- L’unica certezza sul lavoro è che siamo davanti ad una nuova condizione di debolezza economica del lavoratore che deriva proprio dalla sua maggiore autonomia.
- Le nuove aziende dell’era digitale richiedono generalmente figure specializzate, dinamiche e flessibili, caratteristiche che rendono problematici i tentativi di riconduzione alle categorie classiche del lavoro subordinato etero-diretto.
- In Italia l'11,7 per cento dei lavoratori dipendenti riceve un salario inferiore ai minimi contrattuali. L'Europa deve sviluppare una nuova tutela basata sulla «dipendenza economica», che, però, soffre il rischio di risultare inadeguata.
La crisi del welfare state ha comportato, nella maggior parte degli ordinamenti giuridici europei, il problema dell’affievolimento dei meccanismi di tutela e di protezione sociale per i lavoratori precari e discontinui.
Si è diffuso anche in Italia il fenomeno dei working poors – lavoratori il cui reddito è inferiore alla soglia di povertà relativa - impiegati con forme o modalità che accrescono la distanza che li separa dal resto dei lavoratori, come illustrato dal rapporto Eurostat del 16 marzo 2018 In-work poverty in the EU.
Secondo quell'analisi in Italia l'11,7 per cento dei lavoratori dipendenti riceve un salario inferiore ai minimi contrattuali, dato questo ben al di sopra della media dell'Unione europea, che si attesta al 9,6 per cento. Il dato sarebbe persino aumentato ad oltre il 23 per cento tra il 2015 e il 2016, mentre le prospettive di vita diminuiscono per 5,7 milioni di giovani, che rischiano di avere problemi sia durante la carriera lavorativa, sia nel 2050 a causa delle pensioni maturate, che saranno sotto la soglia di povertà.
Per i cd. gig workers la mancanza di protezione anche dai rischi più comuni è ancora più accentuata rispetto agli altri lavoratori precari, in ragione dell’eccessiva parcellizzazione e destrutturazione dell’attività lavorativa che sono chiamati a svolgere. Data l’eterogeneità dei rapporti di lavoro che nascono e si sviluppano nelle piattaforme digitali, al problema delle tutele sociali non sembra più fornire risposta la tradizionale forma di lavoro subordinato.
Oltre a molti altri effetti, questo ha determinato un cambiamento delle mansioni prevalenti dei lavoratori a livello sociale e ciò ha lasciato con un interrogativo: quale tutela per questi lavoratori che ormai sono subordinati solo di nome.
I cambiamenti nel mondo del lavoro
Il mercato del lavoro è una «costruzione artificiale resa possibile dal diritto e dal concorso delle forze sociali» e, nell'ottocento liberale e capitalista, ha dato origine al lavoro dipendente, che aveva come unica variabile tra un lavoratore ed un altro il tempo del suo lavoro e quindi l'orario di lavoro.
Le nuove aziende dell’era digitale, invece, richiedono generalmente figure specializzate, dinamiche e flessibili, caratteristiche che rendono problematici i tentativi di riconduzione alle categorie classiche del lavoro subordinato etero-diretto. Non è più il tempo (e quindi l'orario) ad essere al centro dei bisogni aziendali, ma l’esigenza di professionalizzazione dei lavoratori, che conferisce valore al lavoro in base alla qualità della prestazione ed alla valutazione sociale della stessa.
Su questo tema, le innovazioni tecnologiche hanno comportato il rafforzamento delle competenze specialistiche e la minore necessità di mansioni che richiedono livelli di preparazione intermedia. Questo fenomeno viene detto «polarizzazione delle mansioni» (Polarisierte Organisation) e determina una sempre più marcata differenziazione dei compiti tra lavoratori addetti a mansioni semplici e lavoratori qualificati, con prevalenza anche numerica di questi ultimi.
Ne consegue anche il progressivo raggruppamento delle mansioni in «sciami» (Schwarm-Organisation), che è conseguenza diretta dell'effetto sostitutivo della meccanizzazione: una volta completato il processo di sostituzione delle mansioni routinarie con processi automatizzati, vengono lasciate all'apporto dell'uomo solo le mansioni intermedie creative, autonome, non predefinite ed indivise, che attengono al controllo ed alla risoluzione di problemi nei processi, mentre ogni mansione ripetitiva e standardizzata è affidata interamente all'intelligenza artificiale, e per questo quasi tutti i lavoratori impiegati svolgerebbero queste medesime mansioni di problem solving.
Quali tutele?
Il tentativo di strutturare un sistema di protezione valido per tutti i lavoratori in condizioni di vulnerabilità economica e sociale è stato iniziato a livello europeo prima con il parere 2011/C 18/08 del Comitato economico e sociale europeo e poi con la Risoluzione del Parlamento europeo del 19 gennaio 2017, 2016/2095, su un pilastro europeo dei diritti sociali. L’Unione da un lato ribadiva la necessità di stabilire degli standard minimi di tutela per tutti i lavoratori a prescindere dalla loro qualificazione come lavoratori subordinati, e, dall’altro, avviava la riflessione sullo spostamento dell’asse delle tutele verso la «dipendenza economica» quale nuova situazione portante delle tutele rispetto all’etero-direzione.
Il lavoro in generale si presenta, ormai, privo del connotato essenziale della subordinazione: l'assoggettamento al datore di lavoro. Persino tra i lavoratori riconosciuti espressamente come subordinate ormai sono presenti ampie sfere di libertà del prestatore ed è proprio questo a rendere difficile se non impossibile la distinzione tra questo e un lavoratore autonomo: i modelli organizzativi d’impresa sono sempre più legati al progetto/risultato e sempre meno alla dimensione spazio-temporale della prestazione (dove/quando). In aggiunta, spesso il lavoratore specializzato sa compiere le sue attività meglio del dirigente e quindi non si aspetta di ricevere da lui le direttive specifiche su cosa fare in ogni momento.
Da qui la categoria concettuale alternativa del «lavoro economicamente dipendente», che costituisce una nozione sociologicamente concorrente con quella di subordinazione/eterodirezione, che vorrebbe basare le tutele sulla dipendenza economica dal reddito da lavoro, invece che sulla emissione di direttive.
Lo sviluppo della una nuova categoria di «dipendenza economica», però, soffre il rischio che questa fattispecie ancora in divenire risulti inadeguata a governare le molteplici questioni poste dall’impatto dell’Internet of Things (IoT) e della robotizzazione. Ad esempio, non sempre la relazione contrattuale del nuovo lavoro costituisce la fonte esclusiva o principale di reddito del lavoratore digitale, proprio perché si tratta di «lavoretti», di tanti micro-task che, in uno scenario di concorrenza globale, sono oramai favoriti rispetto all'istaurazione di vincoli di mono-committenza.
Per questo, ad esempio, nel lavoro reso mediante le piattaforme digitali, in una fase provvisoria, le tutele sociali potrebbero essere offerte attraverso cd. «umbrella companies» che svolgano una funzione di «assistenza e protezione mutualistica» per garantire adeguate coperture previdenziali e continuità di reddito ai lavoratori on demand. Oppure, in via alternativa, sul modello del vecchio lavoro occasionale, la tutela (almeno parziale) potrebbe essere garantita mediante un voucher virtuale in cui ricomprendere la contribuzione previdenziale, realizzando una interconnessione tra la piattaforma INPS e le varie piattaforme digitali.
I cambiamenti anche nel lavoro autonomo «classico»
Questi cambiamenti economici inerenti il rapporto tra attività dei singoli prestatori e organizzazione d'impresa ha travolto oramai persino il lavoro autonomo "classico" ed anche in relazione a questo caso si inizia a parlare «contratto asimmetrico». Ad esempio nel Jobs Act Autonomi erano previsti correttivi nel caso di abuso di dipendenza economica idoneo a condizionare relazioni di lunga durata, caratterizzate da una pluralità di contratti conclusi in successione nell'ambito di uno specifico quadro relazionale (cc.dd. «relational contracts»).
Ciò implicherebbe secondo alcuni che si applichino anche in questi casi alcune tutele derivate da principi costituzionali, come ad esempio in materia di proporzionalità e sufficienza del compenso (art. 36 Cost.), di diritto al riposo (art. 36 co. 3), o di non-discriminazione (art. 37 Cost; art. 20 e parte V, art. E, Carta Sociale Europea). Inoltre, l'abuso di posizione dominante offrirebbe già una non trascurabile opportunità di modulare la protezione del contraente a seconda del livello di “debolezza”, aggiungendo, ad esempio, in caso di recesso, al preavviso dovuto senza “dipendenza economica”, la tutela risarcitoria connessa all'accertamento di una abusiva interruzione arbitraria delle relazioni commerciali in atto (art. 3 co. 1, l. 81/2017).
L'unica cosa certa è che la strada verso la ricerca di nuove tutele che prescindano dallo stato di subordinazione è tutt'altro che conclusa e sarà probabilmente questa la frontiera rimediale verso cui tendere: una tutela risarcitoria che prescinda dalla conservazione del posto, ma funga da deterrente per l'inadempimento contrattuale efficiente ed al recesso abusivo sia nel lavoro subordinato che nel lavoro autonomo. Questo rimedio, a voler azzardare un vaticinio, probabilmente non potrà che contemplare uno schema di pena privata correlata all'accertamento dell'abuso compresa tra un minimo e un massimo edittale.
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