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Per l’ordinamento italiano la gestazione per altri è un reato. Ma in molti stati esteri è legale e, senza una legge sulla trascrizione dei certificati, i bimbi nati così hanno meno tutele.
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In alcuni paesi, come la Russia e l’Ucraina e alcuni stati degli Stati Uniti, è legalizzata sia in forma altruistica che retribuita. In altri, invece, è possibile solo in forma altruistica.
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Una coppia italiana può decidere di portare avanti la gpa all’estero e fa registrare nel paese dove è consentito l’atto di nascita del bambino con i nomi dei genitori “legali”. Ma, rientrando in Italia, deve ottenere la trascrizione all’anagrafe italiana.
La cosiddetta maternità surrogata o gestazione per altri (Gpa) è una tecnica particolare di procreazione medicalmente assistita. Prevede che una donna porti avanti i parto per conto di una terza persona single oppure di una coppia, che poi saranno legalmente il genitore o i genitori del nascituro.
Può avvenire in due modi: la donna può essere completamente esterna al concepimento, oppure può mettere a disposizione il suo ovulo e quindi essere madre biologica. Questo tipo di pratica è diffusa soprattutto tra coppie eterosessuali che non sono in grado di procreare naturalmente.
Questo tipo di pratica è legale in molti stati del mondo. In alcuni, come la Russia e l’Ucraina e alcuni stati degli Stati Uniti, è legalizzata sia in forma altruistica che retribuita. Nella maggior parte dei paesi, invece, è possibile solo in forma altruistica e quindi senza un pagamento alla donna che porta avanti la gravidanza, ma solo il saldo delle spese mediche. È il caso tra gli altri di Regno Unito, Olanda, Danimarca, Grecia, Portogallo, Canada e India.
Il reato
In Italia la gestazione per altri è vietata e punita penalmente: l’articolo 12 della legge 40, che disciplina la procreazione medicalmente assistita, prevede che «chi realizza, organizza o pubblicizza» la commercializzazione di gameti o la surrogazione di maternità è punito «con la reclusione da 3 mesi a 2 anni e la multa da 600mila a un milione di euro». Questo orientamento è stato ribadito anche dalla Corte costituzionale in una sentenza del 2017, in cui si legge che la maternità surrogata offende «la dignità della donna». Il reato, però, si configura solo se commesso entro i confini italiani.
Per questo, una coppia italiana può decidere di portare avanti la Gpa all’estero e fa registrare nel paese dove è consentito l’atto di nascita del bambino con i nomi dei genitori “legali”. Poi, rientrando in Italia, ne chiede la trascrizione all’anagrafe italiana. Il problema sorge quando gli ufficiali di stato civile dei comuni rifiutano la trascrizione integrale del certificato di nascita ma si limitano a indicare il nome del genitore biologico. In questi casi, le famiglie devono procedere in via giudiziale, appellandosi ai giudici civili.
Inoltre, alcune procure hanno aperto indagini nei confronti di coppie che avevano chiesto la trascrizione dell’atto di nascita estero, contestando il reato previsto dall’articolo 567 del codice penale, di alterazione dello stato civile del neonato «mediante false attestazioni». La giurisprudenza della Cassazione ha stabilito che il reato in questi casi non si configuri perché il certificato si è formato correttamente nel paese in cui la Gpa è consentita. Tuttavia, la stessa Cassazione ha anche stabilito che qualsiasi riconoscimento di atto straniero vale solo se è esclusa la presenza di maternità surrogata.
Altrimenti, la trascrizione del genitore non biologico è vietata perché la surrogazione della maternità è contraria all’ordine pubblico e questo impedisce all’atto di nascita estero di produrre effetti nel nostro ordinamento.
L’assenza di una legge
Questo accade perché manca una legge che disciplini in modo chiaro la questione e la giurisprudenza non è univoca. Ad aprire nuovi spiragli è stata la Corte costituzionale con due sentenze del 2021, in cui afferma che è necessario in questi casi «tutelare l’interesse del minore al riconoscimento giuridico del legame con coloro che esercitano di fatto la responsabilità genitoriale».
Per prassi, tuttavia, la strada fino ad oggi adottata dalle coppie che non hanno ottenuto la trascrizione integrale del certificato è quella del ricorso all’adozione in casi particolari, prevista dall’articolo 44 della legge del 1983. Questa è la via privilegiata per le coppie eterosessuali, per quelle omogenitoriali invece è più complicato perché l’accesso del secondo genitore a questo tipo di adozione non è previsto dalla legge, ma solo dalla giurisprudenza. Inoltre, si tratta di un percorso che prevede controlli anche invasivi sull’idoneità genitoriale, con valutazioni affidate a psicologi e assistenti sociali. Proprio questa via, però, è stata indicata dalla Corte costituzionale come una tutela «insufficiente e inadeguata» e ha intimato al legislatore di trovare nuove soluzioni legali per tutelare questi bambini.
Il risultato di questa carenza legislativa è che le famiglie possono fare affidamento solo sui giudici, con esiti diversi a seconda delle corti. Negli anni, si è formata una giurisprudenza progressista soprattutto nei tribunali di merito e sulla base di questo alcuni comuni – prima della presa di posizione del Viminale dei giorni scorsi – avevano iniziato ad effettuare le trascrizioni. Più restrittiva e orientata al diniego, invece, la Cassazione. I due casi più recenti riguardano due coppie pugliesi eterosessuali, sostenute dal team legale dell’associazione Luca Coscioni, che si erano viste rifiutare la trascrizione integrale del certificato di nascita dei loro figli nati con gpa in Ucraina.
I legali la hanno ottenuta per via giudiziaria appellandosi alla legge 40, che stabilisce che «tutti i nati sono figli legittimi della coppia che ha usato le tecniche di procreazione medicalmente assistita».
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