Quella da correre è una maratona, non i cento metri piani. Meglio allora rallentare, prendersi il tempo per pianificare ogni mossa, scegliendo «allargamento» come parola d’ordine.

Sono servite un’assemblea di sette ore nel sabato di un caldo pomeriggio romano, molti interventi e quattro proposte di mozione, ma l’Associazione nazionale magistrati ha scelto la linea – unitaria – con cui affrontare i prossimi mesi di inevitabile scontro con il ministero della Giustizia, Carlo Nordio, intorno alla riforma costituzionale che separa le carriere e smembra il Csm. E la strategia è sintetizzabile in un’attesa al varco del governo, con lo sciopero come strada percorribile ma solo dopo un percorso partecipato e, soprattutto, da svolgere al momento opportuno.

Del resto, è stato il ragionamento filtrato da più parti, l’Anm fino a oggi ha rincorso il governo a ogni proclama – a partire dalle intercettazioni – dandogli esattamente ciò che cercava: un nemico da indicare all’opinione pubblica. Anche in questo caso, infatti, la riforma costituzionale della giustizia è arrivata con un tempismo da campagna elettorale, utile slogan soprattutto per Forza Italia che con più energia l’aveva richiesta.

Eppure, al netto del via libera del Consiglio dei ministri e del nulla osta del Quirinale alla presentazione alle camere (per cui Sergio Mattarella si è preso due settimane), la certezza concreta è che l’iter non sarà rapido. Il testo «sarà emendabile», ha detto il sottosegretario Alfredo Mantovano che della formulazione e presentazione è stato eminenza grigia. Poi, una volta rifinito, ci vorranno due distinte letture in parlamento e, se mancherà la maggioranza dei due terzi, arriverà il probabile referendum.

Proprio questo ha sottolineato il presidente dell’Anm, Giuseppe Santalucia, nella sua relazione: «La riforma ha tempi fisiologicamente lunghi». Per questo le toghe non dovranno cadere nel tranello della fretta, rispondendo di pancia e non di testa a quella che viene descritta come una riforma «tendente a ridimensionare il potere giudiziario», «che punta a chiudere l’epoca del controllo effettivo, indipendente e autonomo della giurisdizione».

Così dall’assemblea è subito stato allontanato il dibattito su sciopero sì, sciopero no, facendo vincere subito la sintesi di «sciopero sì, se e quando sarà necessario, incastonandolo in un programma di iniziative aperte e partecipate».

Il nodo del sorteggio

Il risultato, dunque, è stato quello di un lavoro tutto interno all’Anm per ritrovare l’unità, anche a costo di smussare qualche angolo. E l’operazione è riuscita: alla fine l’assemblea ha votato all’unanimità una mozione unica, che ha fatto sintesi delle quattro presentate da Magistratura indipendente, Magistratura democratica, Unità per la Costituzione e Articolo 101.

Paradossalmente – viste le accuse di collateralismo al governo spesso mosse dalle altre correnti – la più dura delle quattro mozioni è stata proprio quella presentata dal gruppo conservatore di Mi, con il segretario dell’Anm Salvatore Casciaro che ha parlato di «riforma umiliante, mortificante, perniciosa e pericolosa», esprimendo la «radicale contrarietà di Mi alla creazione di un corpo autonomo di superpoliziotti destinati alla sottoposizione all’esecutivo» e «ad affidare alla sorte le funzioni del Csm, secondo la logica qualunquista dell’uno vale uno».

Proprio quest’ultimo passaggio – contenuto anche nella relazione del presidente Santalucia che ha parlato di «privazione dell’elettorato passivo e attivo ai magistrati» – era la bomba pronta a esplodere e che solo la diplomazia ha permesso di disinnescare.

A minare l’unità è la parte della riforma che prevede il sorteggio secco per l’individuazione dei consiglieri togati al Csm. Scelta stigmatizzata da tutti i gruppi associativi, è invece il punto distintivo del gruppo “anticorrentista” di Articolo 101, che fa parte dell’Anm ed è stato eletto proprio perché sostiene il sorteggio come unico modo di scardinare il cosiddetto “sistema Palamara”. «C’è la necessità di giungere a una protesta unanime contro la riforma che nel suo complesso mina la nostra indipendenza», ha detto Enrico Infante, ma «la mozione unitaria passa per il rispetto delle varie sensibilità» e «noi sul sorteggio non possiamo transigere».

Questo è stato il punto che, nella dinamica interna, ha richiesto maggior lavoro di mediazione a cui si è adoperata in particolare Md, che ha fatto da pontiera per trovare una formula che evitasse la rottura. Anche perché, spiegano fonti interne, lasciare fuori Articolo 101 avrebbe voluto dire armare il governo con la tesi della magistratura divisa, con la parte “sana”, a favore del sorteggio, esclusa.

Il risultato finale è stato un testo votato all’unanimità che fa emergere i punti di convergenza e sorvola su quelli di dissenso. Si esprime un giudizio «fortemente contrario alla riforma nel suo complesso», che indebolisce la magistratura attraverso «la separazione delle carriere che determina l’isolamento del pubblico ministero», «la previsione di due diversi Csm» e «l’attribuzione della competenza disciplinare ad un’Alta Corte, che si configura come un tribunale speciale». Nessun accenno al sorteggio, né in chiave positiva – come lo ha sempre trattato Articolo 101 – né in modo critico come fanno i gruppi associativi.

Il timore dei numeri

Del resto nessuno dentro l’Anm ha scordato i numeri numeri: un referendum interno di gennaio 2022 ha certificato che il 42 per cento delle toghe è a favore del sorteggio. L’ultimo sciopero, convocato nel maggio 2022 contro la riforma Cartabia, ha visto solo il 48 per cento di adesioni.

Proprio su questi dati fa silenziosamente leva anche il ministro Nordio, quando parla di riforma che convince la maggioranza silenziosa della magistratura. Anche attraverso questa consapevolezza sarebbe passata la scelta di prudenza dell’Anm, che ha scelto la strada di iniziative graduali, il più possibile condivise con l’esterno e soprattutto comunicate in modo da tentare di rompere quella che è stata definita «la propaganda del governo».

In altre parole: per evitare il flop con effetto boomerang in favore della riforma, è necessario arrivare allo sciopero dopo un percorso di costruzione del consenso, visto che il lungo iter costituzionale non impone accelerazioni.

I prossimi passi

L’imperativo della magistratura associata, dunque, è quello di non cadere nel tranello della foga, rispondendo pavlovianamente alle sollecitazioni politiche del governo. Si comincerà con iniziative territoriali che coinvolgano «avvocatura, scuole, università, società civile e associazioni» da far culminare con l’organizzazione di una manifestazione nazionale; il coinvolgimento «delle istituzioni europee preposte al monitoraggio dell’indipendenza e imparzialità della magistratura» e infine, nel caso si arrivasse al referendum, la partecipazione anche ai comitati referendari. Solo in ultima istanza e «in relazione all’iter parlamentare di discussione del ddl di riforma costituzionale» ci sarà l’indizione di una o più giornate di astensione.

Serve poi anche «l’elaborazione di una strategia comunicativa innovativa ed efficace anche mediante il supporto di esperti della comunicazione», si legge nel documento. Dentro l’associazione, infatti, c’è la sensazione che la prima arma contro il governo sia quella di fare controinformazione. «Dobbiamo contrastare la vulgata del giudice che prende il caffè col pm o il falso storico di Falcone a favore della separazione delle carriere», ha esemplificato Stefano Celli di Md, auspicando un cambio di passo che renda comprensibili le ragioni delle toghe a un pubblico di non esperti.

La partita a scacchi tra Anm e governo è appena iniziata e si prospetta una partita lenta e tattica. Intanto, evitando il proclama di uno sciopero immediato, la magistratura associata ha sottratto al governo Meloni la facile via dello scontro frontale, facendolo passare come chiusura corporativa. Ora la mossa spetta al centrodestra: con tutta probabilità si partirà dalla Camera e il testo uscito dal Cdm dovrà reggere prima di tutto l’urto parlamentare, dove le voci – non solo di opposizione – non saranno unanimi.

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