- All’inizio di questa legislatura e per la sesta volta consecutiva si ri-propone la questione dell’abolizione delle pene detentive a carico dei giornalisti e dell’introduzione di norme per limitare le azioni giudiziarie temerarie e pretestuose.
- Cinque legislature non sono bastate a mettere mano al Codice penale fascista e alla legge sulla stampa del 1948.
- Due proposte sulle liti temerarie sono state già presentate: una al Senato (primo firmatario Walter Verini del Pd) e l’altra alla Camera (primo firmatario Pietro Pittalis di Forza Italia). Di quest’ultima proposta non è ancora disponibile il testo.
Il monitoraggio quotidiano della Onlus Ossigeno per l’Informazione certifica che il 36 per cento delle azioni contro i giornalisti (minacce, intimidazioni, violenze) si deve a querele. In sede penale, le querele vengono poi giudicate dai procuratori e dai tribunali per il 90 per cento non portano ad alcuna condanna. Presentate soltanto per fermare la mano del giornalista.
La lunghezza dei procedimenti giudiziari, lo spettro della galera, la fondata paura di subire la condanna a risarcimenti gravosi, i costi della difesa “consigliano” di essere più…prudenti. Censura più autocensura.
Il parlamento e il governo che fanno per garantire ai cittadini un’informazione libera da condizionamenti? Un breve riassunto delle “puntate” precedenti.
2001, 2006, 2008, 2013, 2018 , 2022: questi sono gli anni di inizio delle legislature di questo secolo. All’inizio di questa legislatura e per la sesta volta consecutiva si ri-propone la questione dell’abolizione delle pene detentive a carico dei giornalisti e dell’introduzione di norme per limitare le azioni giudiziarie temerarie e pretestuose. Cinque legislature non sono bastate a mettere mano al Codice penale fascista e alla legge sulla stampa del 1948.
Una novità parzialmente positiva c’è stata. Sulla legge del 1948, l’anno scorso è intervenuta la Consulta che ha dichiarato l’”illegittimità costituzionale” dell’articolo 13.
La norma per il reato di diffamazione a mezzo stampa aggravato dall’attribuzione di fatto determinato prevedeva la reclusione da uno a sei anni e in aggiunta la multa fino a 50mila euro.
La stessa sentenza ha invece “salvato” l’articolo 595 del Codice penale che prevede per la diffamazione a mezzo stampa una pena detentiva da sei mesi a tre anni o – in alternativa – la multa fino a 50mila euro. (limite massimo fissato dall’articolo 24 del Codice penale).
Le due nuove proposte
Che cosa accadrà e di che cosa avremmo bisogno? Certo, non delle querele di chi oggi è al vertice del potere (questo giornale ne sa qualcosa). Due proposte sono state già presentate: una al Senato (primo firmatario Walter Verini del Pd) e l’altra alla Camera (primo firmatario Pietro Pittalis di Forza Italia). Di quest’ultima proposta non è ancora disponibile il testo.
Quella del senatore Verini ripercorre le stesse scelte delle passate legislature intorno alle quali si era coagulata la convergenza di forze politiche di maggioranza e opposizione. Ecco perché è interessante riferire ciò che c’è e osservare anche ciò che manca.
La reclusione viene sostituita dalla multa fino a 10mila euro. Se vi è attribuzione di fatto determinato la multa è di 10mila euro nel minimo e di 50mila nel massimo. Si tratta di cifre in grado di far chiudere testate medio-piccole.
Si continua a non tener conto del principio giuridico sul quale insiste la Corte europea dei diritti umani: le pene e le sanzioni pecuniarie devono essere proporzionali alla condizione economica del giornalista.
Le pene per la diffamazione sono presentate come sostitutive di quelle previste dall’articolo 13 della legge sulla stampa, ma la proposta non abroga l’articolo 595 del Codice penale che stabilisce le pene detentive per tutti i tipi di diffamazione, anche quella semplice e non a mezzo stampa.
Paradossale: si cancellerebbe la galera da un articolo di legge ormai inesistente e la si manterrebbe nel Codice penale. Si profila un pasticcio: si toglierebbe il carcere per la diffamazione aggravata dal mezzo della stampa, ma lo si lascerebbe per la diffamazione semplice.
In caso di recidiva viene inflitta la pena accessoria dell’interdizione dalla professione di giornalista da uno a sei mesi.
Le liti temerarie
Quanto alle liti temerarie per ottenere sostanziosi risarcimenti, la proposta del senatore Verini prevede per chi ha agito in giudizio con dolo o colpa grave la condanna al pagamento a favore della cassa delle ammende di una somma non superiore a trentamila euro. Poca cosa.
Molto più efficace per l’effetto di deterrenza sarebbe una norma che condannasse il soggetto a versare al giornalista una somma pari alla metà di quanto richiesto per danni da diffamazione.
Si propone la modifica dell’articolo della legge sulla stampa relativa alla rettifica. Modifica peggiorativa, perché verrebbe introdotto l’obbligo di pubblicazione della rettifica senza titolo, senza commento e senza risposta. Non pubblicare fa correre il rischio di una sanzione pecuniaria fino a 16mila euro.
Il disegno di legge – al quale certamente se ne aggiungeranno altri di egual tenore – presenta lacune vistose:
Non viene introdotto il reato di ostacolo all’informazione. Proposta già avanzata, e da mesi, da Ossigeno e dall’Associazione Stampa romana.
Il reato di diffamazione a mezzo stampa resta ancora e sempre doloso e si continua a non voler introdurre la distinzione tra macchina del fango e reato commesso per errore, cioè per colpa. Insomma, il giornalista – al contrario di tutti gli altri professionisti – non può sbagliare per negligenza, imperizia o imprudenza.
Se l’obiettivo della revisione delle norme sulla stampa fosse quello di garantire ai cittadini un’informazione plurale e libera da minacce e intimidazioni potremmo ragionevolmente dire che l’obiettivo non verrebbe centrato. Però cogliamo la presentazione dei disegni di legge almeno come attenzione alle questioni della libertà di stampa.
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