Il plenum del Csm si è spaccato sul voto al testo unico che riforma i criteri in materia di nomine, segnando un solco profondo tra consiglieri.

Alla fine ha prevalso la proposta A, che ha confermato la discrezionalità del consiglio nelle nomine, sostenuta dall’inedita alleanza della corrente progressista di Area (sei voti) con quella conservatrice di Magistratura indipendente (sette voti), cui si sono aggiunti i voti del laico di Italia Viva Ernesto Carbone, della prima presidente della Cassazione, Margherita Cassano e del procuratore generale di Cassazione, Luigi Salvato. Alla fine ha ottenuto 16 voti.

Il nuovo testo unico prevede interventi correttivi sul testo attuale con una distinzione tra indicatori specifici e generali, con una più precisa specificazione del rapporto, ma tende a lasciare al Csm un ampio margine di discrezionalità al momento della nomina, in ossequio al ruolo riconosciuto all’organo di governo autonomo della magistratura.

A soccombere con 14 voti è stata la proposta B - presentata da Magistratura democratica (un voto) insieme ai centristi di Unicost (quattro voti), in accordo con gli indipendenti Andrea Mirenda e Roberto Fontana - che invece prevedeva di fissare dei punteggi da attribuire ad ogni competenza dei candidati per le posizioni direttive e semidirettive, strutturando «a monte le regole del gioco», avevano spiegato i proponenti. Insieme hanno votato anche i laici del Pd e del M5S.

A sostenerla si sono schierati a sorpresa anche i cinque laici di centrodestra, incerti fino all’ultimo se astenersi – come già aveva fatto la consigliera Claudia Eccher in commissione – o se sostenere la proposta B come invece hanno fatto. «Di certo non daremo mai copertura ad un accordo tra Area e Mi» è stata la valutazione interna, che in ogni caso vedeva nella proposta coi punteggi la più coerente in prospettiva della separazione delle carriere.

La laica di centrodestra Isabella Bertolini ha infatti detto che «il metodo delle nomine esercitato da tutti ha fatto diventare la discrezionalità mero arbitrio» e che «il metodo seguito in questi mesi in commissione» e al plenum dimostrano «che qualcosa non ha funzionato e la strada per recuperare autorevolezza è ancora lunga». La proposta A «non va a vantaggio della qualità del dirigente» «per colpa di parametri troppi evanescenti» e la proposta B «con i punteggi non esclude che si misceli una corsa al carrierismo con la precostituzione di medagliette senza una analisi di come i compiti si sono svolti in concreto». Tuttavia, ha concluso «voterò la proposta B perché correrò il rischio della strada nuova per non avvallare la convergenza politica innaturale di due componenti della magistratura che hanno principi divergenti che oggi siglano un patto di cui non voglio comprendere gli obiettivi ma di cui vedremo presto gli sviluppi».

La risposta di Area è arrivata: «Nessun patto, ma il senso istituzionale di due gruppi che hanno cercato di attenersi al richiamo del Colle, dall’altro lato qualcuno è andato per un’altra strada. Non penso sia disdicevole per Area votare con Mi, come non lo è per Fdi votare con Md. Si porta avanti ciò che si ritiene giusto», ha ribattuto Tullio Morello.

Il segnale, dunque, è stato molto forte. «Contro il correntismo», ha commentato un togato sostenitore della proposta B con condivisione a distanza dei laici di centrodestra. Ma il segnale è stato anche di quanto il consiglio sia profondamente diviso al suo interno, ma su geometrie estremamente variabili.

Il voto

L’assemblea di ieri si è conclusa in tarda serata, dopo che già la discussione generale si era svolta in un precedente plenum straordinario. Il dibattito è stato molto acceso sia sugli emendamenti che sulla decisione finale. Il testo unico, infatti, ha un forte impatto politico sul futuro di tutte le nomine espresse dal Csm e soprattutto – con visione opposte a seconda della proposta sostenuta – sulla cosiddetta autoriforma del Consiglio dopo lo scandalo Palamara e i mali che aveva fatto emergere: il carrierismo del singolo magistrato che, per accedere a ruoli di dirigenza, si appoggiava ai gruppi associativi per sperare nel sostengo in modo da ottenere la nomina.

L’auspicio del Colle e dello stesso Consiglio era stato quello di poter giungere a una proposta unitaria, invece non è stato possibile e le due visioni antitetiche si sono confrontate col voto. Proprio di questo si era lamentato nel precedente plenum straordinario il vicepresidente Fabio Pinelli, che si è astenuto ma ha criticato duramente entrambe le proposte: «Credo che l’ambizione fosse quella di superare le crisi reputazionali che hanno investito l’organo di governo autonomo e quindi di restituire autorevolezza e credibilità al Consiglio. Questa è una delle ragioni per cui credo che l’auspicio del Presidente della Repubblica, presidente del Consiglio superiore, di arrivare ad una proposta unitaria avrebbe dovuto essere ascoltata». Inoltre «entrambe le proposte di modifica del testo unico a mio giudizio esprimono un difetto di autorevolezza», perché «stiamo dicendo in qualche modo al Paese che non ci fidiamo di noi stessi, dell’uso che abbiamo fatto della discrezionalità e ci guardiamo vicendevolmente con sospetto e con diffidenza e che non ci riteniamo capaci di esercitare col giusto equilibrio questo potere. Se esiste un modo per riguadagnare la fiducia, non è certo la rinuncia ai nostri doveri. Al contrario, l’unica maniera è la responsabilità, il lavoro onesto, serio e umile».

Il dibattito

«Non possiamo chiedere ai tacchini di cucinare il pranzo di Natale» è stata nel dibattito l’amara conclusione dell’indipendente Mirenda al momento del dibattito, sottintendendo come – nella sua valutazione – i due maggiori gruppi associativi non avrebbero mai rinunciato alla discrezionalità nella valutazione delle nomine.

«Se il nostro testo è quello del farmacista», ha commentato Marco Bisogni di Unicost, «il testo A è quello del negazionista climatico», ovvero quello di chi «si ostina a mantenere regole che hanno dimostrato la loro inadeguatezza», e si è interrogato polemicamente sul fatto che «due gruppi di solito antagonisti siano in accordo su un testo, per altro dandone una interpretazione antitetica».

Il punto cardine della discussione è stato messo a fuoco dalla prima presidente Cassano: «Il Csm non deve aver paura di far esercizio responsabile della sua discrezionalità, che non significa irragionevolezza o arbitrio, ma che ha nella motivazione come massima garanzia di controllo», ha detto a sostegno della proposta A. «I magistrati non ci chiedono di non esercitare la discrezionalità, ma di esprimerci con criteri leggibili e con motivazione articolata. E ci chiedono soprattutto coerenza nella applicazione dei criteri, con un meccanismo di prevedibilità che è la stessa chiesta ai giudici quando amministrano la giustizia».

A questo ha opposto una visione alternativa il consigliere di Unicost, Antonino Laganà: «L’unica forma di discrezionalità vera è quella che agisce sulla base di un criterio tassativo definito a monte, altrimenti è solo arbitrio», ha detto criticando il fatto che nella proposta A fosse senza i criteri rigidi.

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