Il pasticciaccio brutto della notte di Bruxelles, il governo italiano che si taglia fuori dalle nomine al vertice europeo, è il Papeete di Giorgia Meloni. E lascia uno spazio di azione ampio e inedito alla leader dell'opposizione Elly Schlein che già ha dimostrato di saperlo occupare. È il rovesciamento della retorica sovranista. Se Fratelli d'Italia diventa Brandelli d'Italia, tocca alla segretaria del Pd incarnare l'interesse nazionale e popolare, la forza tranquilla che non divide ma riunisce il paese.

L'auto-isolamento in Europa rappresenta «una tragedia politica», ha detto Romano Prodi a Domani, per la premier e soprattutto per l'Italia. Sono passate solo due settimane dal G7 in Puglia, il Giorgialand che, cito il deputato di FdI Francesco Filini alla Camera il 26 giugno, «è stato un successo planetario dell’Italia, dove è andato tutto benissimo e dove si è evinto che c’è una donna molto forte, in una delle più grandi Nazioni del mondo. Presidente Meloni, lei si presenterà al Consiglio europeo da vincitrice».

Come si concilia questa narrazione imperiale con le porte sbattute del giorno dopo? L'auto-esclusione di Bruxelles ha risospinto Meloni al punto di partenza. Una leader di partito più che una statista, inchiodata a notte fonda a parlare dell'inchiesta di Fanpage sui ragazzi di Gioventù nazionale impresentabili nella loro «facciata di paraculesca presentabilità» (copyright di Fabio Rampelli, anima critica di FdI, perfetto) mentre tutti i suoi colleghi europei si congratulavano con i nominati.

Lo scenario probabile è il rientro precipitoso di Fratelli d'Italia nella maggioranza parlamentare che voterà per Ursula von der Leyen, in cambio di una vicepresidenza della commissione che sarebbe arrivata comunque, ma è stato clamorosamente mancato l'obiettivo strategico di un anno di lavoro di Meloni: intestarsi il ruolo di protagonista e di leader della svolta a destra della politica europea.

Il riconoscimento non c'è stato. Anzi, durante il vertice numerosi capi di governo si sono dichiarati pronti a trattare con Meloni premier italiana, com'è ovvio, ma non con Meloni leader dei conservatori europei e di Fratelli d'Italia. La premier però ha preferito rifugiarsi in questa seconda identità, più rassicurante per lei, aspettando la vittoria di Marine Le Pen in Francia e di Donald Trump alle presidenziali americane. Uno scenario che riporta Meloni al ruolo di junior partner di sovranisti ben più grossi di lei, poco inclini alla solidarietà con i più piccoli.

Qui si apre uno spazio enorme per l'opposizione, subito individuato con intelligenza politica da Elly Schlein nel suo intervento alla Camera: «Le priorità del nostro paese e quelle della famiglia politica di Meloni sono in aperta contraddizione. Le sue vanno contro l’interesse nazionale dell’Italia».

Per la segretaria del Pd interesse nazionale significa gli investimenti comuni europei su conversione ecologica, trasformazione digitale, ma anche i diritti sociali e civili. Sono i primi passi di quel programma di governo diffuso di cui ha parlato Prodi ieri su questo giornale. Con una consapevolezza nuova: l'interesse nazionale non può restare in mano a un establishment estenuato che con le sue ricette anti-popolari ha provocato l'ascesa dei populisti e della destra estrema in Italia e in Europa.

L'interesse italiano e europeo affidato al macronismo conduce al trionfo delle destre. Per questo occorre battersi contro quella che il governo ha definito autonomia differenziata e che andrebbe invece chiamata disuguaglianza unificata: saremmo tutti più ugualmente disuguali in un paese diviso.

Cambiare senza lasciare indietro. È una strategia che rovescia lo schema più banale. Un sistema mediatico conformista ha presentato Meloni come la campionessa tricolore e Schlein come un'estranea dall'eloquio incomprensibile. Oggi è vero il contrario. Il voto per le città ha premiato chi assicura cambiamento, innovazione e inclusione.

Se Fratelli d'Italia si muove come un partito sfascia-Italia, rappresentare l'interesse nazionale e popolare può essere una strada incredibilmente promettente per chi guida l'opposizione.

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