- In Forza Italia c’è stata una concentrazione di potere personale, politico, finanziario, che ha creato un modello politico di schiavitù dorata. In Italia non c’era mai stata una forza così.
- Ora oltre al destino del partito e delle aziende, bisognerà capire dove finirannno le sue relazioni internazionali contraddittorie, che legavano la maggioranza al Ppe: le buone relazioni con Putin ma in chiave filoamericana. Un alibi che la destra non avrà più.
- Nessuna forza a vocazione autoritaria può essere un riferimento nella difesa della democrazia. L’autoritarismo ha suggestionato anche la sinistra, ma non può produrre ciò che nega. Qui è la crisi dei berlusconismi di questi trenta anni.
Forza Italia è destinata allo scioglimento. Per una ragione semplice: in essa c’è stata una concentrazione di potere assoluto, personale, politico, finanziario, organizzativo, dispotico, che ha creato un modello politico di schiavitù dorata, con schiavi ben remunerati. In Italia non c’era mai stata una forza del genere.
L’assenza per malattia del despota provoca il crollo del suo partito, e ora il vero problema sarà che fine fanno le centinaia di eletti, fra parlamentari e amministratori, e che fine fa Mediaset. Se n’è ragionato molto sui giornali.
L’alibi per la destra
Ma c’è un altro interrogativo: dove vanno a finire le sue relazioni internazionali contraddittorie, che legavano la maggioranza del governo italiano al partito popolare europeo: che tenevano buone relazioni con l’atlantismo ma in chiave filorussa, e viceversa relazioni buone con Putin ma in chiave filoamericana: insomma, un pasticciaccio.
Per questo da domani il governo rischia di non esserci più. Perché gli manca il jolly. Silvio Berlusconi è stato il jolly che con le sue bottiglie di vodka scambiate con quelle di lambrusco faceva quadrare tutti i conti che non tornavano. Con la sua assenza, oggi la destra è condannata a diventare sempre più destra. Non può più essere destra ipocrita che è stata fin qui, le manca la sua copertura.
Una figura illusoria
Con Berlusconi cade l’ultimo esempio di sistema politico imperniato sulle grandi personalità, che in realtà si sono dimostrate miserabili personalità all’italiana.
È un problema anche per la sinistra. Dal 1992 in poi, tutti i partiti personali si sono dimostrati inadatti alla prova della crisi politica italiana, cominciando da Umbero Bossi e arrivando all’Ulivo e a tutti i tentativi di personalizzazione della sinistra, tutti falliti. Basta vedere che fine ha fatto Romano Prodi: un bel pelouche che ogni tanto qualcuno rimette in circolazione, arriva la vecchia zia che te lo ha regalato e lo devi mettere sul divano, sennò la zia si offende.
Nel periodo fra il 1992 e il 1994 nasce la figura del politico che viene da altri mestieri, che si immerge nella politica e prova a sostituire un sistema costruito in cinquanta anni di democrazia organizzata, di massa, di un modello repubblicano.
Ma è stata una figura illusoria: Berlusconi è stato un capo che non ha avuto la forza di abolire il sistema dei partiti, che non ha introdotto un sistema politico autoritario puro, ma uno impuro che convive con la senescenza e il deperimento del sistema democratico, condotto giorno per giorno allo svuotamento, sempre di più preda di qualsiasi gruppo politico, di qualsiasi forza politica internazionale, di qualsiasi gruppo di potere interno.
Basta vedere oggi il ruolo dell’Eni e di Leonardo: mai hanno avuto tanta voce in capitolo, non nella assegnazione dei posti – perché c’è sempre l’esigenza di trovare uomini non invisi ai vari poteri – ma perché diventano poteri loro malgrado. La sovranità non è del popolo, ma a differenza di ciò che è scritto nella Costituzione, viene esercitata da chi ha occasionalmente voce in capitolo.
Per chi lavora Renzi
Nella crisi della democrazia, due dovrebbero essere i punti di forza: una giustizia autonoma indipendente e un’informazione sana e indipendente.
Dalla giustizia arrivano segnali diversi. Dalla stampa anche. Negli scorsi giorni non si è sufficientemente riflettuto sull’operazione dell’imprenditore Alfredo Romeo con Matteo Renzi al Riformista e la riesumazione dell’Unità. È chiaramente l’uso dell’informazione da parte di un gruppo imprenditoriale per coprire da una parte un’area di vetero sinistra, della vecchia sinistra antistorica. L’Unità promette di rispettare la sua tradizione ma di essere garantista: ma se la tradizione è giustizialista, come fa a essere garantista? Sarà garantista per l’editore.
Dall’altra parte Renzi che fa, da direttore per un anno? Il guardiano del sistema, un politico che assume la direzione di un giornale come se fosse una clava per preparare le europee dell’anno venturo: ma con questa clava contro la sinistra, per chi lavorerà su scala europea?
Un centro, ma non per Renzi
Torniamo infine a Forza Italia. È morta. Dalle sue ceneri potrebbe rinascere qualcosa, ma un centro in Italia non può essere organizzato dai personaggi in circolazione. C’è lo spazio per una forza di centro cattolico, sociale, democratico in Italia. Ma non è roba da Renzi. Ci vuole un generale che abbia vinto almeno una battaglia, un de Gaulle ma in circolazione ci sono solo generali che non hanno vinta una guerra.
In questo disfacimento, saremo salvati da un’Europa che avrà bisogno di sovvenzionarci, e ogni giorno ci manderà una controllore di più. Così come questo governo non fa un consiglio dei ministri senza nominare un commissario, siamo arrivati al commissario alla siccità.
Con le sue telefonate, Berlusconi, sta spiegando ai suoi che “il paese ha bisogno di noi”. Un testamento non di uno che muore – faccio i miei auguri di pronta guarigione - ma di uno che sa che è finita la sua funzione. È finito il modello suo del capo assoluto, di una monarchia più autocratica del Vaticano. In assenza del monarca, non regge più: nasce con una grande illusione, nel 1994, di essere la piattaforma di salvataggio del pentapartito che affoga. Ma già nel 1996 il berlusconismo si trasforma in una monarchia. Non c’è un partito al mondo che si autodefinisce partito senza aver mai celebrato un congresso.
La borsa del veleno
Per l’Italia è stato un bubbone infettivo, una grande borsa di veleno che si è andata allargando nel corpo della società Italia, ha suggestionato e acceso simpatie non dichiarate in tutta la politica di questo trentennio. Tutti si sono lamentati di avere dei rompiscatole nei loro partiti, tutti hanno provato a fare come Berlusconi.
Il berlusconismo è stata la malattia grave e definitiva della democrazia italiana, colpita a morte per mano di un autocrate che non ha neanche bisogno di elezioni, tant'è che le ultime elezioni hanno premiato una forza autoritaria di destra della vecchia tradizione clerico-fascista del paese, non lui.
Potere indivisibile non eterno
Ma lui è di fatto il padrone del governo e di questa destra perché è un modello di autocrazia pura, assoluta. Ma quando hai creato un potere assoluto che non ha nessuna possibilità di divisibilità, quando sei l’indivisibile assoluto, o sei eterno, o se non sei eterno fai precipitare tutti. Ma l’uomo è ancora mortale e Berlusconi non ha trovato la ricetta dell’eternità politica, anche se ci ha provato.
Trent’anni fa avrebbero dovuto esserci gli avvisatori, a mettere in guardia il paese. Non ci sono stati. E si è andati avanti, fino a questo disfacimento, e chi avrebbe dovuto avvisare il paese ha finto di essere ignaro del pericolo mortale per la democrazia.
Nella situazione di vuoto in cui siamo caduti c’è un solo punto di certezza: nessuna forza a vocazione autoritaria per storia passata e per presente truccato può essere punto di riferimento e di equilibrio nella difesa e nella costruzione della democrazia. L’autoritarismo non può produrre ciò che nega. Questa è la crisi definitiva e irreversibile dei berlusconismi di questi passati trent’anni.
© Riproduzione riservata