La ricreazione è finita. È l’ora del rimpasto di governo. Dopo il caso Sangiuliano, conclusosi con le dimissioni del ministro dopo una querelle dal sapore tragicomico durata troppo a lungo, Giorgia Meloni deve scendere a patti con la realtà, rendersi conto che il proprio partito ha un enorme problema di classe dirigente, avviare un ricambio che sostituisca i ministri più deboli, così screditati da rappresentare un pericolo per l’esecutivo stesso.

Ci sono componenti del governo debolissimi sul piano della credibilità personale, come Daniela Santanchè e Andrea Delmastro. Politici le cui vicende personali, oramai divenute rilevanti sul piano pubblico, sembrano troppo pesanti per renderli adeguati al servizio della nazione.

Ci sono poi ministri deboli sul piano politico. Si pensi alle gaffe e alle sparate del ministro Francesco Lollobrigida, tralasciando qui le questioni personali e di parentela, le cui dichiarazioni protezioniste, identitarie ed euroscettiche sono state più volte corrette pubblicamente dalla stessa premier. O ancora si analizzi la confusa strategia di politiche industriali del ministro Adolfo Urso, dall’opposizione al Green deal alla paradossale apertura ai cinesi sui veicoli elettrici, dal protezionismo controproducente su trasporti e carburanti all’immobilismo sull’Ilva.

A breve la presidente del Consiglio perderà uno dei suoi uomini di governo migliori, Raffaele Fitto, a favore dell’Unione europea e dovrà anche fronteggiare il problema di gestirne l’eredità.

La logica del clan

Meloni dovrebbe mettere in pista un rimpasto, magari da fare dopo l’approvazione del bilancio allo scoccare della metà della legislatura, per liberarsi dai suoi problemi più che da quelli degli alleati di governo che, rispetto ai ministri di Fratelli d’Italia, sembrano uomini politici esperti e navigati.

Se non lo farà, è lecito iniziare a pensare che il problema sia chi questo personale politico lo ha selezionato e cioè la premier stessa.
Già perché l’impressione è che Meloni concepisca il potere politico in modo premoderno, più vicina alla forma del clan che alla razionalità delle istituzioni politiche.

È forse per questo che ha continuato a difendere a oltranza personalità che con i loro comportamenti le hanno arrecato danno e imbarazzo. Perché la sfiducia verso il sistema – politico, economico, amministrativo – è la moneta più forte nel mondo di Meloni anche ora che questo mondo è al governo del paese.

L’accerchiamento dei “puri”

La sindrome dell’accerchiamento dei “puri”, spesso usata come tattica politica della premier e dai suoi uomini, da parte di poteri forti e cattivi che ordiscono trame, sotterfugi e complotti ai danni dei governanti ci consegna un ritratto del primo partito italiano connotato da tratti paranoici e da una rilevante goffaggine nel maneggiare il potere.

In questa situazione c’è chi sostiene che Meloni non voglia andare verso un rimpasto per non aprire una sfiancante negoziazione con Lega e Forza Italia. È davvero così? Nella maggioranza gli equilibri elettorali sono di fatto inalterati, Fratelli d’Italia non deve concedere nulla di più rispetto al 2022 ai suoi alleati poiché esso non è in flessione di consensi e gli altri non sono in crescita.

Senza contare che allo stato attuale non esiste in parlamento un’alternativa a un esecutivo a guida Meloni, ci sarebbe soltanto un voto anticipato che oggi né Salvini né Tajani vorrebbero. Un rimpasto andrebbe a beneficio della premier più che a suo detrimento.

E, dunque, perché non cogliere l’occasione per fare piazza pulita dei ministri peggiori e scrivere un nuovo patto di legislatura, magari con un’idea di sviluppo economico e sociale più chiara di quanto non sia stato fino a oggi?

Classe politica cercasi

C’è ancora chi dice che Meloni non abbia personale a cui attingere, eppure Fratelli d’Italia può contare su molti parlamentari, su presidenti di regione e può pescare anche fuori dalla politica partitica ora che si trova all’apice della forza politica. Sarebbe davvero bizzarro, per non dire allarmante, per una presidente del Consiglio al governo da due anni non trovare nuovi membri di governo più credibili di quelli summenzionati.

Per fare questo però serve uno scatto politico che può realizzarsi soltanto nella mente del leader. Meloni deve liberarsi della prigione che si è volontariamente costruita attorno. Rompere il clan. Dovrebbe farlo subito, prima che diventi troppo tardi e la palude delle relazioni personali la trascini a fondo.

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