- L’ultimo pasticcio riguarda la legge sulla procedura da sovraindebitamento, che entrerà nel codice della crisi di imprese, in vigore dal 1 settembre 2021.
- Le disposizioni processuali riguardano i rapporti tra i litiganti. Ogni incertezza sulle regole apre spazi per aumentare il contenzioso. Ma il legislatore si ostina a usare termini diversi per dettare una medesima regola, creando questioni interpretative.
Oltre alla insufficienza delle risorse per la giustizia, occorre anche considerare gli effetti della tecnica legislativa e della incertezza delle regole. Questa determina effetti devastanti sulla tutela dei diritti e sulla economia.
Il 24 dicembre, nel supplemento ordinario della Gazzetta Ufficiale è stato pubblicato il testo del decreto legge 28 ottobre 2020, n. 137, coordinato con la legge di conversione 18 dicembre 2020, n. 176.
L’art. 4 ter contiene le modifiche della legge 27 gennaio 2012, n. 3, già modificata dal decreto legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito in legge 17 dicembre 2012, n. 221, nonché dal decreto legislativo 18 maggio 2018, n. 54.
Nel sito Normattiva non c’è ancora il testo coordinato della legge sulla procedura di sovraindebitamento. Il che è comprensibile in considerazione del periodo festivo.
Con pazienza, è stato necessario un coordinamento artigianale, a colori, nella consapevolezza che sarà poi necessario verificare come questa disciplina entrerà nel codice della crisi d’impresa, che dovrebbe entrare in vigore il 1° settembre 2021.
Tra le novità introdotte dall’ultima modifica c’è la previsione per la quale la presentazione del piano del consumatore deve essere accompagnata da una relazione che deve contenere, tra l’altro, «l'indicazione presunta dei costi della procedura»; la presentazione dell’accordo di composizione della crisi, invece, deve essere accompagnata da una relazione che deve contenere, tra l’altro, «l'indicazione presumibile dei costi della procedura».
Chi scrive sa quanta attenzione è necessaria per evitare ripetizioni. Il dizionario dei sinonimi è uno strumento essenziale per la scrittura.
termini diversi, regole diverse
La stesura dei testi legislativi risponde o dovrebbe rispondere a regole diverse. Se il legislatore usa termini diversi, detta regole diverse. Il precetto legislativo cambia se cambiano le parole.
Appare scontato rilevare che ciò che può essere «presunto» o «presumibile» è il costo della procedura, non l’indicazione. Ma appare legittimo chiedersi perché il legislatore abbia usato termini diversi per dettare la medesima regola.
Le disposizioni processuali riguardano i rapporti tra i litiganti. Ogni incertezza sulle regole apre spazi per aumentare il contenzioso. La parte che ha torto o che sa di avere torto si attaccherà ad ogni cavillo e ad ogni incertezza anche soltanto per ritardare la decisione.
La distinzione tra l’indicazione presunta e quella presumibile è probabilmente priva di conseguenze sul piano applicativo; almeno si spera. Ma costituisce un ennesimo indice della sciatteria del legislatore.
Un o una giornalista, che scrivesse «l’indicazione presunta o presumibile», sarebbe censurato. In un atto giudiziario o in un saggio scritto da un praticante o da un giovane studioso, l’espressione sarebbe corretta. Ciò che può essere presunto o presumibile è l’oggetto dell’indicazione; nel caso considerato, i costi della procedura. L’indicazione, fatta in base ad una valutazione prognostica, non può essere presunta o presumibile: la prognosi riguarda l’oggetto indicato.
Non ha senso, nel testo di una legge, che detta regole tra litiganti, utilizzare espressioni equivalenti, ma letteralmente diverse. Suscitano il dubbio che i comportamenti richiesti siano diversi.
La sciatteria, in questa ipotesi, appare priva di conseguenze. In altri costituisce un incubo per gli operatori.
L’incertezza provoca conseguenze
L’art. 348 bis c.p.c. stabilisce che l’impugnazione può essere dichiarata inammissibile «fuori dei casi di inammissibilità» Gli artt. 59 l. 18 giugno 2009, n. 69, 11 c.p.a. o 17 c.p.cont., in un capoverso, dispongono, che, se un giudice nega la propria giurisdizione ed indica quello che può occuparsi della controversia, il processo deve essere «riproposto», ma in un altro capoverso prevedono che debba essere «riassunto».
Lo stesso equivoco tra continuazione e inizio ex novo è suscitato dall’art. 616 c.p.c. Con l’art. 26 bis c.p.c. è stata modificata la competenza per l’esecuzione presso terzi, ma non è stato coordinato l’art. 678 c.p.c.: si può discutere sulla individuazione del giudice competente a bloccare, in esecuzione di un sequestro, il conto corrente del debitore; e mentre si discute su quale sia il giudice, il debitore svuota il conto.
Il primo capoverso dell’art. 27 del codice della crisi è già entrato in vigore, mentre il codice dovrebbe entrare in vigore il 1° settembre 2021; esso attribuisce al tribunale sede delle sezioni specializzate la competenza ad occuparsi dei procedimenti di regolazione della crisi o dell'insolvenza relativi alle imprese in amministrazione straordinaria, ma «i procedimenti di regolazione della crisi o dell'insolvenza» sono quelli previsti dal codice della crisi, che non è ancora vigente; se la norma si applica alle «imprese in amministrazione straordinaria» appare legittimo chiedersi a chi debba rivolgersi una grande impresa che vuole entrare in amministrazione straordinaria: al tribunale di provincia o a quello del capoluogo; a Monza, a Lodi o a Milano?
In base all’art. 164 bis disp. att. c.p.c., il processo esecutivo si chiude se «risulta» che non vi può essere soddisfazione dei crediti, ma il termine «risulta» richiede di essere adeguato alla struttura del processo e riempito di contenuti. In base all’art. 118 l.f., corrispondente all’art. 234 c.c.i., il procedimento concorsuale può essere chiuso anche se vi sono controversie pendenti, ma la pendenza di queste impone che il giudice delegato, il curatore ed il comitato dei creditori continuino a svolgere le loro funzioni e il fascicolo ed il conto della procedura restino aperti; non sembra abbia senso affermare che il procedimento sia «chiuso». Gli esempi potrebbero continuare a lungo, anche senza considerare i provvedimenti emanati nell’emergenza sanitaria, durante la quale la fretta può giustificare errori e distrazioni.
Questi e consimili giochi di pazienza possono giovare allo sviluppo dell’editoria giuridica e costituiscono utili esercizi per i giovani studiosi. Ciascuna questione, con il tempo, trova una soluzione. La ricerca di questa richiede l’impiego di risorse non solo mentali. In molti casi, occorre attendere una pronuncia della Cassazione, anche all’esito di contrasti interni a questa.
La sciatteria legislativa
Il perseguimento dell’obiettivo sostenere «le riforme e gli investimenti, anche in vista della transizione verde e digitale, al fine di agevolare una ripresa duratura, sostenibile dal punto di vista ambientale, sociale ed economico, di migliorare la resilienza delle economie dell’Unione e di ridurre le divergenze economiche fra gli Stati membri», come si afferma nella premessa del piano per il recovery fund, implica non soltanto la sua enunciazione, ma anche la predisposizione degli strumenti per raggiungerlo.
Non appare utile costringere i cittadini ad impiegare tempo ed energie per interpretare i detti della Sibilla cumana.
La responsabilità della sciatteria legislativa non è politica. I propositi dei politici possono essere condivisi o possono essere combattuti. Si tratta di scelte di valore. La questione è tecnica.
Un altro esempio può essere esplicativo.
Con l’art. 145 bis del testo unico bancario, aggiunto dal decreto legislativo 13 agosto 2010, n. 141, si è stabilito che alcune specifiche sanzioni potessero essere contestate innanzi al giudice amministrativo, non innanzi alla corte di appello, come prima previsto. Venne, tuttavia, modificato soltanto il primo periodo della disposizione nel senso che l’opposizione va proposta al giudice amministrativo. Non fu considerato che il secondo periodo prevedeva che il ricorso fosse depositato nella cancelleria della corte d’appello; e non venne modificato. Per alcuni mesi è stata in vigore una norma di legge per la quale l’opposizione si propone al giudice amministrativo e il ricorso si deposita nella corte di appello. È stato necessario un ulteriore intervento legislativo per dare un senso alla norma, che è stata corretta dall’art. 5, comma 3°, d.lgs. 14 dicembre 2010, n. 218. La scelta politica era nel senso della sottrazione delle opposizioni al giudice ordinario. La sua attuazione è stata disastrosa. Tutto ciò ha avuto un costo per l’intera collettività.
In sede politica si può decidere che, per accedere agli uffici giudiziari, occorre indossare un berretto a sonagli. La decisione può indurre a dubitare della sanità mentale del proponente e merita di essere contestata. La traduzione in norma di legge del disegno politico richiede il corretto uso della lingua italiana e la elaborazione di un testo che non si presti ad equivoci.
Le leggi non sono post di Facebook
La scrittura dei testi legislativi è diversa da quella di un messaggio su Twitter o su Facebook; è anche diversa da quella di un articolo su un quotidiano. Non è un prodotto di consumo immediato. La disposizione può essere, successivamente, corretta o modificata, ma, se vigente, detta le regole di comportamento dei consociati. La sua interpretazione non dovrebbe essere un incubo.
Le questioni relative al funzionamento della giustizia non possono essere imputate alla pignoleria dei giuristi e, in particolare, dei processualcivilisti o alla cavillosità degli avvocati. Oltre alla insufficienza delle risorse e all’impiego di queste, occorre anche considerare gli effetti della tecnica legislativa e della incertezza delle regole.
Questa determina effetti devastanti sulla tutela dei diritti e sulla economia, cosicché ogni enunciazione sulle sorti magnifiche e progressive si traduce sovente in uno slogan pubblicitario privo di effetti reali.
Nell’ambito del «Piano di ripresa e resilienza», forse, meriterebbe di essere considerata anche la possibilità di una diversa selezione del personale addetto agli uffici legislativi dei ministeri, alla istituzione di corsi di tecnica legislativa, quale necessario presupposto per l’attribuzione del compito di scrivere le leggi, nonché all’avvio di un’opera di pulizia complessiva della legislazione, per porre fine alla mortificazione degli interpreti e degli operatori.
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