Il percorso verso il campo largo che dovrebbe riunire tutto il centrosinistra è lastricato di ostacoli e il più pericoloso è indubbiamente la giustizia.

Nel grande progetto di ricomporre i cocci tra Partito democratico, Italia Viva e Azione, cui aggiungere anche il Movimento 5 Stelle e l’Alleanza Verdi-Sinistra, infatti, dovrà fare i conti con le posizioni agli antipodi su praticamente tutte le questioni che riguardano il sistema giudiziario. A dimostrarlo fanno fede i voti d’aula e le dichiarazioni dei principali esponenti dei partiti. Non a caso, dentro il centrodestra sta da tempo maturando una certezza: l’unica riforma costituzionale che può sperare di passare senza rischio di referendum è quella sulla separazione delle carriere della magistratura.

Separazione delle carriere

La ragione è puramente numerica: la separazione delle carriere delle toghe requirenti e giudicanti attraverso riforma costituzionale è sostenuta convintamente da Azione e Italia Viva, tanto che il loro sostegno porta la maggioranza a un numero che si avvicina a quei due terzi in ogni camera che scongiurerebbe iniziative referendarie.

Proprio questo rischia di essere uno scoglio insuperabile per il campo largo, quando si materializzerà in aula. Il leader di Azione, Carlo Calenda, ha definito la separazione «un principio di civiltà giuridica», portato avanti anche dall’attivissimo deputato Enrico Costa, che su questo ha anche depositato una proposta di legge. Anche Matteo Renzi si è detto favorevole e tra i ranghi di Italia Viva si è definita questa una delle battaglie storiche del garantismo, sulla scia delle battaglie dell’Unione camere penali per cui il giudice deve essere terzo ed equidistante da accusa e difesa. Nei giorni scorsi è stato Roberto Giachetti, esponente di Iv e da sempre impegnato sui temi della giustizia, a definire la separazione delle carriere «la riforma strutturale della giustizia».

Di avviso opposto, invece, sono gli altri partiti del campo largo. Quello che contiene posizioni più variegate è il Partito democratico, che tuttavia a domanda secca si è opposto alla riforma costituzionale. Sebbene nel 2019 – anno del congresso del partito – il candidato alla segreteria Maurizio Martina proponesse nel suo programma proprio la separazione delle carriere e fosse all’epoca sostenuto da autorevoli dirigenti (per citarne alcuni, Graziano Delrio, Vincenzo De Luca, Lorenzo Guerini, Matteo Orfini, Valeria Valente, Dario Parrini e Debora Serracchiani), l’attuale linea maggioritaria è di senso opposto e molti dei firmatari – prima tra tutte Serracchiani, attuale responsabile Giustizia – si sono detti contrari al disegno di legge costituzionale per come è stato impostato da Nordio. La segretaria del Pd, Elly Schlein è intervenuta al congresso dell’Anm a Palermo e dal palco ha rivendicato la «nostra ferma contrarietà a quanto annunciato dal governo sulla separazione delle carriere». Una posizione tranciante e con giustificazioni anche di tattica politica, ma che impegna il Pd su posizioni di segno opposto a quelle dei partiti più centristi. «Noi riteniamo che la separazione delle carriere, oltre a non risolvere i problemi della giustizia, sia l'anticamera della sottomissione dei magistrati all'esecutivo e comprometta il principio dell'obbligatorietà dell'azione penale», sono state le parole della segretaria, che ha paventato un rischio condiviso anche dal Movimento 5 Stelle.

Giuseppe Conte si è scagliato contro la separazione delle carriere definendola «uno dei pilastri del piano di rinascita di Licio Gelli e della P2», così da «avere una magistratura in qualche modo assoggettata e condizionata dal potere politico. Vedo che il governo sta andando in quella direzione». Anche Alleanza verdi e sinistra si è espressa contro: il partito di Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni l’ha definita «un colpo durissimo all'autonomia e all'indipendenza della magistratura proprio mentre la questione morale torna prepotentemente al centro della scena».

Rimangono i rischi di incostituzionalità e procedura Ue

Abuso d’ufficio

Una divisione sostanzialmente analoga a quella sulla separazione delle carriere si ritrova anche nell’abrogazione dell’abuso d’ufficio, promulgato proprio questa settimana dal Colle. Anche in questo caso Azione e Italia Viva hanno votato con il centrodestra a favore del ddl Nordio. Era «il minimo sindacale», ha detto in aula Giachetti in dichiarazione di voto e anche Carlo Calenda si è espresso con argomenti simili a quelli del ministro della Giustizia, Carlo Nordio, dicendo che «la fumosità della fattispecie consente un uso strumentale da parte degli avversari politici».

Anche in questo caso, il Pd si è diviso al suo interno ma infine ha prevalso la linea della segretaria Schlein, che ha schierato il partito contro l’abrogazione nonostante questo abbia aperto una accesa dialettica con gli amministratori locali. I sindaci dem – da Matteo Ricci a Dario Nardella, oggi eurodeputati - e l’ala riformista del partito, infatti, avevano manifestato la necessità di abrogare un reato che consideravano vessatorio e in passato anche il Pd si era mosso con proposte di legge per intervenire sulla fattispecie. La segretaria però ha scelto la linea di antagonismo con il governo: ha sì specificato che il Pd sarebbe stato favorevole a «una riforma che chiarisca ed eviti effetti distorsivi», ma «ma siamo contrari all’abrogazione tout court del reato perché andrebbe anche contro gli impegni internazionali», come del resto evidenziato da autorevoli giuristi, che hanno messo in guardia il governo rispetto al rischio di procedure di infrazione Ue. Anche su questo il Movimento 5 Stelle si è dimostrato il partito con la posizione più radicale, con una contrarietà netta, con l’ex magistrato Federico Cafiero de Raho, oggi deputato, che ha detto che l’abrogazione avrà «effetti devastanti per la legalità, abbassa il livello di difesa del Paese dalla corruzione, dalle mafie, dall'illegalità e rende più difficili gli sviluppi investigativi utili a smascherare i sistemi di protezione degli interessi illegali». Su una linea analoga anche Avs, con il capogruppo in commissione Giustizia Devis Dori che ha definito «aberrante» il ddl Nordio.

Custodia cautelare

La proposta di Nordio di riformare la custodia cautelare non si è ancora concretizzata dunque è prematuro tracciare gli schieramenti, che anche nel campo del centrodestra non sono definiti. Tuttavia anche su questo punto Italia Viva e Azione (con l’ordine del giorno di Enrico Costa) hanno assunto una posizione più vicina alla linea del ministro e di Forza Italia, che puntano a ridurre la possibilità di disporre la custodia cautelare nel caso di rischio di reiterazione del reato. Se superasse le perplessità di Fratelli d’Italia e si tramutasse in ddl del governo, anche su questo il rischio di divisione nel possibile campo largo sarebbe certo.

Punti in comune

Su alcune questioni, invece, una convergenza di massima appare possibile almeno tra Pd e centristi. Sul decreto Carceri, infatti, le opposizioni hanno fatto fronte comune per contestare un decreto legge che non ha offerto alcuna soluzione concreta per contrastare sovraffollamento e suicidi.

In particolare, il centrosinistra e Italia Viva hanno trovato convergenza sulla proposta Giachetti – ora ferma in commissione – per aumentare retroattivamente da 45 a 60 i giorni di liberazione anticipata ogni sei mesi, come soluzione per ridurre il sovraffollamento.

Lo stesso vale anche per la riforma del Csm con il sorteggio dei componenti, contenuta nella più complessiva riforma costituzionale della separazione delle carriere. Se la contrarietà di Pd e M5S era quasi scontata, perplessità sono emerse anche in Italia Viva e Azione, che si sono espresse con scetticismo sull’ipotesi di sorteggiare i membri.

Anche su questioni collaterali ma comunque collegate alla giustizia, come la necessità di legiferare in materia di fine vita sulla scia della sentenza della Corte costituzionale o le questioni legate all’accoglienza dei migranti, il campo largo può lavorare per compattarsi contro la maggioranza. 

La questione, dunque, è soprattutto politica: i punti di contatto tra le opposizioni esistono, quasi quanto i punti di forte divergenza. Certamente la segretaria Schlein punterà a valorizzare i primi e, almeno secondo le ultime dichiarazioni, lo stesso punta a fare anche Matteo Renzi. Il punto, però, rimane soprattutto per quanto riguarda la separazione delle carriere, che ha un’importanza non solo concreta ma anche simbolica visto che si tratta di una riforma costituzionale. Se i centristi convergessero sulle posizioni del governo (accogliendo anche la riforma del Csm, contenuta nello stesso disegno di legge costituzionale), allora davvero la strada del campo largo sarebbe politicamente in salita. Anche se i loro voti non bastassero per raggiungere i due terzi della maggioranza qualificata per scongiurare il referendum.

Del resto un’alleanza d’opposizione o si struttura per essere compatta sui provvedimenti più caratterizzanti per il governo che si punta a disarcionare, oppure non è.

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