Le parole dell’esecutivo nei confronti dei magistrati di Bologna, che hanno rinviato pregiudizialmente alla Corte di giustizia europea il decreto sui paesi sicuri, hanno «travalicato i limiti di cronaca e di critica dei provvedimenti giudiziari», «determinando un possibile indebito condizionamento dell’esercizio della funzione giudiziaria oltre che dei singoli magistrati».

L’atto non produce concreti effetti giuridici, ma così il Csm ha preso ufficialmente posizione sullo scontro in corso tra politica e magistratura, approvando a maggioranza un documento frutto della richiesta da parte di 23 consiglieri (tutti e 20 i togati più i tre laici di minoranza) di una pratica a tutela del giudice Marco Gattuso, in servizio presso il Tribunale di Bologna. La decisione – di peso perché per la prima volta il Consiglio entra nel merito dello scontro in corso - è stata assunta dopo oltre due ore serrate di dibattito in plenum, in cui si sono confrontate due visioni opposte dello scontro tra politica e magistratura, travalicando inevitabilmente il caso concreto in esame.

Alla fine, gli schieramenti sono apparsi in modo netto: ai firmatari che sono rimasti compatti nel sostenere la pratica, compresa la corrente conservatrice di Magistratura indipendente, si sono aggiunti anche i due membri di diritto, la prima presidente di Cassazione, Margherita Cassano, e il procuratore generale presso la Cassazione, Luigi Salvato. Il fronte delle toghe, dunque, è rimasto compatto, anche se in plenum i moderati di Mi sono intervenuti solo con il relatore, Edoardo Cilenti, e non nel dibattito molto acceso che è seguito alla esposizione della pratica.

Sul fronte opposto, invece, si sono trovati in minoranza con cinque voti i laici di centrodestra – decurtati di un membro, dopo la sospensione di Rosanna Natoli, mentre il vicepresidente Fabio Pinelli non ha votato– che sono intervenuti in modo duro non tanto sul caso bolognese, quanto sul modo con cui attualmente «una parte della magistratura, credo minoritaria» ha detto il consigliere Felice Giuffrè, sta interpretando il diritto di esternazione nei confronti della politica. L’esito finale, dunque, è stato quello di una presa di posizione formale da parte del Csm in difesa del singolo giudice nei confronti delle «dure dichiarazioni da parte di titolari di alte cariche istituzionali», si legge con riferimento indiretto in particolare a Matteo Salvini, pur mitigata dall’auspicio conclusivo «di un dialogo sereno tra le Istituzioni, nel rispetto della reciproca autonomia».

La contrapposizione

Eppure, il confronto che si è svolto in plenum è stato una chiara e soprattutto franca rappresentazione proprio delle due distinte visioni del ruolo del magistrato: quella della categoria stessa e quella di chi invece è espressione della maggioranza di governo.

I magistrati hanno sottolineato come il caso Gattuso abbia spostato il dibattito dal piano tecnico-giuridico a quello personale, insinuando dubbi sull’imparzialità del giudice. «Criticare un provvedimento è legittimo, ma trasformare la critica in un attacco personale o istituzionale è inaccettabile», ha detto Marco Bisogni di Unicost. «Leggere attraverso categorie politiche le decisioni dei magistrati e additarle quali manifestazione di una pervicace volontà demolitoria della volontà popolare costituisce elemento di discredito», ha aggiunto Mimma Miele di Md.

Ricostruzione quasi opposta, invece, è quella fornita dai laici di centrodestra, secondo cui invece l’iniziativa della pratica a tutela sia solo l’ennesima dimostrazione di una contrapposizione ricercata dalle toghe. L’intervento più duro è stato quello del laico di Fratelli d’Italia Giuffrè: la pratica è finalizzata ad «alimentare la falsa narrazione di una magistratura assediata» e un «messaggio rivolto all’intero dell’ordine giudiziario per evidenti fini di competizione elettorale», ovvero le elezioni dell’Associazione nazionale magistrati previste per gennaio. La tesi di fondo, infatti, è che la questione migratoria sia un argomento utilizzato dai gruppi associativi in ottica elettorale e che, una parte della magistratura intende «mobilitare l’intera categoria in una battaglia evidentemente politica contro le riforme che il parlamento si appresta a votare».

Un affondo, questo, a cui si sono aggiunte anche le laiche Isabella Bertolini e Claudia Eccher, le quali hanno aggiunto come la pratica – apparentemente scritta nella parte finale per «sotterrare l’ascia di guerra» – sia invece solo l’ennesimo passaggio di uno scontro tra politica e giustizia ricercato dalle toghe, con le loro continue esternazioni pubbliche: «il campo dei magistrati è quello di applicare la giurisdizione, senza inutili protagonismi», ha detto Bertolini.

Una strumentalizzazione della pratica a tutela per mandare un messaggio al governo, insomma, argomentata dai laici con il fatto che, per trattare con questa celerità la questione bolognese, si sia derogato «all’ordine cronologico». E questo perché il caso Gattuso «è quello più facilmente difendibile, non avendo Gattuso assunto le censurabili condotte dei suoi colleghi», ha detto Giuffrè riferendosi alle pratiche pendenti in favore dei magistrati Silvia Albano o Marco Patarnello.

Tra i togati a rispondere, Antonello Cosentino di Area, secondo cui «se si pensasse che “fa politica” una sentenza difforme dalle aspettative del potere politico, si dovrebbe ritenere che faccia politica anche una sentenza che a quelle aspettative si uniformi» e che «la critica delle decisioni dei giudici può essere severa quanto si vuole, ma non può seguire lo schema amico-nemico».

Eppure, il dato politico rimane: il Csm, con una maggioranza schiacciante grazie all’unità dei togati, ha isolato i laici di centrodestra, stigmatizzando la condotta del governo nell’attacco personale a un magistrato. «Bisogna mettere dei paletti e dei confini che non devono essere superati», ha detto il laico di Italia viva, Ernesto Carbone. Così è successo con la pratica approvata, ma la sensazione è che si tratti solo dell’ennesimo tassello di uno scontro ancora aspro e tutt’altro che concluso.

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