- La scomparsa dell’ultimo leader sovietico riporta alla memoria la grande pace che rischiamo di sprecare.
- Il sogno di Gorbaciov fu un’Europa unita dall’Atlantico agli Urali.
- Uno tsunami di spasmi predatori alla ricerca del benessere a ogni costo travolse tutto in un’orgia di corruzione. Oggi ci ritroviamo con due mondi irriconciliabili che si erano fatti molto vicini.
La scomparsa di Mikhail Gorbaciov ci riporta con la memoria ai miracolosi anni della fine della Guerra fredda, quelli dell’inatteso sogno della grande pace. Ci mostra la separazione emotiva tra allora e il presente: Europa e Russia si sentirono unite come non mai mentre ora paiono irriducibili nemiche, divise anche nel giudizio.
Per gli europei Gorbaciov fu un liberatore. Per i russi il becchino dell’Urss, anche se in realtà cercò di evitarne la dissoluzione fino alla fine. Aveva capito che il modello economico non funzionava ed era da riformare con urgenza per uscire dalla stagnazione.
Aveva anche intuito che la guerra in Afghanistan rappresentava un lento dissanguarsi e che occorreva fermarla a ogni costo. Le riforme gli sfuggirono di mano: l’impero sovietico era percorso da troppe spinte sotterranee centrifughe, forse impossibili da contenere.
Un vento di libertà soffiò sull’Europa dell’est che si sognò emancipata nel segno della magnifica notte del 9 novembre 1989, quando venne giù il muro. Gli incontri di Gorbaciov con Ronald Reagan, il disarmo, i trattati, le frequenti visite in Europa: il mondo sembrava uscire da un incubo.
Gli americani si lasciarono convincere e anche in Russia la parola fu liberata, seppur per breve tempo. Poi venne Boris Eltsin con i suoi superesperti dell’economia liberista che distrussero senza saper ricostruire. Bisogna ammetterlo: un capitalismo senza regole si affermò sulle rovine di un grande paese, saccheggiandolo con uno tsunami di soldi e di corruzione.
La globalizzazione del convivere
Come ha scritto Svetlana Aleksievič: «La scoperta dei soldi fu come una bomba atomica e un’intera civiltà finì in una discarica». La premio Nobel ci fa udire il grido di uno dei suoi testimoni: «Dio ti scampi dal nascere in Unione sovietica e poi dal vivere in Russia!».
Il grande sogno di pace dall’Atlantico agli Urali annegò nella ricerca sfrenata della prosperità a tutti i costi, con il plauso generale. Non erano questi i piani: nel luglio del 1988 al Consiglio d’Europa Gorbaciov aveva parlato della «casa comune europea», la sua visione unitiva di un continente senza guerra e contrapposizioni.
Era una grande idea: quella della globalizzazione del convivere. Rispetto all’attuale fossato di odio tra due universi che paiono irriconciliabili, il sogno gorbacioviano dimostrava l’opposto. «Una grande comunità culturale e spirituale europea» come la definì François Mitterrand. Primo segretario generale del Pcus non proveniente dalle fila dell’esercito o delle forze di sicurezza, Gorbaciov era un civile che potremmo definire umanista.
Spingeva sul disarmo e parlava già allora di una nuova Helsinki che oggi pare un miraggio. Se ci troviamo con la guerra in casa è perché nessuno ha voluto scommettere sul nuovo pensiero strategico che sostituiva la cooperazione all’antagonismo. Si è scelta la scorciatoia dell’economia che poi ha tradito tutti. Sprecare la pace ha sempre delle conseguenze: oggi lo possiamo capire.
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