L’agricoltura industriale sta imponendo un pesante impoverimento della diversità agricola: nell’ultimo secolo, il 75 per cento degli ortaggi e dei frutti commestibili è andato perso a favore di varietà esteticamente sempre più perfette, geneticamente uniformi e ad alta produttività
Questo articolo è tratto dal nostro mensile Cibo, disponibile sulla app di Domani e in edicola
Si chiudono a Roma dal 25 al 27 febbraio i lavori della Cop16 sulla biodiversità iniziati a Cali, in Colombia, lo scorso autunno. Nata sulla base della Convenzione sulla diversità biologica del 1992 di Rio, la Conferenza delle parti ha come obiettivo la conservazione della diversità di specie animali e vegetali, e l’uso sostenibile ed equo delle risorse garantite dagli ecosistemi.

Per farlo non è possibile ignorare il ruolo del sistema alimentare e l'impatto enorme che ha sulla tenuta e l’equilibrio degli ecosistemi: dalla deforestazione per far posto a pascoli e coltivazioni di soia e cereali, all’uso di pesticidi e altri prodotti chimici di sintesi, fino a lavorazioni invasive del suolo. Inoltre, l’agricoltura industriale sta imponendo un pesante impoverimento della diversità agricola: nell’ultimo secolo, il 75 per cento degli ortaggi e dei frutti commestibili è andato perso a favore di varietà esteticamente sempre più perfette, geneticamente uniformi e ad alta produttività.
Resa e profitti
L’agroindustria, infatti, ha progressivamente sviluppato e selezionato varietà le cui caratteristiche genetiche fossero sempre più adatte alle proprie esigenze: un’alta resa che garantisse la massimizzazione dei profitti, la resistenza a prodotti di sintesi come il glifosato, tempi di conservazione quanto più estesi possibile, per adattarsi a filiere sempre più lunghe. A queste richieste si affiancano le esigenze dei supermercati, dove i banchi di frutta e verdura devono essere ordinati, regolari, allineati, riempiti da prodotti con un aspetto estetico uniforme in dimensioni e colori e privo di imperfezioni esterne.
Un grave rischio, poi, è dato dal dominio di poche monoculture nelle superfici agricole: delle circa seimila diverse specie vegetali adatte al consumo umano, appena nove coprono il 66 per cento della produzione mondiale. Si tratta di canna da zucchero, grano, riso, patate, barbabietola da zucchero, manioca, palma da olio, mais e soia. Le ultime due, utilizzate soprattutto per la produzione di mangimi per gli allevamenti intensivi. Sono numeri allarmanti, che raccontano come in tutto il mondo le varietà locali coltivate dagli agricoltori stiano scomparendo a una velocità senza precedenti. Esattamente come tutti i discorsi sulla biodiversità non riguardano più la conservazione della singola specie o dello specifico territorio, ma riguardano la tenuta degli ecosistemi e dei servizi che questi garantiscono, così quando parliamo di agro-biodiversità non stiamo più parlando solamente del recuperare una varietà antica per un legame con tradizioni e cultura enogastronomica. Ma di rendere i sistemi agricoli più resilienti, capaci di resistere e affrontare gli eventi estremi e le nuove patologie rese più aggressive dai cambiamenti del clima. Al contrario, le grandi monoculture, che creano ambienti uniformi e poverissimi in termini di diversità, sono il massimo della fragilità e della vulnerabilità rispetto alle sfide che la crisi climatica impone.
Come decideremo di affrontare queste sfide ripropone il dualismo con cui ci siamo rapportati ai fenomeni naturali: l’ambizione al controllo e al dominio, oppure l’integrazione e la ricerca di soluzioni basate sulla loro comprensione?
Da un lato, un’agricoltura di tipo industriale che cerca in laboratorio soluzioni genetiche a problemi specifici; dall’altro un’agroecologia che punta sul patrimonio genetico che è già insito nelle varietà che coltiviamo da millenni, e che solo una libera riproduzione e scambio delle sementi anche attraverso le reti contadine può tutelare.
Per fare luce su questi aspetti, Terra! ha dato il via a una staffetta della biodiversità: un percorso a tappe attraverso tutta Italia, per raccontare il ruolo dell’agroecologia nella sovranità alimentare e nella resilienza degli ecosistemi, e l'importanza dell’agrobiodiversità, libera da brevetti, per il nostro futuro. L’obiettivo è rendere questi temi centrali nel dibattito pubblico, mettendo in relazione le aziende agricole, la società civile e l’ambientalismo nella trasformazione equa e sostenibile dei sistemi alimentari.
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