- Carlo Nordio, ex magistrato nella procura di Venezia, è una delle voci più ascoltate nel centrodestra in tema di giustizia e ospite a tutte le ultime convention, sia della Lega che di Fratelli d’Italia.
- Non vede esistente un pericolo fascista, «aggiungo che è un peccato che il centrosinistra reciti queste litanie petulanti, perché il Paese avrebbe bisogno di una socialdemocrazia riformatrice che avanzasse proposte concrete e credibili».
- Il suo nome è emerso come possibile ministro, lui dice che non si candiderà perchè «ho sempre detto che un magistrato non dovrebbe mai candidarsi, soprattutto se, come me, ha diretto inchieste nei confronti di politici. Altra cosa sono incarichi di ordine tecnico».
Carlo Nordio, ex magistrato nella procura di Venezia, è una delle voci più ascoltate nel centrodestra in tema di giustizia e ospite a tutte le ultime convention, sia della Lega che di Fratelli d’Italia.
Indicato da Giorgia Meloni come candidato presidente della Repubblica nel gennaio 2022, ora il suo nome torna insistentemente nella rosa dei possibili ministri. Sempre diretto nelle posizioni, analizza questo inizio di campagna elettorale, dividendo la propaganda politica dai rischi reali per l’ordinamento.
Il tema è al centro del dibattito: se le prossime elezioni politiche venissero vinte da Giorgia Meloni, esiste un pericolo fascista?
Assolutamente no. Il fascismo, secondo la definizione di uno storico inglese, era una tirannide temperata dall’anarchia. Non vedo proprio l’onorevole Meloni nel ruolo di un tiranno, e quanto all’anarchia ormai abbiamo un sistema istituzionale solido, inserito in contesto internazionale, che ne elimina il pericolo. Aggiungo che è un peccato che il centrosinistra reciti queste litanie petulanti, perché il paese avrebbe bisogno di una socialdemocrazia riformatrice che avanzasse proposte concrete e credibili, rispettando gli avversari senza demonizzarli. Va da sé che il rispetto dev’esser reciproco. Anche l’evocazione di un pericolo comunista è inconsistente.
Una proposta di legge di riforma costituzionale presentata da Fratelli d’Italia nel 2018 prevedeva di cancellare dalla Costituzione i riferimenti all’Unione europea, mettendo in discussione la superiorità del diritto comunitario su quello interno. Questa prospettiva è un rischio per il nostro ordinamento?
Lo sarebbe se fosse portata a compimento. Ma non credo proprio che sia una riforma urgente né fattibile. Peraltro io sono favorevole da anni a una nuova assemblea costituente, per una nuova Carta più liberale di quella esistente, che concili la nostra indiscutibile appartenenza all’Unione Europea con gli interessi nazionali, come fanno Francia, Spagna e Germania e tanti altri stati senza per questo esser sovranisti, o peggio.
Come valuta una riforma costituzionale di tipo presidenzialista? Stravolgerebbe il nostro ordinamento e il sistema di bilanciamento tra poteri?
Ogni sistema ha i suoi pregi e difetti, l’importante è che sia liberale e coerente. La Francia ha adottato il semipresidenzialismo sull’onda di una ingovernabilità interna dovuta alle tensioni della guerra d Algeria, e sotto l’autorevole guida di uno statista come De Gaulle. Oggi, per fortuna non siamo in una situazione così grave , ma è indubbio che il nostro sistema politico è ormai ingestibile. Credo che in una nuova assemblea Costituente un centinaio di saggi dovrebbero sedersi a tavolino e, “frigido pacatoque animo”, esaminare ogni possibilità. L’elezione diretta del Capo dello Stato potrebbe esser un’opzione ragionevole. È una delle proposte della Fondazione Luigi Einaudi, alla quale mi onoro di appartenere.
C’è il rischio di derive autoritarie o di cancellazione di diritti, come i diritti civili per esempio?
No, nemmeno questo rischio c’è. I diritti civili sono un patrimonio acquisito e condiviso, anche se molte leggi, o proposte di legge, erano e sono a mio avviso tecnicamente criticabili. Ma nella sostanza l’orientamento del Paese e dell’opinione pubblica verso una sempre maggior libertà individuale è irreversibile.
Nel programma elettorale del centrodestra c’è la separazione delle carriere tra magistrati, lei concorda?
Certamente sì, e per un motivo essenzialmente sistematico. Noi abbiamo adottato nel 1989 un codice di procedura penale di tipo accusatorio, sul modello anglosassone. Ebbene, in tutti i paesi dove vige un sistema simile le carriere sono separate. Così come esiste la differenza tra il giudice che pronuncia la sentenza, e la giuria che emette il verdetto. Aggiungo che l’azione penale non è obbligatoria come da noi, e che negli Usa i pm sono addirittura elettivi. Personalmente preferisco il sistema britannico, dove il pm non dirige le indagini della polizia giudiziaria ma è l’avvocato dell’accusa, ma al di là di questi tecnicismi è una questione anche qui di coerenza. Se si prende un modello, non possiamo imbastardirlo come abbiamo fatto noi. Aggiungo un paradosso. Uno dei pochi residui del fascismo è proprio il codice penale del 1930, firmato da Mussolini e dal Re. Mentre il il codice di procedura. firmato dal professor Vassalli, socialista e decorato eroe della resistenza, è stato demolito dalla Corte costituzionale perchè in buona parte incompatibile. Ma di questo non parla mai nessuno.
Tra i punti, c’è anche la riforma del Csm, nonostante ne sia appena stata approvata una. La riforma del Csm della ministra Cartabia va riscritta?
La riforma Cartabia era il minimo sindacale per ottenere gli aiuti europei, e per rimediare alla caduta di credibilità della magistratura dopo i vari scandali che l’hanno vulnerata. Ma il potere delle correnti nell’ambito del Csm è appena stato scalfito, e riemergerà. L’unica soluzione è il sorteggio, da effettuarsi nell’ambito di un canestro composto di magistrati anziani, docenti universitari di materie giuridiche e presidenti degli ordini forensi. Tutte persone, per definizione, preparate e intelligenti. Solo così si spezzerebbe il vincolo tra eletti ed elettori che ha condotto alla lottizzazione delle cariche e agli accordi occulti e anomali.
Quale è la riforma più impellente in materia di giustizia?
Insieme il codice penale, fascista, e il codice di procedura penale, ormai frantumato e incoerente. Vasto programma, direbbe De Gaulle.
La questione migratoria è parte del dibattito: il ritorno ai decreti Sicurezza o addirittura il blocco navale ipotizzato da Meloni mettono a rischio il sistema dei diritti?
Blocco navale, tolleranza zero eccetera sono espressioni comprensibili nell’eccitazione della competizione elettorale, ma poi vanno confrontate con la realtà e le leggi internazionali. Anche qui, tuttavia, la sinistra non ha mai risposto alla domanda: se in Africa premono decine di milioni di potenziali migranti, quanti ne prendiamo? E con che criterio? E con quale coordinamento europeo. In realtà la risposta la diede vent’anni fa la legge Turco-Napolitano: in Italia si entra con un permesso, chi è irregolare viene espulso e chi resta dopo l’espulsione viene punito. Ma non è ma stata applicata in concreto. Ora generalmente si danno risposte ideologiche o emotive. Tempo fa scrissi che un primo test per saggiare la collaborazione europea sarebbe quello di applicare proprio alla lettera l’accordo di Dublino: e una nave di un’Ong straniera imbarca dei migranti, basta che li registri, e secondo la legge internazionale il loro primo approdo è nello Stato di bandiera dell’imbarcazione, e lì dovrebbero trovare accoglienza. Ma pare che nessuno ne abbia mai discusso.
Domanda di rito: lei è stato il nome indicato da Fratelli d’Italia per il Quirinale ed è stato fatto il suo nome anche per il ministero della Giustizia. È stato contattato o sarebbe interessato a un ruolo nel futuro governo?
Va da sé che l’indicazione a quella alta carica è stata una sorpresa e un grande onore. Per di più l’onorevole Giorgia Meloni, con la quale c’è una reciproca stima, sapeva e sa benissimo che io sono un liberale, filo atlantista fino al midollo. Sono iscritto all’associazione Luca Coscioni e il mio primo libro storico l’ho dedicato alle ragazze del Soe, le eroine inglesi paracadutate nella Francia occupata di nazisti per organizzare la resistenza. Ma quanto alla elezioni, ho sempre detto che un magistrato non dovrebbe mai candidarsi, soprattutto se, come me, ha diretto inchieste nei confronti di politici. Io ho coordinato quella del Mose, incarcerando e portando a a processo amministratori di destra e di sinistra, e sarebbe quantomeno inelegante ambire a prenderne il posto. Altra cosa sono incarichi di ordine tecnico. Io ho già presieduto due commissioni, una per la riforma del codice penale su incarico di un governo Berlusconi, e una sullo status dei pubblici amministri con il governo Gentiloni di centrosinistra. Abbiamo fatto un buon lavoro, che però è rimasto nel cassetto. In ogni caso io sono soddisfattissimo del mio ruolo di editorialista e di scrittore.
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