Il caso che coinvolge il ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano, e Maria Rosaria Boccia, aspirante consigliera del ministro stesso, può essere affrontato sotto diversi punti di vista. Proveremo a valutarne il profilo giuridico: al di là di gossip, questioni etiche e opportunità politica, ciò che più interessa evidenziare è tutto quanto non torna sul piano del diritto. Occorre partire dalle affermazioni formulate dal ministro nella lettera a La Stampa e, poi, nell’intervista al Tg1 Rai.

Incarico gratuito

«Ho conosciuto la dottoressa Boccia a metà del mese di maggio durante la campagna per le elezioni europee, riscontrandone un’identità di vedute», ha spiegato il ministro. «In seguito ho maturato l’intendimento di conferire alla dottoressa Boccia l’incarico, a titolo gratuito, di consigliere del ministro per i grandi eventi» – ha aggiunto Sangiuliano – ma la nomina non è avvenuta a causa della «possibilità, ancorché meramente potenziale, di situazioni di conflitto di interessi» riguardanti la sua relazione sentimentale con Boccia, come ha poi spiegato al Tg1.

Innanzitutto, un collaboratore andrebbe scelto da un ministro sulla base di un idoneo curriculum vitae, e non solo per «un’identità di vedute». Il consulente è in grado di incidere – sia pur indirettamente, attraverso il proprio rapporto con il vertice del dicastero – su questioni pubbliche. Dunque, robuste basi di esperienza e competenza rappresentano una garanzia sia per il ministro, le cui scelte fiduciarie – non solo ufficiali, ma anche ufficiose – dovrebbero sempre risultare giuridicamente inattaccabili, sia per i cittadini, i cui interessi sarebbero altrimenti trattati anche da persone che hanno il solo “merito” di essere in simpatia dei titolari dei dicasteri, ma che risultano prive dei requisiti necessari per occuparsi della “cosa pubblica”.

Inoltre, non ha alcuna rilevanza evidenziare che l’incarico da conferire a Boccia sarebbe stato a titolo gratuito. Anche in questo caso il collaboratore ottiene un vantaggio, se pure non economico, consistente nel prestigio del mandato ricevuto, spendibile nel suo curriculum vitae e potenziale trampolino per nuovi incarichi. Basti pensare che, ai sensi della normativa anticorruzione, ministeri, enti pubblici, autorità indipendenti devono rendere trasparenti anche gli incarichi non retribuiti, appunto.

«Mai un euro del ministero, neanche per un caffè, è stato impiegato per viaggi e soggiorni della dottoressa Boccia», ha precisato ancora il titolare del dicastero della Cultura.

Il fatto che i soldi per pagare viaggi e hotel a Boccia provenissero non dalle casse pubbliche, ma dalle tasche del ministro, si traduce in un autogol: se Boccia non aveva un incarico idoneo a consentirle rimborsi spese da parte del ministero, tanto meno avrebbe potuto partecipare a incontri ministeriali, com’è invece avvenuto.

Procedimenti

Sangiuliano ha affermato che «Boccia non ha mai preso parte a procedimenti amministrativi». Su questo punto occorre porre particolare attenzione, perché c’è un inghippo.

Lo svolgimento di procedimenti amministrativi – insieme di atti interconnessi tra loro e costituiti da fasi articolate in una precisa sequenza, il cui fine è l’emanazione di un provvedimento, con la partecipazione dei soggetti che ne hanno titolo – è solo una parte dell’attività del ministero. Ed è quella più trasparente, essendo regolata da disposizioni legislative e regolamentari e trovando spesso esposizione sui siti istituzionali.

Tutta la restante parte dell’attività ministeriale, quella meno visibile all’esterno, non consiste in procedimenti amministrativi, ed è una parte non trascurabile. Limitandosi al vertice del dicastero, si pensi ad esempio ai rapporti con cariche istituzionali, con altre figure politiche, con il proprio staff e con i capi dipartimento del dicastero, oltre ai soggetti vari con cui il ministro si trovi comunque a interagire.

Si tratta di attività che non danno necessariamente luogo a “procedimenti” formali e possono svolgersi non solo in sedi istituzionali, ma pure nel corso di eventi di vario tipo, con incontri nel cui ambito sono trattati anche temi delicati di un certo interesse. Proprio il tipo di incontri cui Boccia, nell’intervista a La Stampa, ha dichiarato di essere stata presente.

Spiegato tutto questo, siccome le parole di Sangiuliano sono state senz’altro meditate e vagliate attentamente, cioè non usate a caso, affermare – come fa il ministro – che Boccia non abbia preso parte ad alcun procedimento significa non escludere che abbia preso parte alle attività diverse di cui si è detto, forse anche più “sensibili” rispetto a quelle procedimentali. Ma il ministro, limitandosi a citare i “procedimenti”, ha evitato di parlarne. Quindi, ha detto una verità – Boccia non ha preso parte a procedimenti amministrativi – ma forse non tutta la verità.

Informazioni riservate

Al Tg1 il ministro ha dichiarato che «nessun documento riservato è mai circolato», e poi, circa il G7 Cultura, ha ribadito che «sono stati diffusi aspetti marginali, ma nessun documento classificato o riservato». Al riguardo, ci sono ulteriori profili amministrativi da rilevare.

Innanzitutto, può avere accesso agli incontri di un ministro, ovunque avvengano, e a quanto attiene ai temi che ivi siano trattati, solo chi ne abbia titolo poiché provvisto di autorizzazione, delega o contratto. Altri soggetti, come la dottoressa Boccia, ne devono restare fuori, perché potrebbero apprendere dati, elementi o informazioni di qualunque tipo, la cui conoscenza dovrebbe restare loro preclusa, non avendo titolo – appunto – ad acquisirla.

In secondo luogo, affermare che Boccia non ha avuto accesso a documenti “riservati” significa non escludere che possa aver avuto accesso a informazioni altrettanto “delicate”, non trasfuse in un vero e proprio “documento”, ma apprese verbalmente. Anche questo è un passaggio studiato per far dire a Sangiuliano la verità, ma forse non tutta la verità.

Soprattutto, il ministro sembra ignorare che la sua aspirante collaboratrice avrebbe dovuto restare esclusa dalla conoscenza non solo di “documenti riservati”, ma pure di qualunque informazione istituzionale che non poteva essere resa nota.

Il segreto “amministrativo” vieta ai dipendenti pubblici di divulgare informazioni o notizie conosciute per ragioni di ufficio, «al di fuori delle ipotesi e delle modalità previste dalle norme sul diritto di accesso» (d.P.R. n. 3/1957, art. 15).

Il caso è simile a quello riguardante le notizie comunicate dal sottosegretario alla Giustizia, Andrea Delmastro, all’onorevole Giovanni Donzelli, e da quest’ultimo rese pubbliche in parlamento.

Non si parla di informazioni coperte da una qualche forma di segreto di Stato, ma di quelle che comunque non devono uscire dalla cerchia di soggetti tenuti a trattarle per compiti istituzionali, altrimenti esposti al rischio di sanzioni anche di tipo penale.

Sangiuliano, consentendo la partecipazione di Boccia a riunioni su temi di competenza del suo dicastero, potrebbe aver violato, e messo personale del dicastero stesso in condizione di violare, tale obbligo. Invece, la dottoressa Boccia, non avendo alcun incarico ufficiale, non era tenuta a detto obbligo di riservatezza, e questo è un altro motivo per cui non avrebbe dovuto partecipare a riunioni di pertinenza ministeriale.

Dunque, può davvero sostenersi che Sangiuliano – come ha dichiarato – non abbia «fatto nulla di male, né a livello giuridico né a livello istituzionale»?

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