». Con la riforma Nordio, invece, pare che un vero e proprio regalo sia stato fatto a chi vede attribuirsi dalla legge «poteri rilevantissimi in grado di incidere pesantemente sui diritti inviolabili, costituzionalmente garantiti, in primis la libertà personale e il patrimonio».

Se la decisione della Corte costituzionale accoglierà la questione si sancirà un ritorno al passato e «verrebbe reintrodotta», spiega l’ordinaria di Diritto costituzionale all’università degli studi di Milano, Francesca Biondi, «una fattispecie incriminatrice abrogata». Un reato senza il quale oggi potrebbero essere autorizzati eccessi di potere. Ma anche, secondo le parole di Marco Ruotolo, costituzionalista nell’ateneo di Roma Tre, «prevaricazioni, favoritismi e sfruttamento privato dell’ufficio».

«L’accoglimento della questione di costituzionalità», prosegue Biondi, «produrrebbe effetti sfavorevoli». Nei confronti di chi attualmente, a seguito dell’abolizione dell’abuso di ufficio, può chiedere la cancellazione della propria condanna definitiva. Occorrerà anche valutare, in caso di accoglimento da parte della Consulta, cosa potrebbe “rischiare” a livello politico il ministro Nordio. «Tante volte scelte politiche rilevanti sono state messe nel nulla dalla Corte Costituzionale senza che questo abbia prodotto conseguenze politiche sulla compagine governativa», dice Biondi. Concorda l’ordinario di Roma Tre Ruotolo: «Nessuna responsabilità personale».

Ma il professore aggiunge: «Una eventuale dichiarazione di incostituzionalità significherebbe tuttavia la smentita di un’azione di governo che sarebbe riconosciuta lesiva di precisi obblighi internazionali. La Convenzione di Merida chiede il rafforzamento delle norme anti corruzione e non ammette retrocessioni rispetto alla lotta a questo gravissimo fenomeno. Nessuna responsabilità personale del ministro sì, ma non credo mancherebbe una critica a livello politico». Del resto con la cancellazione dell’abuso di ufficio il governo ha più volte ribadito di essere riuscito a riformare la giustizia in Italia. Ma se adesso quella riforma scricchiola, sarà anche doveroso valutare quanta dose di propaganda ha accompagnato le affermazioni di Nordio e della destra meloniana. Che dell’abolizione del reato dei pubblici ufficiali (e non solo) ha fatto il suo vessillo.

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