Non un comizio in uno di quegli stati che deve assolutamente vincere ma un grande raduno a due passi dalla Casa Bianca, visibile alle sue spalle. Per il suo messaggio finale la campagna di Kamala Harris ha radunato decine di migliaia di persone a Washington. Non si tratta di una scelta casuale e la candidata democratica lo segnala immediatamente: «Da qui Trump ha spedito un’orda verso Capitol Hill per ribaltare il risultato di elezioni che sapeva di aver perso».

Tutta la prima parte del discorso durato poco meno di mezz’ora riguarda i pericoli per la democrazia statunitense in caso di vittoria dell’avversario, il carattere vendicativo di Trump e la dedizione di questi a «dividerci e aver paura gli uni degli altri». «Il personaggio è questo, America, ma sono qui a dirvi che non è quel che siamo». Una frase questa usata spesso anche da Biden e che gli americani hanno spesso smentito nelle urne e anche nel corso della lunga storia cominciata con la rivoluzione.

Il contrasto con il repubblicano che chiama gli avversari “il nemico interno” è esplicitato quando Harris spiega: «Non dobbiamo essere d’accordo su tutto, una discussione accesa ci piace, ma le persone con cui non ci troviamo d’accordo non sono nemici, sono membri della nostra famiglia, i vicini, i colleghi, sono americani come noi e noi americani vinciamo o perdiamo assieme».

Il tentativo di Harris in un’elezione che si potrebbe giocare sul filo di pochi voti in questo o quello Stato è quello di presentare sé stessa come una figura di cambiamento non tanto in termini di cose da fare ma per metodo. «Cercherò consensi e lavorerò a compromessi pur di ottenere risultati, con repubblicani, democratici e indipendenti», ha detto segnalando anche che pur avendo «avuto l’onore di fare da vice al presidente Biden, la mia presidenza sarà diversa: ho le mie idee e le sfide da affrontare non sono le stesse».

In questo compito, la vicepresidente non è stata aiutata da Biden, che rispondendo all’oltraggioso commento fatto da un comico al megacomizio di Trump su Porto Ricco come «isola di spazzatura», ha detto che l’unica spazzatura che vede sono gli elettori di Trump.

Il presidente ha poi tentato di spiegare meglio il senso delle sue parole, ma ormai il termine “garbage” era già sulla bocca del candidato repubblicano, che l’ha subito collegato al termine “deplorable” che ha contribuito ad affossare la corsa di Hillary Clinton nel 2016. Harris è stata costretta a prendere le distanze: «Sono fortemente in disaccordo con ogni critica alle persone sulla base di chi hanno votato».

L’economia cresce

E a proposito di prendere le distanze da Biden, la prima cosa su cui lavorare sarà abbassare il costo della vita, che l’inflazione è la ragione che spiega meglio la scarsa popolarità di Biden. L’economia continua a crescere (2,8 per cento nel terzo trimestre) ma l’aumento dei prezzi si è mangiato quello dei salari.

Le altre promesse di Harris includono il rendere permanente uno sgravio fiscale per le famiglie con bambini, la costruzione di milioni di case a prezzi accettabili, l’espansione dell’assicurazione pubblica Medicare affinché copra anche l’assistenza domiciliare alle persone non autosufficienti. E poi rassicurazioni a destra e sinistra sull’immigrazione: più controlli alle frontiere ed espulsioni ma anche una strada meno impervia per dare la cittadinanza a coloro che vivono e lavorano negli States da anni.

Il messaggio finale di Harris è dunque quello di sottolineare il contrasto di personalità e di rapporto con l’ordine costituzionale: da un lato una persona aperta al confronto, con alcune idee e la volontà di discuterne, dall’altra una figura pericolosa per le istituzioni senza nessuna capacità di compromesso.

C’è anche un contrasto tra visioni: l’amico dei miliardari contro la presidente che penserà a come le politiche cambieranno in meglio la vita degli americani, il vecchio contro una nuova generazione di classe dirigente.

Se nei giorni scorsi i comizi negli swing states, le star della musica e i coniugi Obama si rivolgevano a specifici segmenti elettorali per convincerli ad andare a votare (i lavoratori bianchi del Midwest, gli afroamericani di Georgia e North Carolina e così via), l’obiettivo di questo messaggio sembra essere quello di convincere quanti più indipendenti moderati che votando Trump non starebbero dando consenso al partito di Reagan ma a un battello ubriaco capitanato da un despota autoritario.

L’idea trasmessa è che queste non sono elezioni normali. Il sottotesto alla promessa di ascolto e compromessi è il ritorno a quella politica almeno parzialmente bipartisan che ha caratterizzato gran parte della storia degli Stati Uniti.

La divisione

Il dipartimento di Scienze Politiche e Informatica Sociale della Ucla analizza i voti degli eletti in Congresso per ricavarne il profilo ideologico e capire come e quanto i due partiti siano sovrapponibili. Se negli anni Settanta capitava di avere eletti democratici alla destra di una quota non indifferente di eletti repubblicani, nella Camera uscente non c’è sovrapposizione alcuna: «Entrambi i partiti sono diventati ideologicamente più coesi. Oggi in Campidoglio sono rimaste solo due dozzine di democratici e repubblicani moderati, contro gli oltre 160 del 1971-72».

Questo rende più difficile legiferare e le istituzioni più inefficienti e impopolari. Il messaggio di Harris si rivolge a quegli americani stufi di un clima da conflitto permanente.

Ma imputare al solo Trump una divisione che il voto del 2020 ha mostrato essere reale può essere un rischio. Per quanto alimentata ad arte dallo stesso partito repubblicano e da un ecosistema mediatico e social che ha lavorato alacremente in quella direzione, gli americani appaiono divisi, non necessariamente sulle politiche, ma sull’idea che si sono fatti dello “Stato dell’Unione”.

Al netto dei segmenti militanti di destra e sinistra, c’è un pezzo di società che si sente dimenticato da Washington cui Trump sa parlare perché trova spiegazioni facili per le difficoltà reali e promette soluzioni semplici.

La scommessa di Harris e dei democratici è che tra coloro che sono stati convinti da Trump in passato ci sia anche qualcuno spaventato dalla modalità estrema in ogni senso con cui l’ex presidente ha impostato la propria campagna 2024.
 

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