Sul caso Grillo tutti si sono voluti schierare senza conoscere davvero i fatti che saranno oggetto di giudizio. E il sentimento di fondo è il cattivo gusto
- Ci si è voluti schierare, da una parte e dall’altra, a seconda dei preconcetti. Ma in fondo, cosa sappiamo di questa vicenda? Nulla.
- Si è detto di tutto e si è pensato di tutto, addirittura ad un certo punto c’è chi ha suggerito di diffondere il famoso video (abbiamo già dimenticato il revenge porn?).
- Si dimentica che dietro nomi di fantasia “Silvia” o “Anna” c’è una persona reale, che ha vissuto un dramma, così come il dramma lo ha vissuto la persona nei confronti della quale è stato avviato un procedimento penale.
Per circa due anni abbiamo ignorato che il figlio di Beppe Grillo fosse indagato insieme ad altri coetanei per violenza sessuale di gruppo.
Ora, dopo l’apertura del vaso di Pandora, sembra che non si parli d’altro.
Passo dopo passo stiamo seguendo, settimana, dopo settimana questa querelle come dei passivi e attoniti spettatori di una vicenda grottesca che di fatto è servita come palcoscenico a chi da una parte gridava con fiero machismo che in fondo si trattasse solo di una serata goliardica finita “a tarallucci e vino”, a causa del gomito alzato; dall’altra, c’è chi ha issato le barriere stereotipando il ruolo della “vittima è vittima”, conferendo il patentino illimitato dell’attendibilità.
Schieramenti e stereotipi
Ci si è voluti schierare, da una parte e dall’altra, a seconda dei preconcetti e un po’ del background culturale, forse anche della simpatia nutrita nei confronti dei protagonisti, dando un valore positivo o negativo al tempo trascorso per denunciare, al comportamento delle persone offese dopo le presunte violenze, a quello dei giovani indagati, addirittura alla mentalità familiare, in una sorta di retaggio antico in cui le colpe dei padri sarebbero potute ricadere sui figli.
Ma in fondo, cosa sappiamo di questa vicenda? Nulla.
Come del resto non sappiamo nulla della gran parte dei processi che vengono violentemente catapultati sui giornali o sui social network.
Questa triste storia, però, è servita in alcuni casi per rispolverare i ben noti stereotipi patriarcali, quasi a pretendere che, per essere creduta, chi è vittima di una violenza debba avere necessariamente un comportamento standard, o debba reagire in una maniera prestabilita, ignorando le variabili ambientali, sociali, culturali e caratteriali.
Si è detto di tutto e si è pensato di tutto, addirittura ad un certo punto c’è chi ha suggerito di diffondere il famoso video (abbiamo già dimenticato il revenge porn?).
Per seguire il trend dello scimmiottamento della democrazia, perché non pensare allora ad un processo collettivo in piazza, in streaming su qualche piattaforma dove poter dare un voto (pollice su assolto o pollice giù colpevole).
Chissà, magari trasmettendolo direttamente sulla piattaforma Rousseau.
C’è chi addirittura ha riso sotto i baffi che un fattaccio del genere fosse accaduto proprio al figlio di Grillo, il leader della politica populista che non ha fatto delle garanzie del diritto di difesa proprio il fiore all’occhiello.
Sarà sicuramente una ovvietà, ma il merito di ciò che è accaduto quella notte dovrebbe essere discusso e trattato nelle sedi naturali, ed è evidente che nessuno ha la disponibilità del fascicolo (e menomale) e soprattutto le opportune competenze, e forse la sensibilità per trattare alcuni temi.
La persona offesa
Cattivo gusto, sgradevolezza e scarsa umanità, sono forse queste le sensazioni – se vogliamo chiamarle così – che il pubblico più sensibile e attento ha percepito dopo il gran cianciare sulla vicenda.
Nel trattare questi casi – soprattutto quando coinvolgono persone vulnerabili – troppo spesso si dimentica che dietro nomi di fantasia “Silvia” o “Anna” c’è una persona reale, che ha vissuto un dramma, così come il dramma lo ha vissuto e lo sta vivendo la persona nei confronti della quale è stato avviato un procedimento penale.
Anche Ciro Grillo e il suo gruppo di amici stanno vivendo il loro dramma (se non altro perché Grillo senior non ha reso grande giustizia al gruppo, con la sua performance video).
C’è sempre una disgrazia dietro la commissione di un reato, lo diceva un grande professore di diritto penale ai giovani avvocati: «Ricordate di entrare in punta di piedi nelle case delle persone, che siano indagati o persone offese, perché in ogni caso c’è stata una tragedia e voi ne siete gli spettatori. Abbiate una sensibilità e un’umanità degna del ruolo che ricoprite».
Senza entrare nelle ovvietà da politically correct, sarebbe però utile smettere di ragionare per stereotipi, per preconcetti, pensando ad esempio che chi non denuncia un fatto nell’immediatezza debba essere necessariamente raggiunto da un velo di sospetto di strumentalità, tacciato di essere un mentitore o peggio un calunniatore.
I tempi del codice penale
La vergogna, il senso di colpa e soprattutto la volontà di rimuovere qualcosa di terribile che è accaduto, sicuramente stride con i tempi del codice penale e di procedura, ma questo può rappresentare una problematica che si riverserà poi nel processo e che porterà alla necessità di fare i conti con un materiale probatorio che non viene raccolto perché si è denunciato troppo tardi, magari in assenza di riscontri oggettivi.
Inoltre non è detto che chi subisce una violenza e non denunci nell’immediatezza non si sia recata in pronto soccorso o non abbia narrato i fatti alle persone vicine.
Sicuramente verranno rintracciati dei riscontri oggettivi e il vaglio dell’attendibilità del narrato dovrà essere maggiormente rigoroso, ma non è accettabile pensare che solo perché si è denunciato tardi che sia tutta una menzogna.
Ciò che poi accade (soprattutto nelle aule di tribunale) non deve però colpevolizzare chi denuncia una violenza o un reato tout court.
Esiste una certa tendenza giustizialista, spesso l’opinione pubblica populista gode nel dare la caccia alle streghe, altrettanto spesso vengono violati i diritti di difesa e dimenticato il principio della presunzione di innocenza o della responsabilità penale al di là di ogni ragionevole dubbio. Questo però non legittima in alcun modo a trovare in chi denuncia un facile capro espiatorio.
Oggi sappiamo che ci sono degli indagati e una presunta vittima: nel trattare vicende delicate come quella di Ciro Grillo, sarebbe utile rammentare entrambi gli assunti.
In ogni caso dare a tutti i costi un valore positivo o negativo ad un comportamento senza conoscere nulla di una vicenda, dei perché di alcuni comportamenti, delle storie delle persone è inaccettabile.
Ci sono persone che non hanno il coraggio di denunciare le violenze subite perché si vergognano.
Persone che pensano che sia colpa loro e giustificano i loro aguzzini.
Persone che pensano di aver bevuto troppo e che quindi - nella cultura di una società dove il più debole è schiacciato - sia legittimo approfittarne.
Dove uscire di casa con una minigonna o con un pantalone attillato è un chiaro segno di disponibilità, dove bisogna essere attenti perché si può cadere vittime di violenza solo perché si manifestano in pubblico le proprie attenzioni nei confronti di una persona dello stesso sesso.
Tutti fenomeni e tragedie dove si parla di persone, non di donne, di uomini o altro. Non è un problema solo di genere, perché è questo che molte volte viene dimenticato, che la debolezza e la fragilità non è donna, ma è umana.
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