Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Potete seguirlo a questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Dopo la prima serie dedicata alla sentenza della corte d'assise di Bologna che ha condannato all'ergastolo Paolo Bellini per la strage di Bologna, il Blog mafie pubblica una seconda serie che si concentra sul ruolo dei mandanti


Il generale Grillandini all'udienza del 16 giugno 2021 ha fornito un interessante compendio informativo su come le autorità italiane e quella giudiziaria in particolare, siano state private delle informazioni contenute nell'archivio Gelli che il Venerabile aveva opportunamente trasferito all'estero.

Ennesima conferma delle protezioni di cui godeva e della sua posizione di sovraordinazione rispetto alle legittime istituzioni dello Stato.

Nell'ultima fase di lavoro al SISMI alla seconda divisione, si occupava di ricerche all'estero, alle dipendenze di Armando Sportelli. L'ufficiale ha ricordato che qualche giorno dopo il 10 dicembre 1985, quando l'ufficio istruzione del Tribunale di Bologna emise numerosi mandati di cattura in relazione alla strage del 2 agosto, anche nei confronti di esponenti del SISMI, di Licio Gelli e di altri presunti autori materiali della strage, esattamente il 20 dicembre, con procedure anomala, furono distrutti una massa di documenti il cui contenuto è rimasto imprecisato. L'anomalia si ricava dal verbale di distruzione, che non conteneva alcun elenco analitico dei documenti in distruzione. Non vi era alcuna necessità di un'eliminazione straordinaria di documenti.

La pulizia degli archivi si faceva ogni quattro, cinque anni e i verbali normalmente contenevano un paio di pagine di documenti ben individuati, ben specificati. Una procedura singolare per il tempo e le modalità in cui avveniva e la coincidenza temporale con l'accelerazione delle indagini sulla strage.

Ha quindi ricordato che da una segnalazione dell'agenzia CIA di Roma si apprese che nella villa di Gelli a Montevideo erano stati sequestrati dei fascicoli, un archivio che poteva essere di interesse per la sicurezza nazionale. Il sequestro era stato eseguito dalla polizia uruguagia su segnalazione della CIA stessa. Fu inviato dal servizio guidato dal generale Lugaresi a recuperare il materiale.

La missione fu del tutto fallimentare. Il racconto di Grillandini ne evidenzia i particolari e soprattutto la scarsa considerazione in cui quella richiesta fu tenuta. Grillandini fece ovviamente del suo meglio per arrivare a parlare col Ministro degli interni. Riuscì ad instaurare una trattativa per la consegna della documentazione. Gli uruguaiani avevano pretese che non potevano essere esaudite. In realtà agli uruguaiani erano rimasti solo trecento fascicoli, poiché tutto il resto era già stato prelevato dalla CIA in quanto attinente alla loro sicurezza nazionale. Alla fine ne furono recuperati una settantina di modesta rilevanza e incompleti. Tra questi ce n'era uno su Cossiga ma "tanto rumore per nulla".

Viene chiesto al generale di una sua dichiarazione manoscritta agli atti, rilasciata sul finire del 1985, quando il generale aveva già abbandonato il servizio. Gli fu chiesta dal servizio e non ebbe difficoltà a rilasciarla. Il testo è il seguente:

«In merito all'operazione fascicoli Gelli acquisiti in Uruguay, dichiaro che ne erano a conoscenza il direttore del servizio, il caporeparto Notari Nicola, il direttore della divisione Sportelli, il direttore del servizio Lugaresi nonché il sottoscritto ed il capocentro a Rio. Per quanto concerne i due fascicoli mancanti, Belluscio e Cossiga (quelli che poi sono stati restituiti) non ricordo di averli mai visti anche in considerazione che erano custoditi nell'ambito della segreteria della seconda divisione e non negli archivi della prima divisione». In realtà quello di Cossiga l'aveva visto ma solo esteriormente.

La dichiarazione gli fu richiesta da un amico e collega divenuto comandante della seconda divisione, tale Luca Raiola. La firmò ignorandone le ragioni, anche per i rapporti personali con il richiedente.

Fu al SISMI nel momento in cui vi "imperversava" Francesco Pazienza, uomo di Santovito.

Ricorda che costui fruiva in modo incontrollato degli strumenti del servizio e degli aerei: "Dovevo andare ad Ankara d'urgenza e l'aereo non c'era, dovevo andare ad Ankara per un 'operazione intelligence occulta con i servizi turchi e sono dovuto rimanere a piedi perché l'aereo l'aveva preso il dottor Pazienza." Altro personaggio che aveva libero accesso e movimento al SISMI in quel periodo era Michael Ledeen, uomo del generale Haig, tutti costoro erano considerati massoni. Né per Ledeen che per Pazienza era chiaro a che titolo e per conto di chi agissero.

Anche Grillandini ha riferito dell'esistenza nei primi anni '80 all'interno del servizio di un gruppo di potere, la c.d. banda Musumeci di cui faceva parte il colonnello Giovannone, distintosi poi in uno dei depistaggi, quello relativo alla c.d. "pista palestinese": "Musumeci, Delfino, Giovannone, personaggi con i quali io per anni ho avuto solo scontri. Li ritenevo millantatori, inattendibili, poco fedeli al servizio quindi ho sempre cercato di mettergli i bastoni fra le ruote e al momento opportuno loro hanno trovato il modo di eliminarmi".

A causa di questa opposizione a tempo debito gli venne tesa una trappola (l'accertamento di una relazione con una fonte) che lo costrinse a lasciare il servizio e l'amministrazione.

A proposito delle millanterie di Giovannone, ha riferito di una vicenda che riguardava l'asserita liberazione dei giornalisti Toni e De Palo, annunciata dal Giovannone e sulla cui inattendibilità aveva scommesso, vincendo regolarmente. Giovannone con i suoi metodi si era peraltro guadagnato l'amicizia di Cossiga e ancora oggi Giovannone viene considerato una figura di grande rilievo nell'azione del controspionaggio del tempo. Grillandini ne ridimensiona notevolmente il ruolo, già inquadrato negativamente negli atti giudiziari.

Nel corso di questa deposizione si coglie un punto essenziale delle difficoltà che si attraversano in un'indagine che intende appurare verità in qualche modo relative o coperte dai servizi segreti.

Il generale Grillandini nel corso della sua deposizione è apparso corretto e affidabile. Ha raccontato di essere stato leale alle istituzioni e nonostante comandasse, a metà degli anni '70, un 'unità meccanizzata a Firenze in una posizione strategica per eventuali mosse golpiste, visto che con i suoi carri armati disposti sull'autostrada avrebbe potuto tagliare in due il Paese, non solo non si era iscritto alla P2 ma non gli era stato neppure proposto, nonostante attorno a lui, nel suo ambiente, Gelli facesse proseliti. E tuttavia alla domanda per conoscere l'organizzazione del servizio all'estero in quei lontani anni, finalizzata a capire se fosse stato fatto il necessario per ottenere quei famosi documenti gelliani, nonostante l'avesse lasciato perché sostanzialmente estraneo a talune logiche interne, è rimasto perplesso nel timore di mancare di lealtà e al segreto nei confronti degli interna corpora. La risposta è stata quindi ampiamente generica. […].

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