A Prestipino rimane da tentare la carta del ricorso al Consiglio di Stato, ma la decisione dei giudici amministrativi terremota la procura più importante d’Italia con argomentazioni che mettono in discussione l’operato del Consiglio superiore della magistratura
- In particolare, il Tar censura il fatto di aver fatto prevalere Prestipino su Lo Voi e Viola, che avevano già rivestito incarichi direttivi.
- Prestipino, storico vice dell’uscente Giuseppe Pignatone, avrebbe beneficiato nella valutazione del Csm del fatto di essere stato il braccio destro di chi in precedente aveva gestito la procura, contribuendo alla gestione.
- Ora che la partita deve essere rigiocata alla luce non solo della sentenza del Tar ma anche delle nuove rivelazioni di Palamara, l’esito è tutt’altro che scontato. E sarà la cartina al tornasole dei mutati equilibri delle sigle della magistratura associata.
Il tribunale amministrativo del Lazio ha annullato la nomina di Michele Prestipino a capo della procura di Roma come successore di Giuseppe Pignatone e apre così un nuovo capitolo dello scontro tra procuratori, scaturita dopo le rivelazioni del caso Palamara.
Il Tar ha accolto il ricorso presentato dal procuratore capo di Palermo, Francesco Lo Voi e dal pg di Firenze, Marcello Viola e “per l’effetto, annulla i provvedimenti impugnati”, “salvi ulteriori provvedimenti del Csm”. Respinto, invece, il ricorso del procuratore di Firenze, Giuseppe Creazzo.
A Prestipino rimane da tentare la carta del ricorso al Consiglio di Stato, ma la decisione del Tar terremota la procura più importante d’Italia con argomentazioni che mettono in discussione l’operato del Consiglio superiore della magistratura nel valutare l’opportunità della nomina.
Le motivazioni
La sentenza amministrativa censura in modo pesante le valutazioni del plenum che, nella scelta di Prestipino, ha considerato come elementi determinanti quelli che vengono indicati come “indicatori specifici” dal testo unico sulla dirigenza giudiziaria. In particolare, in favore di Prestipino ha pesato la «pregressa esperienza diretta» presso l’ufficio e la capacità di «assumere le soluzioni organizzative che garantiscono l'efficienza dell'Ufficio», dimostrata attraverso il «contribuito all'elaborazione di quelle soluzioni organizzative che hanno contribuito a rendere efficiente la Procura». Tuttavia, osserva il Tar, «gli indicatori specifici sono criteri “settoriali” perché rilevano ai fini della valutazione specifica dell’attitudine direttiva; ma non esauriscono l’intera figura professionale del magistrato la quale va, piuttosto, ricostruita nella sua complessità, tenendo conto degli indicatori generali e del “merito”». Per questo, secondo il Tar, «non è conforme al TU un giudizio comparativo che – senza adeguata, particolare ed effettiva motivazione – finisca per immotivatamente sovvertire il detto rapporto tra indicatori attitudinali specifici e indicatori attitudinali generali».
I giudici amministrativi, inoltre, confrontano i profili dei due ricorrenti con quello di Prestipino e sottolineano che «la comparazione vedeva di fronte due magistrati, di cui uno aveva ricoperto ben due incarichi direttivi - uno di Procuratore della Repubblica e l’altro di Procuratore Generale della Repubblica- e l’altro solamente due incarichi semidirettivi. Inoltre, emergeva dai pareri dei Consigli Giudiziari territoriali che il ricorrente aveva curato brillantemente la complessiva organizzazione dei due diversi uffici giudiziari, di primo e secondo grado, di estrema rilevanza e complessità, ottenendo sempre risultati di eccezionale rilievo ed efficacia. Il ricorrente evidenziava anche che, in base al vigente sistema ordinamentale, il Procuratore Aggiunto (come è stato il dott. Prestipino) non può possedere l’ampiezza delle funzioni, con correlativa assunzione di responsabilità, nonché il complessivo bagaglio di attribuzioni che, invece, caratterizzano la figura del Procuratore Capo o del Procuratore Generale».
Da ultimo, il Tar censura soprattutto la mancanza di motivazione da parte del Csm della scelta di escludere Viola dalla competizione: «non risulta in atti una motivazione specifica sull’esclusione da parte della Quinta Commissione, per cui deve concludersi che, in realtà, la procedura di conferimento dell’incarico direttivo sia stata viziata “a monte” dalla carenza di motivazione in ordine all’esclusione».
I legami col caso Palamara
Si riapre, dunque, la partita per la nomina nella più importante procura italiana, decisa lo scorso 4 marzo, e i due magistrati siciliani tornano in lizza. Una censura così pesante sull’operato del Csm nell’individuare il successore di Pignatone, tuttavia, è destinata a riaprire lo scontro tra i ranghi della magistratura, su cui pesano anche le allusioni contenute nel libro-intervista di Luca Palamara.
Al centro dello scandalo che ha portato alla sua radiazione dalla magistratura, infatti, c’è il dopocena all’hotel Champagne dove lui insieme a Luca Lotti, Cosimo Ferri e tre togati del Csm avrebbero discusso e deciso chi doveva essere il successore di Pignatone, individuando il nome di Viola. Il trojan nel cellulare di Palamara però ha registrato tutto e la pubblicazione sui giornali di quelle intercettazioni ha fatto esplodere il caso del “mercato delle nomine”, facendo saltare la nomina ormai quasi fatta di Marcello Viola. Nel libro, la tesi di Palamara è chiara: lui – che sostiene di essere stato l’artefice della nomina di Pignatone a Roma – viene screditato nel momento in cui scavalca Pignatone nella scelta del suo successore. Pignatone vorrebbe che il nuovo procuratore agisca in continuità e il nome sarebbe quello del suo braccio destro, Michele Prestipino. Palamara, invece, vorrebbe giocare da solo la partita e nominare un nuovo procuratore capo più controllabile, perché scelto con la logica spartitoria che lui governa.
Questa è la tesi che Palamara oggi usa per difendersi: il “sistema” si sarebbe attivato contro di lui quando si mette in testa di determinare le sorti della procura più importante d’Italia contro il volere di chi fino ad allora la aveva retta.
Chi è Michele Prestipino
Michele Prestipino, la cui nomina è stata annullata, è stato per anni il braccio vice di del magistrato antimafia Giuseppe Pignatone. I due iniziano a lavorare insieme nel 1996 a Palermo e Prestipino poi segue il “maestro” prima a Reggio Calabria e poi a Roma. Una simbiosi, la loro, che si è tradotta nel modo di svolgere le indagini e di costruire le ipotesi accusatorie mutuate dalle indagini per mafia prima nelle procure del Meridione e poi anche a Roma, con Mafia Capitale (la cui tesi accusatoria è stata in buona parte smontata nel giudizio d’appello).
Il nome di Prestipino, dunque, ha rappresentato una perfetta continuità con la precedente reggenza. Tuttavia, la nomina non è stata semplice: il plenum del Csm si era spaccato e Prestipino è stato nominato solo con un ballottaggio vinto 14 a 8. Area, la corrente di sinistra, e una parte di Autonomia e indipendenza hanno votato Prestipino; la corrente centrista di Unicost prima aveva puntato su Giuseppe Creazzo (appoggiato anche da due dissidenti di Ai) e poi su Prestipino; infine i conservatori di Magistratura indipendente avevano sostenuto Franco Lo Voi. Anche i laici si erano divisi: due dei tre Cinque stelle avevano sostenuto Prestipino, il terzo prima Creazzo e poi Lo Voi, che era sostenuto anche dai due consiglieri laici di Forza Italia e uno della Lega.
Ora che la partita deve essere rigiocata alla luce non solo della sentenza del Tar (e del futuro ricorso in Consiglio di Stato) ma anche delle nuove rivelazioni di Palamara, l’esito è tutt’altro che scontato. E sarà la cartina al tornasole dei mutati equilibri delle sigle della magistratura associata.
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