Nel giorno in cui il sessantacinquesimo detenuto dall’inizio dell’anno si è tolto la vita – questa volta nella sua cella del reparto isolamento della Casa Circondariale di Prato – il governo ha convertito con la fiducia il decreto legge sulle carceri.

Come hanno fatto notare gli operatori del settore, a partire dai garanti regionali dei detenuti fino ai sindacati della polizia penitenziaria, il testo non contiene tuttavia nessuna norma che tenti almeno di tamponare le due emergenze che affliggono il sistema detentivo: il sovraffollamento che ormai supera il 120 per cento e l’inaccettabile numero di suicidi. A livello pratico, infatti, il decreto prevede l’assunzione di 1000 agenti penitenziari in due anni e un teorico snellimento delle procedure per ottenere il beneficio della liberazione anticipata, ma senza cambiare l’ammontare degli attuali 45 giorni ogni sei mesi. Paradossalmente, l’articolo più significativo è quello che introduce un nuovo reato: il peculato per distrazione, necessario per tentare di scongiurare la procedura di infrazione Ue che potrebbe scattare quando verrà promulgata l’abrogazione dell’abuso d’ufficio. «Il governo è troppo preso dalla sua furia ideologica e punitiva. Un carcere così non produce sicurezza ma solo altro carcere», ha commentato la segretaria del Pd Elly Schlein.

Anche sul fronte del governo deve esserci stata la consapevolezza che qualcosa non abbia funzionato e che il decreto non scalfisca il problema suicidi e sovraffollamento, reso ancora più difficile da sopportare nella calura agostana. In contemporanea al voto d’aula, infatti, si è svolta una riunione a palazzo Chigi con la premier Giorgia Meloni e il ministro della Giustizia Carlo Nordio sull'emergenza carceri, cui erano presenti anche i sottosegretari Andrea Ostellari e Andrea Delmastro, il viceministro Francesco Paolo Sisto e i presidenti delle Commissioni Giustizia di Senato e Camera, Giulia Bongiorno e Ciro Maschio. Si è parlato delle «prossime mosse da mettere in campo per fronteggiare l'emergenza» che è «una priorità», nonostante proprio questo avrebbe dovuto essere l’obiettivo del decreto legge.

L’incontro a palazzo Chigi

Nordio, in un comunicato stampa, ha fatto sapere di aver prospettato a Meloni «soluzioni a breve e medio termine per il sovraffollamento carcerario» e che sul tema chiederà un incontro al Colle e chiederà al Csm considerare la copertura di organico per la magistratura di sorveglianza. Inoltre, ha confermato «l’impegno a moltiplicare gli sforzi» per rimpatriare i detenuti stranieri attraverso accorti internazionali. Il ministro, però, non ha rinunciato all’accenno polemico con le opposizioni, chiedendo che «invece di polemizzare» collabori alla «modifica della custodia cautelare necessaria per evitare la carcerazione ingiustificata», evidenziando come la sua strategia per ridurre il sovraffollamento sia quella di incidere sulla carcerazione preventiva e non sulle misure alternative alla detenzione.

L’incontro, tuttavia, ha mobilitato le opposizioni, che hanno notato come un vertice proprio in contemporanea con il via libera al dl certifichi «l'assoluta insufficienza del provvedimento appena licenziato», dunque «è urgente che la presidente del Consiglio venga in Aula per rendere un'informativa», ha detto la capogruppo del M5S in commissione Giustizia Valentina D'Orso.

Proprio la modifica delle misure cautelari è stato un punto di scontro tra maggioranza e opposizione sugli ordini del giorno. Il più controverso è stato quello firmato dal deputato di Azione Enrico Costa e riformulato dal governo che poi ha dato parere positivo, con cui si chiede un intervento normativo per una rimodulazione delle norme sulla custodia cautelare finalizzata a un «bilanciamento tra presunzione di innocenza e garanzie di sicurezza».

«Presenterò al più presto un emendamento perché questo indirizzo si traduca in legge», ha detto Costa, che non è nuovo a trovare sponde nel governo per le sue materie. Non a caso sul tema sono stati approvati anche due ordini del giorno di Lega e Forza Italia e in Aula è risuonato più volte il nome dell’ex governatore ligure Giovanni Toti, che è rimasto agli arresti domiciliari 85 giorni ed è in attesa di processo con l’accusa di corruzione e finanziamento illecito. L’odg di FI, infatti, fa esplicito riferimento al caso Toti e impegna il governo a riformulare la normativa sulla custodia cautelare, «in particolare per quanto riguarda la reiterazione del reato per i pubblici amministratori». La questione in questi giorni è particolarmente calda, dopo la proposta per ora solo verbale di Matteo Salvini di introdurre uno scudo penale per i presidenti di regione, per differire alla fine del mandato eventuali procedimenti penali.

L’ipotesi è già stata bocciata da FdI e ricorda il lodo Alfano di berlusconiana memoria, già dichiarato incostituzionale per contrasto con l’articolo 3 della Costituzione che stabilisce l’uguaglianza dei cittadini. Eppure, secondo il verde Angelo Bonelli, il via libera di questi odg significa «aprire la strada allo scudo penale per i politici».

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