Il tema controverso è: la distinzione tra un cittadino comunitario vaccinato e non vaccinato potrebbe essere giuridicamente discriminatoria
- Il Digital green pass conterrà dati sensibili dei cittadini europei e servirà una norma comunitaria per un adeguato trattamento.
- Il Garante della privacy italiano lancia l’allarme: i pass non potranno essere destinati a distinguere i cittadini vaccinati dai cittadini non vaccinati.
- Il rischio sarà quello di veder compromessa la libertà di movimento dei cittadini all’interno del territorio comunitario, una delle libertà fondamentali del Trattato Ue, in considerazione della diversa efficacia dei vaccini presenti.
Il “Digital Green Certificate” al vaglio non solo della privacy: il passaporto vaccinale deve garantire il rispetto dei diritti comunitari fondamentali.
La proposta legislativa per facilitare la circolazione all’interno della Ue presentata sui tavoli della Commissione da soli due giorni, rischia di sollevare numerosissime problematiche.
Il progetto, infatti, presenta nodi che l’attività politica con grande fatica dovrà tentare di sciogliere.
Il primo ostacolo è quello del rispetto del diritto alla privacy che, come noto, è proprio uno dei diritti fondamentali che le istituzioni comunitarie da tempo hanno deciso di proteggere.
Le logiche della data protection, contenute proprio nel cosiddetto G.d.p.r. (General data protection regulation), cristallizzate nel Regolamento Ue 2016/679, prevedono una grandissima attenzione per quelli che sono i dati “particolari”, ovvero i dati sanitari.
Per la tutela dei dati sanitari contenuti in quello che sarà il pass vaccinale europeo, la Commissione europea dovrà essa stessa attenersi a un regime particolarmente rigoroso, e dovrà porsi un problema relativo alle basi giuridiche sulle quali il trattamento dei dati sanitari potrà essere fondato.
La privacy
Il problema della privacy è stato subito evidenziato come un elemento importante in relazione all’adozione dei pass vaccinali dalla Commissione stessa che, proprio nel giorno della presentazione del progetto, ha affrontato immediatamente l’argomento sul sito istituzionale all’interno dell’aerea “Faq”.
“Poiché tra i dati personali contenuti nei certificati vi sono dati medici sensibili, sarà garantito un altissimo livello di protezione dei dati – argomenta la Commissione europea, rassicurando a proposito il concreto superamento delle problematiche concernenti la privacy- I certificati conterranno solo una serie limitata di informazioni necessarie, che non potranno essere conservate dai paesi visitati. A fini di verifica, verranno controllate solo la validità e l'autenticità del certificato accertando da chi è stato rilasciato e firmato. Tutti i dati sanitari rimarranno negli Stati membri che hanno rilasciato il certificato”.
Come risulta essere evidente dalle considerazioni contenute nelle Faq, le istituzione si pongono un problema relativo alla proporzionalità e necessità del trattamento rispetto alla finalità perseguita.
“Il sistema dei certificati verdi digitali non richiederà la creazione e la manutenzione di una banca dati a livello dell'UE” conclude la nota della Commissione europea ponendo il focus sulla data protection dei dati informatici.
Il rilascio del Digital Green Pass verrà permesso nel rispetto di tre principali condizioni: l’essere stati vaccinati, essere negativi a un tampone, essere guariti dal Covid.
Le informazioni verranno riassunte in un Qr code e la Commissione finanzierà la creazione di un gateway a livello europeo che aiuterà gli Stati membri nello sviluppo dei software che utilizzeranno i verificatori preposti alla scansione del codice.
In tempi non sospetti, il nostro Garante della protezione dei dati aveva già sollevato le criticità fondamentali di quello che ora andrà a definirsi come il “green pass vaccinale europeo”.
“Con l’arrivo dei vaccini anti-Covid-19 si discute dell’opportunità di iniziare a implementare soluzioni, anche digitali (es. app), per rispondere all’esigenza di rendere l’informazione sull’essersi o meno vaccinati come condizione per l’accesso a determinati locali o per la fruizione di taluni servizi (es. aeroporti, hotel, stazioni, palestre ecc.) – si legge nella nota pubblicata sul sito del Garante il primo marzo.
“I dati relativi allo stato vaccinale, infatti, sono dati particolarmente delicati e un loro trattamento non corretto può determinare conseguenze gravissime per la vita e i diritti fondamentali delle persone: conseguenze che, nel caso di specie, possono tradursi in discriminazioni, violazioni e compressioni illegittime di libertà costituzionali” – sottolinea l’Autorità Garante della privacy richiamando il rispetto del diritto fondamentale alla privatezza anche per i “decisori pubblici e degli operatori privati”.
Compagnie aeree e società
Oltre a governo e parlamento, come correttamente evidenziato dall’Autorità a protezione della privacy nostrana, nel processo di verifica di quelli che saranno i green pass vaccinali europei, interverranno anche le compagnie aeree e le società di servizi.
Una compagnia aerea, in previsione anche un ristoratore o una palestra, per effettuare l’attività prevista dal Common pass dovrebbe aver bisogno di una delle basi giuridiche per i trattamenti di dati particolari di previsti dall’articolo 9 Gdpr.
Oltre alla evidenziazione del vuoto normativo a proposito presente, il Garante ha sottolineato la grave possibile compromissione dei diritti correlati alla verifica di essersi sottoposti, o meno, alla vaccinazione
“In assenza di tale eventuale base giuridica normativa - sulla cui compatibilità con i principi stabiliti dal Regolamento Ue il Garante si riserva di pronunciarsi - l’utilizzo in qualsiasi forma, da parte di soggetti pubblici e di soggetti privati fornitori di servizi destinati al pubblico, di app e pass destinati a distinguere i cittadini vaccinati dai cittadini non vaccinati è da considerarsi illegittimo” – conclude il Garante.
Nei desiderata dell’Ue del certificato digitale vi sarebbe quello di evitare divisioni e blocchi tra i Paesi membri dell’Unione europea e facilitare gli spostamenti dei cittadini europei, anche semplicemente per consentire viaggi e incrementare il turismo.
In questa prospettiva, l’intricata matassa ora da dipanare sarà questa: se il regime optato sarà quello della vaccinazione non obbligatoria, come potrà questa scelta compromettere all’interno del territorio Ue il rispetto di uno dei diritti fondamentali della Carta dei diritti fondamentali dei cittadini Eu che è rappresentato dalla libertà di circolazione e di soggiorno contenuta nell’articolo 45?
La distinzione tra un cittadino comunitario vaccinato e non vaccinato potrebbe risultare evidentemente discriminatoria ai fini della tutela del diritto fondamentale allo spostamento sul territorio degli stati membri, specie alla luce della disponibilità all’interno degli stati europei di diversi vaccini con percentuale di efficacia diversa.
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