Il procuratore interviene sulle riforme annunciate dal governo e spiega la loro pericolosità. «Dopo il caso Palamara, il Quirinale doveva azzerare il Csm. Le stese di camorra? Non le capisco»
Incontriamo Nicola Gratteri, da tre mesi procuratore a Napoli, in una scuola della provincia, per la precisione a Giugliano, comune nell’area nord, cresciuto a mattone e camorra.
Pochi giorni fa nel campo rom cittadino è morta una bambina di sette anni, fulminata da un cavo elettrico scoperto. Un territorio epicentro del sistema di smaltimento illecito dei rifiuti dove negli anni novanta camorra e imprenditoria criminale hanno trasformato le discariche in bombe ambientali.Al suo arrivo a Napoli prima i penalisti poi alcuni magistrati hanno mostrato una certa insofferenza per la sua nomina, adesso?
Stiamo costruendo un ottimo gruppo di lavoro. Io ascolto tutti, ma poi decido. Sono allenato a guardare negli occhi le persone e invito tutti a essere schietti, non sopporto i lacchè, vengo da una famiglia di semianalfabeti e comprendo chi recita e chi no. Stiamo costruendo un’anima, ci sono magistrati molto preparati, ma la procura di Napoli non è ancora a regime, deve dare e fare di più, abbiamo il compito di rendere più libero e vivibile questo territorio.
Lei è arrivato da tre mesi, qual è la differenza principale tra la ‘ndrangheta e la camorra?
La ‘ndrangheta è più dura, asciutta con un controllo assoluto del territorio e l’ossessione delle regole, con un livello di collaboratori di giustizia bassissimo, non c’è un capo mafia pentito. A Napoli ci sono tante camorre, ma i giovani che sparano nelle piazze e nelle strade ho difficoltà a definirli camorristi. In Calabria gli autori delle stese verrebbero sciolti come sapone, non si vedrebbero più in giro perché la ‘ndrangheta, nella logica del controllo del territorio, non può perdere prestigio. Io ho avuto difficoltà a digerire e capire queste stese, non hanno logica mafiosa come per la ‘ndrangheta. In un’intercettazione ambientale in Calabria, un emissario del crimine di San Luca diceva ai protagonisti di una faida: «State attenti perché se voi sparate alle auto, terrorizzate il popolo, il popolo vi abbandona e quello che avete fatto in 30 anni vi alzate una mattina e lo perdete». Capisco la camorra nell’imprenditoria, capisco la camorra nel dark web dove forse è più avanti della ‘ndrangheta, ma non le stese. A proposito di dark web abbiamo bisogno di nuovi strumenti mentre parliamo è già tardi, le mafie viaggiano velocissime.
Le sfide contro il crimine organizzato aumentano e, intanto, il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, vuole rivedere le intercettazioni, costano troppo, e giudica il trojan incivile, e in questa crociata non è il solo. Che ne pensa?
In questi anni ho sentito parlare persone con ruoli importanti e che, a mio avviso, non capiscono, discettano di intercettazioni telefoniche e dicono tante sciocchezze. Io posso parlare perché quando ho iniziato a fare il magistrato nel 1986 le intercettazioni si facevano usando le bobine, ho seguito tutti i passaggi fino ad oggi. Per mettere sotto controllo un telefono lo stato paga tre euro al giorno, due caffè, questa sarebbe la grande spesa? Il ministero dice che ogni anno spendiamo, in tutta Italia, 170 milioni di euro per le intercettazioni, ma nessuno dice quanti soldi recuperiamo. Lasciamo stare le misure di prevenzione e i sequestri degli immobili, io parlo dei soldi, degli orologi d’oro, dell’argento, dei preziosi, delle auto di lusso. A Napoli, nel 2023, sono stati spesi quasi 5 milioni di euro per le intercettazioni, vuole sapere a quanto ammonta il valore dei sequestri di beni e somme?
A quanto?
A 197 milioni di euro. Ho sentito dire dal ministro: «I mafiosi non parlano al telefono», ma voi che cosa pretendete che una persona dica: «Questa sera non vengo a cena perché devo ammazzare tizio?». Ma se un mafioso chiama al telefono un incensurato e lo invita a bere un caffè, per me investigatore, pubblico ministero, è oro. Per molti che parlano in parlamento potrebbe non significare niente perché non hanno mai fatto processi di mafia, io li faccio dal 1986. Quella telefonata, fatta soprattutto ad un incensurato non a un pregiudicato, può essere fondamentale. Ho sentito anche altre sciocchezze tipo «bisogna tornare ai pedinamenti», ma chi devo pedinare se nessuno si muove e commettono un reato stando seduti su una sedia utilizzando il telefono? E allora, per favore, prima di parlare bisogna documentarsi, studiare.
Il trojan è incivile, insiste il ministro. Le è venuto qualche dubbio in merito?
Noi abbiamo protestato dopo quelle dichiarazioni e ho sentito dire che non sarà toccato lo strumento per i processi di mafia e terrorismo. Non mi soddisfa questa risposta perché sono allenato a studiare i non detti, io lavoro sulle pause per capire cosa mi vuole dire l’interlocutore. Se per venticinque volte sento la stessa cosa, mi chiedo per corruzione, peculato, concussione ce lo fate usare o no? Sono i reati che commettono pubblici amministratori, che spesso stanno gomito a gomito con certa politica e con la mafia. Oggi i politici incontrano i mafiosi, si fanno corrompere, soprattutto nel nostro paese abbiamo avuto un abbassamento etico, non c’è più vergogna. Nei locali alla moda, nei lidi d’estate vedo il funzionario pubblico, l’imprenditore, il mafioso, una volta ci si nascondeva, oggi si ostenta. È fondamentale quello strumento. Lo stesso vale per l’abuso d’ufficio, quale firma mette il sindaco? Quale paura ha? Il sindaco delibera in giunta, se ha problemi interpretativi chieda al segretario comunale oppure all’ufficio preposto in prefettura dove ci sono specialisti di diritto amministrativo. La verità è che piace il potere, e spessissimo non si vuole dare conto a nessuno.
Come sta messa la magistratura?
È debole. Penso che il così detto caso Palamara non sia stato gestito bene, lui al Csm aveva un solo voto, la sua corrente non mi ha mai sostenuto e, però, a me non sta bene che tutte le colpe debbano cadere su di lui. Il presidente della Repubblica avrebbe dovuto azzerare il Csm, questo è il mio modestissimo parere così l’opinione pubblica avrebbe pensato che si faceva sul serio. Non siamo stati duri, integralisti, seri, la mia categoria ha perso credibilità agli occhi dell’opinione pubblica. Oggi nessuno parla, parlo solo io e pochi altri, nessuno protesta, nessuno contesta. Questo rende tutto più difficile.
Procuratore, a leggere alcune indagini emerge una certa prudenza nei confronti di chi conta, pagano solo i senza potere, le carceri italiane sono lì a dimostrarlo, che ne pensa?
Vanno fatte riforme scritte da avvocati e magistrati che frequentano ogni giorno le aule di giustizia, più volte abbiamo detto che le riforme degli ultimi hanno inciso e incidono in modo risibile anzi, alcune addirittura rallentano o impediscono l’accertamento della penale responsabilità. Le carceri, in questo momento, sono dei contenitori, aumentano sempre più i suicidi e la sopportabilità del sovrannumero. Non si sta facendo nulla per i malati psichiatrici e per i tossicodipendenti in carcere. Per fare certe scelte ci vuole competenza e coraggio.
© Riproduzione riservata