È morto all’età di 90 anni il premio Nobel per l’economia 2002, psicologo, teorico delle modalità automatiche di funzionamento della nostra mente, chiamate «euristiche». Dobbiamo a lui la scoperta di come le persone spesso prendano decisioni senza seguire dei criteri logici. I contesti, la storia individuale, le idee preconcette, i riflessi condizionati contano e influenzano
Uno spettro si aggira ancora per l’Europa e il mondo. Non più il comunismo, ma l’homo oeconomicus, cioè l’idea che tutti agiamo solo per soddisfare il meglio possibile i nostri interessi, e lo facciamo in maniera coerente e razionale. Quest’idea è il presupposto di alcune maniere di vedere il mondo molto diffuse. Parecchie analisi della guerra in Ucraina, per esempio, descrivono Putin come mosso dal perseguimento lucido e razionale dei propri interessi e dell’interesse nazionale. Nessuno di questi analisti viene sfiorato dal dubbio che purtroppo Putin e molti altri siano spinti da furori ideologici, moventi irrazionali, pregiudizi inestirpabili.
Insieme ad Amos Tversky (scomparso nel 1996), Daniel Kahneman, mancato il 27 marzo, è quello che ha fatto di più per cacciare, intrappolare e dissolvere questo fantasma teorico. Per i suoi studi, Kahenman ha vinto il Nobel per l’economia nel 2002.
Kahneman ha spiegato che la nostra psicologia lavora in gran parte in una sorta di modalità automatica, prendendo decisioni, traendo conclusioni, interpretando la realtà sulla scorta di meccanismi cognitivi che per quanto rendano più veloci e agili i nostri processi di decisione e di giudizio spesso li rendono anche imprecisi, o addirittura completamente slegati dalla realtà che abbiamo di fronte. Usiamo questa modalità automatica, per esempio, per interpretare i volti dei nostri simili, capendone immediatamente lo stato d’animo e tarandoci su di esso. Solo raramente la nostra mente esercita le facoltà di giudizio che possiede in maniera completa, considerando i dati a disposizione e ragionandoci sopra, come per esempio quando facciamo calcoli matematici.
Il Sistema 1
La modalità automatica di funzionamento della nostra mente, che Kahneman chiamava Sistema 1, è all’opera soprattutto in casi di giudizio che, riflettendoci sopra, ci appaiono come esempi di pregiudizi. Per esempio: immaginiamo che vi si dica che Linda (nome d’invenzione ed esempio immaginario), trentuno anni, da studentessa si preoccupava molto per la giustizia sociale e l’eguaglianza di genere, e vi si chieda: «È più probabile che oggi Linda sia un’impiegata di banca o un’impiegata di banca femminista?».
Ci sono più impiegate di banca che impiegate di banca femministe, quindi ovviamente la prima. Eppure, a molti di noi parrebbe strano che una persona con un passato come quello di Linda sia diventata una semplice impiegata di banca, e infatti moltissimi indicano come più probabile che sia impiegata di banca e femminista, confondendo un giudizio di probabilità con uno di plausibilità. Spesso invece di una innocua descrizione come quella di Linda, basiamo però i nostri giudizi su stereotipi, perpetuandoli. Considerate queste due frasi: Adolf Hitler è nato nel 1892; Adolf Hitler è nato nel 1887. Sono entrambe false (Hitler è nato nel 1889), ma gli esperimenti mostrano che la maggior parte delle persone pensa che la prima sia vera. Conta il fatto che sia scritto in grassetto, o che sia la prima frase.
Altre volte, invece di dare un giudizio di probabilità, consideriamo quanto facilmente ci viene in mente un certo evento. Come altri meccanismi di giudizio, anche questo spesso funziona abbastanza bene, almeno finché, ad esempio, non sia più facile ricordare certi eventi che però non sono molto frequenti. Ad esempio, negli Stati Uniti la percezione del rischio di morire a causa di un tornado è molto maggiore del rischio reale proprio per via dell’attenzione mediatica agli eventi catastrofici. I gruppi terroristici lo sanno bene, e infatti nonostante la probabilità di morire in un attentato terroristico sia infinitesimale, il terrore provocato da un attentato riuscito tradisce un giudizio di probabilità molto più elevato.
Le modalità euristiche
Kaheman ha ricostruito molte di queste modalità automatiche di funzionamento della nostra mente, che chiamava «euristiche» (si veda per esempio Pensieri lenti e veloci, Mondadori, 2012). Ha mostrato che ci facciamo influenzare dalla cornice (dal frame) in cui certi fatti ci vengono presentati o certe scelte ci vengono poste. Questo avviene nel caso delle frasi su Hitler, ma anche se si considera la maniera di presentare la stessa informazione vera. Non è lo stesso, parlando dei mondiali di calcio del 2006, dire: «l’Italia ha vinto» e «la Francia ha perso», anche se si parla dello stesso fatto.
Chi può evitare di pensare alla testata di Zidane quando legge la seconda frase? Oppure, immaginate che un'azienda dia un incentivo di 100 euro a chi si vaccina contro l'influenza: ricevere un messaggio che dice "se non ti vaccini, perdi 100 euro" sarà in generale più efficace di riceverne uno che dice "se ti vaccini, ricevi 100 euro". Eppure, le possibilità di guadagno sono le medesime.
Su queste basi, Kahneman e Tversky hanno criticato la descrizione tradizionale del comportamento economico dei consumatori, mostrando che nelle situazioni reali le persone non massimizzano il proprio vantaggio (la propria utilità), ma cercano di massimizzare i guadagni ed evitare le perdite, e neanche questo in maniera troppo coerente. L’avversione alle perdite e molti altri fenomeni studiati dall’economia comportamentale hanno evidenti basi psicologiche ed evolutive: è ovvio che il nostro cervello è più attento ai rischi negativi e alle perdite.
Le tigri con i denti a sciabola
Nelle caverne in cui siamo nati, esagerare il rischio di un’irruzione della tigre coi denti a sciabola rispetto all’opportunità di uscire a cacciare avrà salvato molti nostri progenitori. L’economia comportamentale, si potrebbe dire, spiega l’avversione ostinata al rischio del padre cavernicolo rappresentato nei Croods (il film d’animazione del 2013, di Kirk DeMicco e Chris Sanders). I meccanismi che nel nostro passato evolutivo avevano un valore adattivo elevato, oggi che le tigri dai denti a sciabola non ci infastidiscono più hanno cessato di avere valore adattivo, e anzi possono indurci a tenere comportamenti che vanno contro il nostro stesso interesse.
Insomma, Kahneman ci fa capire che i comportamenti effettivi delle persone, e dei consumatori, non sono né razionali né coerenti. I contesti, la storia individuale, le idee preconcette, i riflessi condizionati contano e influenzano. Questa lezione è stata usata in moltissimi contesti: il più famoso è la teoria del nudging di Cass Sunstein e Richard Thaler – le euristiche descritte da Kahneman sono utili a capire come creare contesti e “architetture di scelta” fornire incentivi ai cittadini per rendere più efficaci certe politiche pubbliche. Ma la metodologia di Kahneman, che ha aperto un vero e proprio campo d’indagine, la cosiddetta economia comportamentale, è feconda in moltissimi altri campi, dall’insegnamento, al coaching sportivo, alle diagnosi in medicina.
Si può pensare che quello di Kahneman sia un quadro desolante, però. Ma le cose non stanno così. Capire quali sono i nostri pregiudizi può aiutarci a liberarcene. Che i nostri giudizi sull’equità degli stipendi, per esempio, dipendano da fattori esterni, come il livello di partenza di chi si assume, può farci riflettere sulla giustizia distributiva. Possiamo cercare di far funzionare il sistema 2, quello della razionalità. Capire che persone come Putin sono agite non da interessi razionali, ma da pregiudizi e distorsioni morali, non può che essere un punto di partenza più lucido e realistico di certe analisi da Risiko. Anche questa è la lezione di Kahneman.
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