Ora che ha ingranato la marcia, in tema di giustizia, Forza Italia non ha più intenzione di fermarsi. Dopo il dissenso causato dalla poca incisività del decreto Carceri e la sponda al Guardasigilli Carlo Nordio sulla riforma della custodia cautelare, il prossimo obiettivo degli azzurri è quello di modificare la legge Severino.

A dirlo chiaramente è stato, primo fra tutti, il viceministro alla Giustizia, Francesco Paolo Sisto, secondo cui «sulla legge Severino bisogna intervenire, e rapidamente. Credo che questo sia uno dei compiti a cui prossimamente ci toccherà assolvere», riferendosi in particolare al fatto che la legge, introdotta nel 2012 dal governo Monti, impone la decadenza degli amministratori locali condannati anche solo in primo grado per reati contro la pubblica amministrazione, a differenza degli eletti a livello nazionale per cui serve la sentenza definitiva. Gli ha fatto eco anche la sottosegretaria ai Rapporti col parlamento Matilde Siracusano, secondo cui «è necessario rivedere la legge Severino. È la negazione del principio della presunzione d’innocenza».

Frasi non casuali, che riportano al centro dell’agenda politica un altro tema legato alle storiche battaglie berlusconiane (Silvio Berlusconi è stato certamente il politico più importante colpito dalla Severino e nel 2013 è decaduto dal suo incarico parlamentare) e solleticano positivamente il ministro Nordio, favorevole alla riforma.

Certo è, però, che, come per l’abrogazione dell’abuso d’ufficio, anche le modifiche alla legge Severino portano potenziali rischi europei. La legge non è nata sotto il governo Monti – che si è limitato a rifinirla e approvarla, per questo prende il nome dalla guardasigilli dell’epoca – ma proprio sotto il governo Berlusconi IV, in seguito alle stime preoccupanti prodotte dall’Unione europea in materia di corruzione in Italia. Ecco, proprio ora che il paese finirà sotto il vaglio europeo per l’abrogazione dell’abuso d’ufficio in possibile contrasto con la convenzione di Merida sull’anticorruzione, mettere mano anche alla legge Severino potrebbe essere mossa tatticamente rischiosa.

Eppure la modifica per la parte che riguarda gli amministratori locali in modo da equipararli ai politici nazionali troverebbe sponda anche nel centrosinistra: anche il Pd ha presentato un ordine del giorno e una proposta di legge in tal senso e parere positivo già c’è da parte di Azione e Italia viva.

I referendum leghisti

A livello politico interno, la mossa di Forza Italia di chiedere sia una revisione della custodia cautelare sia della legge Severino rischia di aprire un’altra mini crisi dentro la maggioranza.

Il ricordo è fresco, di appena due anni fa quando la Lega promosse, insieme al Partito radicale, ha proposto i referendum ribattezzati sulla «giustizia giusta». Sei quesiti, due dei quali riguardavano l’abrogazione totale della legge Severino e la modifica della custodia cautelare proprio nella parte che riguardava la reiterazione del reato, ovvero ciò su cui stanno riflettendo anche Nordio e FI. Tradotto: oggi la Lega dovrebbe dirsi favorevole ad entrambe le modifiche, eppure i toni da via Bellerio sono più che cauti, perché un nuovo pasticcio di governo in tema di giustizia è dietro l’angolo.

Proprio in occasione di quei referendum Giorgia Meloni era stata chiara: sostegno di Fratelli d’Italia a quattro quesiti tranne due. Proprio quelli su Severino e custodia cautelare. All’epoca la premier li aveva definiti «figli più della legittima cultura radicale che quella della destra nazionale. La proposta referendaria sulla carcerazione preventiva impedirebbe di arrestare spacciatori e delinquenti comuni che vivono dei proventi dei loro crimini. Noi vogliamo fermare la criminalità senza se e senza ma». Mentre abrogare la legge che sancisce l’incandidabilità per i condannati definitivi sarebbe «un passo indietro nella lotta alla corruzione e rischierebbe di dare il potere ad alcuni magistrati di scegliere quali politici condannati far ricandidare e quali interdire dai pubblici uffici». Certo, in quel caso l’abrogazione della legge era totale, mentre oggi si pensa a una revisione, tuttavia l’opinione negativa resta.

Oggi, dunque, chiedere a Meloni e al suo partito di intervenire proprio su questi due punti rischia di suonare nella migliore delle ipotesi come un tentativo di farle cambiare idea ora che è al governo, nella peggiore come una provocazione.

Il no di Delmastro

Non a caso, contro ogni ipotesi avanzata dal ministro Nordio, molto loquace in questi giorni, è intervenuto il solito Andrea Delmastro. Il sottosegretario alla giustizia e ortodosso meloniano, infatti, è tornato a svolgere il suo compito primigenio: assegnato al ministero per contenere la verve del guardasigilli, mettendo i dovuti paletti alla sua smania di riforme. Così in una intervista a Repubblica il sottosegretario ha frenato gli entusiasmi sulla custodia cautelare: ha ammesso che c’è «un uso smodato» e «il bilanciamento tra principi di non colpevolezza ed esigenze di sicurezza si può fare», ma «non è nell'agenda del governo privare la magistratura di importanti strumenti per combattere il crimine».

Nessuno spazio per modifiche immediate, dunque, nonostante l’odg Costa abbia ricevuto parere favorevole dal governo e preveda di restringere i presupposti per la custodia cautelare in caso di reiterazione per incensurati in caso di reati non violenti (come quelli contro la Pa). Smontate la custodia cautelare per i corrotti è una misura «non all’ordine del giorno».

Eppure, se fino ad oggi il partito di maggior pungolo per la premier era stata la Lega, ora Forza Italia ha deciso di fare lo stesso sui temi più rappresentativi e anche potenzialmente più appetibili per quello spazio di centro definito dentro il partito come «garantista e moderato».

Secondo fonti interne, Marina e Piersilvio Berlusconi hanno chiesto un partito più autonomo rispetto a FdI e all’attacco di come fino a ora lo abbia condotto Antonio Tajani, e adesso la nuova strategia sta iniziando a prendere forma.

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