Pomposi annunci di cause ai danni dei cronisti di Domani e commenti denigratori verso i veneziani che protestavano, chiamati «fascisti». Tutto questo è stato l’inizio del one man show del sindaco di Venezia, Luigi Brugnaro, intervenuto in Consiglio comunale in merito alla “lista nera” scovata nell’ambito delle indagini per corruzione della procura lagunare.

Parliamo di un faldone, prodotto tra il 2020 e il 2021, che contiene articoli di giornale, nomi e cognomi di cittadini, giornalisti, testate e pagine social che avrebbero “offeso” il sindaco di Venezia.

Un faldone prodotto dagli uffici di diretta collaborazione del sindaco, e trovato nell’ufficio del vicecapo di gabinetto Derek Donadini, durante un sequestro. Annunciato in anteprima da La Nuova Venezia, il fascicolo conteneva anche dodici articoli di inchiesta che, nel 2021, Domani dedicò all’amministrazione Brugnaro e ai suoi conflitti di interessi. Proprio per le inchieste di Domani sul suo conto, il sindaco è esploso in un attacco frontale alla nostra testata, annunciando di aver dato mandato per intentare una causa civile di risarcimento danni per quella che ha definito «una grave campagna diffamatoria».

«È la prima volta in vita mia che faccio causa a un giornale. Ho deciso di aspettare il termine del mandato per procedere», ha aggiunto.

Tutto questo mentre i cittadini protestavano all’urlo di «Fuori Brugnaro dalla laguna», in un palazzo presidiato da forze di polizia in tenuta antisommossa.

Le inchieste di Domani

Il sindaco di Venezia è accusato di concorso in corruzione per le trattative sull’area dei Pili e per la vendita di Palazzo Papadopoli, per le quali i pm Roberto Terzo e Federica Baccaglini hanno già chiuso le indagini. C’è anche un’ulteriore ipotesi di corruzione per aver favorito gli sponsor della società di basket Reyer, ancora in fase d’indagine e, dal fascicolo “Palude”, arriva anche l’accusa di aver violato la legge sui finanziamenti elettorali nella campagna del 2020; quella in cui Luigi Brugnaro venne confermato sindaco di Venezia.

Domani, nel 2021, ha pubblicato un’inchiesta a puntate sui conflitti di interessi del sindaco relativamente a terreni e operazioni immobiliari. Inoltre avevamo svelato la rete di finanziatori, che ponevano Brugnaro sul podio dei politici più finanziati dai privati. Tra gli altri i fondi erano stati erogati da due società riconducibili a Brugnaro, Umana Spa e Consorzio di sviluppo Nord Est verso due associazioni riconducibili all’attività politica di Brugnaro, cioè Associazione Venezia 20 - 25 e Un’impresa in comune.

Si passa poi al 2024 quando Renato Boraso, ex assessore della giunta Brugnaro, venne messo agli arresti per lo scandalo corruzione al comune di Venezia. La procura di Venezia, in quell’operazione, aveva arrestato 10 persone e indagato lo stesso sindaco. L’indagine era partita da un esposto in procura presentato alcuni mesi più tardi dagli articoli pubblicati su Domani, che avevano rivelato una serie di conflitti di interessi in capo al primo cittadino.

Le reazioni

«Come si può definire un sindaco che apostrofa i cittadini come fascisti?», dice a Domani Giovanni Andrea Martini, consigliere comunale nel gruppo Tutta la città insieme. «Come si può commentare un sindaco che, a una interrogazione su una lista stilata per colpire i propri nemici politici, sostiene che sia un’attività normale e che continuerà seguendo il comportamento di tutti i cittadini?», continua. Questa, per Martini, è la «triste situazione della democrazia a Venezia. È gravissimo scagliarsi contro gli organi di informazione e in particolare contro Domani, istruendo un processo a una testata in sede di consiglio».

Per la consigliera comunale Monica Sambo, segretaria del Pd di Venezia, le parole di Brugnaro sono «un affronto alla democrazia». Per la dem, il sindaco «ha ammesso di aver commissionato la lista che utilizzerà quando tornerà a essere un privato cittadino».

Questo conferma quanto riportato nell’interrogazione del Pd: «Il sindaco avrebbe impiegato risorse pubbliche per interessi privati, infatti la lista è stata stilata dal vicecapo di gabinetto; pagato dal Comune. Un fatto inaccettabile», che si unisce all’aggressione alla nostra testata. «Non contento ha attaccato il quotidiano Domani, colpevole di aver svolto il proprio lavoro di informazione. Questo è un vero e proprio schiaffo al diritto di cronaca».

«L’insofferenza nei confronti del giornalismo di inchiesta – sostiene il presidente della Federazione nazionale stampa italiana (Fnsi), Vittorio Di Trapani – ormai ha superato i livelli di guardia. L’idea che si possa fare dossier sui giornalisti è roba da Ungheria di Orbán». Di Trapani ricorda che viviamo nel paese «dove almeno un giornalista è stato spiato con Paragon. Dove si vuole cancellare la tutela delle fonti obbligando la Rai e le altre tv a fornire ai servizi segreti qualunque informazione richiesta». Ma anche quello in cui non si approva «una legge contro le querele bavaglio» e dove governo e maggioranza «hanno bocciato una mozione per la piena attuazione dello European Media Freedom Act».

In conclusione, per il presidente della Fnsi, è «indispensabile che l’Europa accenda una luce sull’Italia. Con urgenza. Se esiste una Europa dei diritti e delle libertà è questo il momento in cui deve battere un colpo».

Dopo la querela – poi ritirata – di Giorgia Meloni al direttore di Domani, Emiliano Fittipaldi, e le gravi accuse del ministro Guido Crosetto, non saranno di certo le cause temerarie a fermare il giornalismo d’inchiesta. È indubbio che la politica abbia un grande problema con il giornalismo, in questo paese. Ma minare il lavoro della stampa libera è uno dei più gravi attacchi che si possano sferrare alla democrazia.

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